Gli anni d’oro del biplano progettato per congiungere i continenti

La fila per il terminal, l’ambiente affollato, i controlli per salire a bordo. L’assenza di servizi extra, l’attesa per i bagagli all’arrivo… C’è stato un tempo, nella prima parte del secolo scorso, in cui nessuno si sarebbe aspettato che il volo intercontinentale potesse diventare un’esperienza, per così dire, ordinaria. L’epoca in cui un sedile tra le nubi, spesso costruito in vimini per mantenere contenuto il peso, era appannaggio pressoché esclusivo di grandi personalità della politica o della finanza, persone al tempo stesso facoltose e dotate di considerevole fiducia nel fenomenale avanzamento dell’ingegneria aeronautica corrente. Con il secondo aspetto che andava a sfumare a vantaggio del primo, mano a mano che i velivoli per il trasporto diventavano più imponenti. Poiché semplicemente ancora non era stato inventato l’approccio progettuale in grado di mirare sopra qualsiasi altra cosa al profitto, massimizzando la quantità di persone stipate a bordo a discapito del comfort ed ogni altro aspetto confinante. Per un’esperienza che durava in genere diversi giorni per le tratte più lunghe, con scali notturni negli alberghi più pregevoli d’Europa e del mondo. C’era per questo un sottile senso d’insoddisfazione, da parte dell’Impero di maggior successo ed esteso nella storia, se i migliori e maggiormente celebrati dispositivi volanti provenissero principalmente dalla Germania, già capace d’affermarsi in qualità di grande polo per la costruzione di apparecchi affidabili e performanti. Almeno finché alla compagnia aerea britannica Imperial non venne in mente di contattare la Handley Page di Hertfordshire, presso il suo famoso aerodromo di Radlett, con due linee d’appalto attentamente calibrate: da una parte un aereo passeggeri ottimizzato per le tratte brevi delle loro tratte tra i diversi centri metropolitani europei. Dall’altro uno in grado di raggiungere nel modo più conveniente luoghi distanti come il Cairo, Calcutta, persino (un giorno) l’Oceano Atlantico che era stato fino a quel momento appannaggio prevalente di aviatori eroici e sprezzanti del pericolo incombente della loro stessa fine. Una tra le sfide verso cui la compagnia ancora diretta dal suo omonimo fondatore decise di rispondere mediante la costruzione di uno degli aerei più eccezionali che tale abito avesse conosciuto: il modello di un mastodontico sesquiplano declinato nelle due versioni, spinto innanzi da quattro motori Bristol Jupiter XIF da 490 cavalli ciascuno, la cui apertura alare di 40 metri superava quella di un odierno Boeing 737. Ma capace di ospitare in due cabine interconnesse prima e dopo le ali, nella sua versione HP.52 “appena” 6+12 passeggeri e 18+20 nell’alternativo H.P.42W, a discapito della quantità di bagagli che era possibile caricare a bordo. L’unico compromesso, o possibile variazione, tra le due versione di un aereo che sotto ogni altro punto di vista e nell’opinione della stampa ed i suoi utilizzatori, era semplicemente perfetto…

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L’incredibile appetito per le alghe della pecora di mare

