Artigli di mantide tra fiori d’orchidea

Mantide orchidea

Non è l’agnello. Non è la lepre, il cinghiale, il cervo, non il passero né lo scoiattolo vivace, concentrato sui preparativi per l’inverno, a suscitare il nostro senso d’empatia. Ma il crudele predatore, specie nella sua accezione più domestica, come il fidato cane, attento a ogni dettaglio, oppure il gatto scaltro e malizioso. Perché questo siamo noi, dal punto di vista naturale, i carnivori supremi. E se poi ti piacciono gli insetti…Ecco, gli orologi battono le sei. Tra gli alberi della foresta pluviale, immobile come una pietra, un lupo solitario attende la sua vittima predestinata. Si dondola nel vento, al suono ritmico di fronde tenebrose. Lancia sguardi verso sera. Sale sopra un ramo. Preparandosi all’agguato, irrigidisce le sue zampe posteriori. Il cielo del tramonto, gradualmente, sta diventando quasi rosa. Anche la mantide orchidea, cangiante. Al centro del suo capo, alquanto stranamente, c’è una verde coroncina.
Questa creatura, appartenente alla specie hymenopus coronatus, parrebbe quasi uscita dagli appunti di un botanico: ha quattro zampe lucenti come petali, più due appendici raptatorie, arti specializzati ricoperti di affilati artigli. I suoi occhi bulbosi, efficientissimi, sono sormontanti da una coppia di piccoli baccelli, splendidi pistilli della perdizione. Ed è una creatura così bella, tanto realistica nel suo mimetismo, che mosche, api, calabroni la cercano spontaneamente, andando incontro, povere loro, ad una fine prematura.
Vive nel Sud-Est asiatico, fra Vietnam, Malesia ed Indonesia, paesi da cui viene spesso esportata verso l’Occidente, allo scopo di finire nei terrari dei suoi molti ammiratori. Non è a rischio d’estinzione. Nasce nella forma assai poco invitante di una ninfa rossa, simile ad una formica, che poi cresce nelle dimensioni, cambiando il suo esoscheletro per ben 7 volte; a quel punto, in genere, è pronta per l’accoppiamento. La mantide orchidea, da che mondo è mondo, si riproduce facilmente, anche in cattività.  Quindi, per inciso, bisognerebbe averne almeno due. Quando viene quel momento, la femmina si costruisce una sacca rigida e filamentosa, detta ooteca, in cui depone fino a 100 uova. C’è solo un piccolo problema. Proprio allora, lei tende a sviluppare un certo languorino.

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EXORDIUM, un feroce corto in rotoscoping

Exordium

L’epica migliore spesso viene da lontano. Succede di continuo, anche se in un modo prettamente circolare. Ulisse, l’astuto eroe per eccellenza, non era certo nato a Troia. Guerrieri, stregoni, magnifiche divinità, mostri vermilingui, prendono forma vicino a casa nostra, nella mente di persone indistinguibili da noi: i creativi in cerca di un impiego, ad esempio, o tutti coloro che per professione manovrano i concetti. Quelle loro creature, figure immaginifiche o fantastiche, sbucate da una penna, fiorite nella terra fertile di un foglio virtuale, per propensione non possono restare lì. Devono viaggiare molto a lungo, per mari e per monti, prima di acquisire fama, oltre il regno dell’annoso e dell’irrilevante. Ed è per questo che il protagonista, strumento di qualunque forma d’evasione dal concreto, riceve l’immancabile incombenza di completare una ricerca. Non per assolvere ad un ordine divino, bensì con il fine ultimo, non certo dichiarato, di generare quel conflitto, considerato propedeutico al racconto: la Peripezia. Soltanto per lei, con gran dolore, si va nella città dolente.
Il pubblico coinvolto, fra tutte le risorse, è forse la più difficile da assicurarsi. C’è chi sceglie di conquistarselo tramite la facile fruizione. Sono, costoro, gli assemblatori delle storie più stratificate, ma pur sempre chiare, in cui tutto avviene con un senso logico e per espliciti obiettivi. Però c’è pure, come contrappunto, l’ermetismo narrativo, linguaggio scelto dall’autore misterioso GORGONAUT. L’avete visto il suo ultimo cartone? Ci sono tre vichinghi, armati di bastone, ascia e spada, che marciano caparbi sulle ossa e sopra i resti di un’intera armata. E c’è un immortale guardiano in armatura d’oro, con la maschera funerea di Agamennone, versione pseudo-boreale. Personaggi più grandi dell’umano, che lottano strenuamente, fino all’ultimo respiro, per il privilegio di mangiarsi un fiore. Lo strumento salvifico finale!

