“Diavolo di un Tasmaniano!” Può trovarsi ad esclamare il tipico conoscitore d’animali, ritornando con la mente alla voracità e aggressività territoriale del più rappresentativo mammifero predatore di quell’isola del meridione terrestre. Ed invero a ben guardare, dell’intero continente d’Oceania, dove come è noto la tardiva introduzione di creature provenienti dall’Europa fu la miccia destinata ad instradare, entro una manciata di generazioni, il ripido ed irrimediabile sentiero dello sbilanciamento ecologico. Eppure non sarebbe in alcun modo rappresentativo, tentare di ridurre quel particolare territorio ad una sorta di luogo ameno, in cui le belve di ogni stazza e gruppo sarebbero vissute in assoluta comunione ed armonia fino alla creazione dei potenti bastimenti destinati ad accorciare le distanze oceaniche tra luoghi popolati da gatti, volpi rossi e cupi roditori. Basti pensare, a tal proposito, alla grande quantità d’insetti ed altri artropodi che in quel remoto paese, furono da subito associati ai rischi provenienti dal veleno, aguzzi artigli e sostanze urticanti di vario tipo. Poiché il conflitto può essere di molti tipi differenti. E quello dalle dimensioni assai ridotte non è certo, in alcun modo, privo del principio di aggressione e la violenta crudeltà procedurale.
Di marsupiali inclini a perseguire la sopravvivenza grazie a metodi di caccia ben rodati, ne abbiamo discussi e argomentati già diversi. Il che renderebbe tale repertorio ancor più carente in termini di completezza, nel momento in cui mancassimo di menzionare il kultarr. Inizialmente classificato nel 1856 dal celebre naturalista John Gould come un rappresentante dello stesso genere del fascogale o wamberger, un tipo di carnivoro con strette relazioni nei confronti del dunnart, il quoll e l’estinto tilacino (la famosa tigre tasmaniana) il nostro interessante amico fu revisionato undici anni dopo dal curatore del Museo Australiano, Gerard Krefft che lo ribattezzò come Antechinomys, una sotto-categoria dei dasiuridi informalmente associata al concetto dei cosiddetti “gerboa” marsupiali. Pur essendo in tal senso, ed in funzione delle sue zampe posteriori più lunghe, associato al concetto del topo canguro, il kultarr resta rigorosamente un quadrupede e nello specifico di un tipo particolarmente rapido nei movimenti, potendo facilmente raggiungere i 13,8 Km/h di velocità mentre sfreccia da una duna all’altra dell’arido entroterra australiano. Un risultato davvero niente male, per una creaturina del peso massimo di 30 grammi e una lunghezza media di 80-100 mm! Non potendo fare affidamento, per sfuggire ai suoi molteplici nemici, su altre risorse che un’innata cautela e la capacità di anticipare e distanziare il pericolo, per far ritorno alla sicurezza della sua piccola buca…
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Un varano va veloce se vuol essere vorace predatore dei deserti australiani
Per la radicata impressione internettiana di essere una terra selvaggia popolata da feroci esseri avversi all’uomo ed alla sua sopravvivenza, il continente d’Oceania è caratterizzato da un ecosistema con precise regole e rapporti di forza, in cui l’introduzione di animali del Nord del mondo ha nel corso degli ultimi due secoli portato a significative alterazioni e problematiche per molte specie rappresentative della biodiversità locale. Questo perché nel distante regno dei marsupiali, dove il principale predatore fu per lungo tempo la minuta “tigre” tasmaniana, esseri come il dingo o il gatto domestico europeo diventarono in poche generazioni i letterali dominatori del territorio, capaci di aggredire e trangugiare senza sforzo pressoché qualsiasi essere endemico, con poche eccezioni. Ecco, dunque, l’eccezione. Un drago… Siete già a conoscenza del modo di porsi, l’aspetto e il tipico