Nell’isola scozzese di North Ronaldsay, parte del gruppo verdeggiante delle Orcadi settentrionali, il fenomeno ricorrente della bassa marea accompagna i ritmi ed influenza il comportamento dei più numerosi abitanti di quel tratto di terra. Candidi quadrupedi comunemente associati a fattorie ed allevamenti delle valli verdi site nelle aree emerse più grandi, le pecore da queste parti sono infatti inclini a cadenzare i propri ritmi circadiani e digestivi sulla base delle fasi dell’influenza lunare. Ed ogni volta che la sabbia nel bagnasciuga torna ad essere battuta dai raggi del sole, assieme all’organica abbondanza dei rifiuti trasportati dalle onde, esse ritornano a esplorare le propaggini più estreme della Terra. Impegnandosi a fagocitare, un morso dopo l’altro, i capelli aggrovigliate delle sirene.
Gli ovini in questione, membri indiscutibili della solita specie a noi precedentemente nota (Ovis aries) sembrerebbero infatti aver sviluppato un appetito e gli strumenti necessari per riuscire a trarre nutrimento dal secondo tipo di vegetazione, contrapposto agli alberi, l’erba e le piante che siamo soliti vedere nel corso delle nostre scampagnate: esse mangiano, da un tempo estremamente lungo, preferibilmente ed obbligatoriamente le alghe trascinate a riva, soprattutto quando appartenenti al genere Macrocystis o kelp, tradizionalmente usate in questi luoghi per la preparazione del carbonato di sodio o potash. Un’indubbia fonte di sostanze nutrienti e preziosissime vitamine, sebbene sbilanciate dal punto di vista dei metalli chimici ed inclini ad inibire l’assunzione da parte dell’organismo degli erbivori del necessario apporto di rame. Da cui l’alterazione pregressa, nel sistema digestivo delle nostre belanti fabbriche di lana, tale da permettergli di massimizzare l’assunzione di questa sostanza, rendendole inclini ad intossicarsi col consumo reiterato di qualsiasi altro tipo di alimentazione. Una caratteristica talmente rara in natura negli animali di terra, che l’unica altra specie sufficientemente studiata a presentarla è l’iguana marina delle Galapagos (A. cristatus) giunta d’altra parte ad un simile stile di vita per l’effetto esclusivo del proprio ambiente naturale. Laddove la North Ronaldsay sembrerebbe essere stata incoraggiata, almeno in parte dall’influenza e dalla mano operosa dell’uomo. Sebbene studi scientifici recenti abbiano ridimensionato, almeno in parte, tale narrativa. Riconfermando l’inclinazione degli animali ad adattarsi verso determinate pressioni ambientali come un’inclinazione generazionale di lungo respiro, piuttosto che la rapida e spontanea reazione a fattori trasversali dall’impostazione relativamente transitoria. Vedi la costruzione, molto amata da disegnatori di arbitrari confini, di un muro…

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Cartiere: le strategie circolari di un’industria che coltiva e innaffia i suoi tronchi

Una strada come tutte le altre sul tragitto per l’Oklahoma, senza segni di alcun tipo d’industria pesante o alti pennacchi di fumo all’orizzonte. Ma è soprattutto quando il vento soffia nella giusta direzione, che agli automobilisti si palesa l’evidenza di un odore particolarmente significativo: solforoso come quello di una fonte d’acqua sotterranea ma molto più intenso, e accompagnato da un retrogusto di bruciato latente. C’è in effetti una ragione, se l’origine di tale anomalia si trova in circostanze tanto isolate: siamo nei pressi di un gigantesco stabilimento che risulta essere, nella maggior parte delle circostanze, particolarmente indesiderato. Così come necessaria, o per meglio dire irrinunciabile, tende ad essere la sua produzione. Soprattutto in un’epoca in cui carta e cartone, sdoganati dall’impiego come materiali di pregio nel campo della stampa o della costruzione di modellini di varia natura, si sono trasformati nell’onnipresente fluido del trasporto delle merci al domicilio del cliente finale, in un tragitto che tende a richiedere per qualche ragione una scatola che ne avvolge un’altra, nella versione contemporanea del tradizionale gioco russo delle bambole ricorsive dipinte. E se c’è un gruppo d’aziende, soprattutto negli Stati Uniti e in tempi più recenti anche in buona parte d’Europa, ad aver portato tale situazione fino ai più elevati gradi di efficienza produttiva e di sfruttamento, tra queste non potrebbe certamente mancare la colossale International Paper, con i suoi 250 anni di esperienza pregressa. Ed una produzione all’attivo, in base ad analisi di mercato, pari a circa un terzo del fabbisogno del suo paese d’origine, oggi espresso principalmente dai giganti dell’E-Commerce, tra cui Amazon. Ecco dunque il doppio senso, soddisfacente dal punto di vista linguistico, di coloro che intere foreste possono piantarle ed al tempo stesso distruggerle, sulla base delle imprescindibili regole del Commercio e del Capitalismo. Un altro tipo di regolamento naturale, non meno spietato dei leoni all’interno delle vaste distese aride della savana africana. Ma così come il grande carnivoro non mangerebbe mai l’ultima gazzella, comprendendo istintivamente l’esigenza di mantenere operativa la fonte erbivora del suo sostentamento, allo stesso modo il campo della produzione della carta è storicamente andato a braccetto con quello dell’amministrazione forestale e le piantagioni di alberi, massima realizzazione del concetto “pianta qualcosa e saranno i tuoi discendenti a trarne beneficio”. La cui applicabilità, ai diversi livelli e spunti d’analisi possibili nel caso presente, resta oggettivamente misurabile sulla base di diverse considerazioni soggettive. Ed è qui che tende ad entrare in gioco, come spesso capita, il settore del marketing e delle pubbliche relazioni…