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L’illusione del dinosauro diffidente

T-Rex Illusion

Creature rettiliane percorrono le nostre tubature, zigzagando silenziosamente in cerca di un’uscita. Soltanto in pochi le hanno viste. Dentro sono vuote. Presentano colorazione verde, rossa oppure blu, hanno degli occhi grandi e supplichevoli, piccole zampette dalle unghie acuminate. Spesso si rincorrono la coda, instancabili per ore, prima di fermarsi a ponderare l’universo. A quel punto, diventano come delle statue. Ma fate attenzione a non perdetele di vista! Tutt’altro che indifese, queste lucertole possiedono un cervello fine, quanto quello dei mustelidi e dei ratti. Sono attente al minimo dettaglio. Stamattina, ce n’era una sopra questo tavolo. Dico davvero! Nulla sfugge a un tale sguardo… Ebbene, facendomi coraggio l’ho toccata. Le scaglie, devo dirvelo, sono lisce, brillanti. Ricoprono una pelle sottilissima, simile alla carta. Anzi, è proprio carta. Fuori c’è l’inchiostro. Credo che si trovi ancora lì.
Il drago di Gardner, che in questo video ricompare nella versione preistorica di Brusspup (lo youtuber delle cose insolite a vedersi) è il simulacro di un essere guardingo, il cui grugno ha la caratteristica d’inseguirti in ogni direzione. Non guardandoti, però, dritto in faccia, ma di sguincio, quasi di sottecchi. Ed è proprio questo a renderlo speciale. Si tratta in effetti, non di un qualcosa di vivido e strisciante, ma di un semplice gioco, che prende il nome dallo scienziato statunitense Martin Gardner (1914-2010), celebre matematico e scrittore per bambini. Appartiene al conturbante genere delle illusioni ottiche basate sull’ambiguità, come la coppia di Rubin e l’anatra-coniglio. Però, a differenza di queste due, si basa su un principio prettamente psicologico: la pareidolia. Siamo tentati, di fronte all’improbabile, dal riconoscere schemi o modelli della nostra quotidianità. È un meccanismo di semplice autodifesa, questo, usato dagli ominidi per individuare un potenziale predatore, che tuttavia, nei secoli, ha trovato applicazione in molte forme d’arte. Nella grafica, ad esempio, per un motivo visuale soprattutto: la faccia. Persino quella di un’insolita creatura, il dinosauro che fa capolino dalla quarta dimensione.

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Il tavolo che sboccia come un fiore

Capstan Table

Spazio: ultima frontiera. Nelle sale di vascelli stellari lanciati verso l’infinito, come pure tra le mura della nostra casa. Purché il tavolo, luogo dell’incontro conviviale, non si riveli troppo piccolino.
Purtroppo, c’è un limite all’ingombro consono per la mobilia. Pensiamo all’USS Enterprise, l’astronave che fu data in concessione, non senza rammarico, dal capitano Kirk al capo calvo degli X-Men. Porte a scomparsa, corridoi ariosi, un ponte di comando scarno, con qualche comoda poltrona e giusto un paio di pannelli luminosi. Persino gli ufficiali, in un’alta percentuale di puntate, finivano per stare in piedi. Davvero il futuro dell’esplorazione cosmica, nell’immaginario collettivo, si rivelava minimalista e razionale. Anche a pranzo, specie in questi giorni, quello Spazio diventa una risorsa ricca di opportunità. “Cosa? 10, 15 invitati dentro a casa mia? E dove li metto?” Se avessi tanti posti a tavola, non mi resterebbe dove cucinare, pensa l’anfitrione. Ben sapendo che ci sono soluzioni temporanee. Può ad esempio prendersi dei cavalletti; traballanti trespoli e treppiedi; tirare dentro qualche tavolino da esterni, magari mezzo arrugginito, da coprire attentamente, con l’intonsa e candida tovaglia. Troppo facile!
Questa è la fondamentale differenza, fra gli uomini terricoli e i fieri capitani di un’imbarcazione: poter contare sui rifornimenti nell’attimo cruciale di una grande cena. Non puoi far legna in mezzo al mare, allo scopo di erigere più lunghe tavolate. Quindi, durante un viaggio transoceanico, sperduti fra le onde burrascose, potreste un giorno ritrovarvi a ringraziare questo progettista inglese, David Fletcher, il fondatore della Fletcher Burwell-Taylor, ltd. La sua splendida creazione, che periodicamente riesce a fare il giro di mille/duemila siti web, è un tavolo da yacht, che si allarga all’occorrenza. IL tavolo. Si tratta di un oggetto che comunque, per sua stessa natura, può adattarsi ad ogni ambiente di ridotta metratura. Possibilmente circolare. La particolarità più significativa, come per un’automobile di lusso, non è l’aspetto (assolutamente notevole) ma il meccanismo che lo muove. E quello che può fare.

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