comportamento del Varanus giganteus? Una lucertola di un tipo familiare da moltissimi punti di vista, tranne il reticolo variopinto della sua livrea e le dimensioni. Due metri e mezzo di lunghezza, fino a 20 Kg di peso; abbastanza da farne il quarto esponente in ordine di proporzioni della sua categoria nei giorni odierni. Ed un degno rappresentante dello stesso genere dei mostri di Komodo, ovvero un gruppo di creature che da queste parti viene definito per antonomasia, fin dall’epoca delle colonie, goanna (da iguana) mentre la particolare iterazione in questione prende l’appellativo in lingua aborigena di perentie. Laddove al di là del possesso di quattro zampe, una lunga coda e scaglie che ricoprono la sua epidermide, particolarmente difficile risulterebbe trovare un punto di contatto con il pacifico erbivoro arboricolo facente parte del bioma del Nuovo Mondo, a partire dal comportamento. Che lungi dall’essere quello del tipico essere a sangue freddo, incline a interi pomeriggi di riposo sotto il sole diurno, vede il fervente predatore muoversi tra simili pause mentre saetta da una duna all’altra, con la capacità di raggiungere la velocità impressionante di 40 Km/h, di gran lunga sufficiente a farne il rettile più rapido al mondo. Abbastanza da inseguire qualsiasi piccolo mammifero, uccelli distratti o altre vittime d’occasione che dovessero venire identificate dai suoi occhi attenti. Diventando i bersagli elettivi di un morso non soltanto rapido, bensì dotato di notevoli presupposti d’infezione batterica ed anche un blando veleno, nella maniera notata scientificamente per la prima volta nel 2005, in un articolo di ricercatori dell’Università di Melbourne. Non che la vittima media abbia il modo e l’occasione di rammaricarsi per questo, vista l’innata propensione del perentie a scorporarne pressoché immediatamente le singole parti, rapidamente trasformate in validi bocconi energizzanti capaci d’alimentare il suo dispendioso stile di vita. Un approccio essenzialmente inquieto, ma non privo di una cruda efficienza alla sopravvivenza…
Il microcosmo che accompagna l’esistenza secolare delle tartarughe malgasce
Nel tardo periodo Shang, attorno al 1.000 a.C, tale antica dinastia era solita effettuare le proprie divinazioni mediante l’utilizzo di scapole bovine e plastron, ovvero la parte ventrale del guscio delle tartarughe, sia d’acqua che di terra. Simili ossa oracolari, come vengono chiamate, presentano la singola attestazione più antica delle incisioni destinate a diventare il primo esempio di scrittura ideografica cinese. Il destino della cupola costituente il dorso di tali animali, d’altra parte, non ci è noto. Ma se usanze simili fossero state attestate nell’Africa Orientale, ed in particolare nella grande isola del Madagascar, molto probabilmente sarebbe accaduto l’esatto opposto; giacché non esiste, in tutto il mondo, una rappresentante della famiglia Testudinidae dall’aspetto maggiormente mistico e letteralmente ultramondano, di questa. Astrochelys radiata o testuggine radiata, una presenza lunga fino a 40 cm delle foreste spinose di didiereacee ed euforbie nella parte meridionale di questo luogo ecologicamente eclettico, ben visibile già da lontano grazie all’inconfondibile disegno presente sul carapace: un disegno giallo e marrone di asterischi ripetuti, ciascuno intersecantisi coi suoi vicini, in grado di ricordare non soltanto le stelle notturne ma anche il taglio esperto di un granato prezioso. Aspetto visuale di rilievo per quella che d’altronde può sembrare biologicamente simile alle tipiche abitanti dei nostri giardini. Il che costituisce, sia ben chiaro, parte del problema significativo in grado di condizionare la sopravvivenza di tale specie. La tartaruga in questione rappresenta d’altro canto il raro caso di una categoria tassonomica