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L’elevata prospettiva liquida degli addetti allo sghiacciamento aeroportuale

L’uomo nella cabina sopraelevata impugna la coppia di joystick con entrambe le mani, mentre al di là del vetro parzialmente appannato infuria e biancheggia la tormenta peggiore degli ultimi quattro mesi. Indefesso ed instancabile, il lungo collo del veicolo ai suoi comandi si piega ed avvicina all’oggetto che costituisce il nesso inconfondibile della questione, già pieno di passeggeri e bagagli: il grosso Airbus A330, posto diagonalmente nello spazio di parcheggio dell’aeroporto sul finire della gelida serata. Raggiunta l’estremità ideale dell’arco disegnato nella propria mente, l’addetto preme quindi il rigido grilletto alla sua destra fino al primo dei tre scatti designati, lasciando che un getto ad alta pressione fuoriesca dal bocchettone posto al centro della sua inquadratura. Lentamente, il jet di linea inizia a tingersi di un aggressivo color verde smeraldo…
Aspetto cruciale nella progettazione di qualsiasi velivolo più pesante dell’aria è il rapporto tra resistenza dell’aria e portanza, ovvero la capacità da parte delle ali di veicolare l’atmosfera in modo tale da costituire il cuscinetto invisibile che allontana il mezzo, e tutto il resto del suo contenuto, dal rigido suolo che impieghiamo normalmente per camminare. Il che significa, volendo avvicinarsi al nocciolo della questione, che i margini di tolleranza nella progettazione di questo tipo di apparecchi, intesi come rapporto tra peso e potenza, ma anche la specifica geometria delle superfici di controllo, sono straordinariamente precisi ed ogni deviazione dall’idea dai canoni studiati a tavolino dagli addetti allo sviluppo può costituire non soltanto un ostacolo alla loro efficienza, bensì un letterale pericolo per chi si trova a bordo, nei dintorni o al di sotto del loro intero tragitto. Qual è il problema, dopo tutto? Non è che qualcosa di liquido o semi-denso possa cadere dal cielo, rimbalzando sopra la carlinga e il paio d’ali per ore o minuti, finché il rapido mutamento della sua materia costituente verso lo stato solido possa costituire una patina ruvidamente impenetrabile e saldamente attaccata al corpo di un oggetto metallico temporaneamente in attesa di decollare… Fatta eccezione per determinate latitudini, s’intende. Poiché fin dalla concezione del volo istituzionalizzato e commerciale, venne compreso come la precipitazione atmosferica tipicamente rappresentativa dell’inverno potesse costituire un problema da risolvere mediante l’utilizzo di approcci coerenti ed affidabili. Ovvero che potessero funzionare, per quanto possibile, sempre alla stessa maniera.
Un concetto più difficile a realizzarsi dal punto di vista pratico di quanto, idealmente, si possa essere inclini ad immaginare…

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