numericamente popolosa, risultando in grado di raggiungere i 10 milioni d’esemplari all’ultimo censo effettuato, pur essendo giudicata a rischio critico dallo IUCN, il CITES ed innumerevoli altri enti di classificazione animale. Questo perché nell’unico luogo in cui risulta endemica, per l’assenza di strutture governative solide o leggi utili a proteggerla, continua ad essere l’oggetto di una caccia scriteriata per ragioni alimentari e soprattutto l’esportazione, mediante contrabbando, verso alcuni dei paesi più facoltosi al mondo, per un prezzo in grado di aggirarsi tra i 1.000-4.000 dollari per singolo esemplare. Un vero e proprio dramma, dal punto di vista ecologico, per una creatura come questa che raggiunge lentamente l’età adulta e vanta la probabile durata di vita più estesa per un rettile di grandezza rilevante, giungendo a costituire un vero e proprio sinonimo di longevità animale. Purché uno dei molti pericoli che perseguitano la sua esistenza non riesca, in un modo o nell’altro, a compromettere il suo lungo viaggio su questa Terra…
La gloriosa cavalcata sottomarina degli gnocchi nuotatori
Essere un feroce carnivoro comporta un piano anatomico generalmente affusolato, atletico, muscolare. La suprema specializzazione nella ricerca e cattura di prede viventi, d’altra parte, comporta certe volte soluzioni controintuitive, al punto che idiosincrasie apparenti, in determinati animali, costituiscono fenotipi effettivamente funzionali ad uno scopo ultimo evidente. Il pesce della costa del Pacifico dell’isola di Honshu, dango (団子) o “gnocco di riso” rientra, senza dubbio, nell’insieme di creature rispondenti a simili caratteristiche, vista l’effettiva somiglianza al preconcetto comico, che un disegnatore di cartoni animati, poco esperto nelle proporzioni ittiche, avrebbe potuto imprimere nei fotogrammi di una divertente sequenza animata. Non che vermi, lumache o piccoli molluschi del sostrato avrebbero la stessa impostazione mentale, nel vedersi avvicinare le mandibole ritmicamente chiuse ed aperte, di queste fluttuanti minacce globoidali. Rappresentanti in termini corretti della famiglia dei ciclopteridi, la stessa del C. lumpus che dal punto di vista di noialtri abitatori del Mediterraneo prende il nome italianizzato di lompo, in associazione pressoché diretta con il succedaneo culinario più diffuso ed economico delle pregiate uova di caviale. Difficile immaginare, di suo conto, l’esemplare femmina di Eumicrotremus awae giapponese che riesce a soddisfare con le sue centinaia di macrogameti mucillaginosi un qualsivoglia procacciatore d’ingredienti; giacché siamo innanzi, è opportuno sottolinearlo, a una creatura di appena un paio di centimetri di lunghezza, contro un massimo di 50 raggiungibili dal ciclopteride atlantico, maestoso terrore dei mari del Nord. Assente anche la grossa pinna carnosa sopra il dorso, che taluni tendono a paragonare alla stravagante pettinatura di un mohawk, accentuando ulteriormente il profilo tondeggiante del bizzarro pesciolino, talvolta apprezzato negli acquari degli appassionati dal più grande livello d’esperienza accumulata precedentemente. Ciò in quanto nonostante la popolarità che simili sequenze riescono a guadagnarsi, l’allevamento in cattività di qualsiasi lompo risulta essere notevolmente sconsigliato, data la specifica natura della sua dieta, lo stile di vita strettamente collegato a condizioni ecologiche difficili da riprodurre e nel caso della sua versione nordica, il bisogno di acque particolarmente gelide per prosperare, al punto da risultare ardue da ricostruire in maniera artificiale. Questioni che non paiono aver compromesso ne ridotto in alcun modo misurabile, il fascino realmente posseduto dalle caratteristiche estetiche e comportamentali comuni all’intero gruppo tassonomico di tali fluttuanti presenze…