Il vecchio scherzo del robot che ghermisce la redazione

Zaku prank

Preoccupato di non fare in tempo a consegnare il pezzo sulla vita segreta dei procioni, lo stagista prende posizione innanzi al suo computer.  La breve comparsa dell’icona del programma di scrittura, quella vistosa e candida W, gli ricorda la sua vecchia fissazione per tutto ciò che sa combattere, trasformandosi, drago tecnico al servizio dall’Eroe: Wing il mecha, un lampo d’ali, figura antropomorfa di metallo. Quando la ricerca di una paga mensile non dominava il suo cervello fuso dai bisogni, quando videogiochi e manga gli facevano da pane quotidiano. Tanuki, allora, era solamente un venditore di mobilia digitale. E poi raggi laser, bombe fotoniche, particelle Minovsky a profusione; le tre stimmate del perditempo designato, il passo e il tempo dell’otaku.  Un doppio click per cominciare, quindi una pagina tremendamente vuota, la caverna che inghiottisce la tastiera. Oh, baka! Se soltanto uno Zaku, ovvero l’orgoglio del Principato di Zeon, identico al prezioso modellino che lo fissa ogni mattino dalla libreria di casa, potesse animarsi e prendere la forma di sua competenza, per correre a salvarlo dalla noia quotidiana. Se soltanto…
Città simili a Tokyo, dove il pericolo costante dello stato di esistenza umano viene eternamente celebrato, ribadito e messo in mostra per il pubblico ludibrio. È una malattia relativamente diffusa: ne abbiamo viste, di metropoli calamitate (che attirano disgrazie neanche fossero dei globi di ferrite) ad entrambi i lati dell’Atlantico, con fattori di variabile realismo. La più amata dai narratori del fantastico resta senz’altro la solita New York, visitata più volte da generazioni di alieni, mostri giganti, apocalissi naturali, impatti meteoritici e chi più ne ha… Di voglia di rivivere la propria vita come fosse un film, ci vada quanto prima. Certamente, non sarà deluso? Se arriva prima del Pianeta delle Scimmie! Anche Londra si difende, dopo qualche centinaio di puntate dell’ultradimensionale Dr. Who, che tende a diventare araldo della perdizione metropolitana, pure peggio della pericolosissima Signora in Giallo. Ma è ancora una volta il Giappone, fra tutti i detentori di una capitale votata alla dannazione ulteriore, ad aver fatto di tale premessa una forma d’arte stravagante, con radici estremamente approfondite nell’antico ordine della sequenza delle idee. Come non citare a tal proposito, il film del 1988, The Last Megalopolis di Akio Jissoji, tratto dal celebre romanzo del Teito Monogatari (Hiroshi Aramata) in cui lo stregone malefico Yasunori Kato, tentando di evocare lo spirito di un defunto samurai dell’anno 1000, naturalmente con tutto il suo seguito di servitori demoniaci, risveglia invece un sopito drago sotterraneo, causa indiretta del terribile terremoto che devastò la regione del Kanto nel 1923. Dal fantastico al reale, oppure, vice-versa.
Perché, come anche noi latori dell’eziologia cristiana ben tendiamo a ricordare, vedi l’Arca ed il suo carico di bestie alluvionate, la distruzione in quanto tale presuppone un’immediata rinascita. Nulla termina con la sua fine, ma del resto cambia e si trasforma, secondo le norme attentamente rispettate dagli spiriti o gli dei del mondo. Tale concetto, connotato dal precetto di purezza che è una delle basi della religione nazionale shintoista, significa che qualunque tipo di calamità non va visto come un male assoluto, bensì l’occasione di far talvolta pulizia, sia materiale che mentale, prima di iniziare un nuovo ciclo di accrescita ed arricchimento della società. Non poi così strano come tratto culturale, se si considera l’effettiva frequenza di disastri che sconquassano l’arcipelago più estremo dell’Eurasia! Ma se applichiamo questa norma assoluta al particolare della quotidianità, si ottiene una bizzarra connotazione, alquanto crudele all’apparenza: gli scherzi giapponesi sono spesso sconvolgenti nella loro assurdità.

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Il graffito che si muove per il beneficio dei marziani

Insa

Così giunse a figurarsi all’improvviso tale sorprendente giustapposizione di un intero molo variopinto, tanti cuori e un vagheggiare di contrasti viola e gialli sotto l’ombra della statua, il Redentore. Cristo posto in cima al monte Corcovado, 700 metri sopra Rio di Brazil, braccia aperte verso il mare. La ragione dell’aggiunta? Semplicissma, persino chiara: una pubblicità. Chi l’avrebbe mai detto, graffitaro, bevitore del fragrante whisky Ballantine’s…
Se lo stato di eccitazione chimica degli elettroni è motivato dall’assorbimento accidentale di un fotone, così è l’uomo, grazie all’arte. Esistono costanti che trascendono la mera metereologia; concetti e stati imprescindibili della folgorazione, validi da Samarcanda alle profondità metalliche di Giove, dal mare denso delle idee intangibili fino all’idrogeno cocente di Alpha Centauri e delle stelle, tanto limpide, così attraenti. L’immagine di Adamo ed Eva sulla sonda Voyager, le tesi del ragionamento matematico, la progressione musicale degli accordi principali o regolati, sulle corde di strumenti teorici ed immateriali. Cose tanto luminose, nell’intento conclusivo dell’apposizione, da essere descitte  o dimostrate in accurati grafici, oppure nelle frequenze di messaggi radio scagliati oltre distanze di Chimere ultramondane. In viaggio verso il regno del possibile o remoto appuntamento con…. Ché se mai, davvero, dovessimo incontare menti extraterrestri, nate da processi evolutivi differenti, auspicabilmente sarebbe l’intenzione di bellezza a farci da strumento portatore di significato, biglietto da visita dell’intera umana civiltà. Non certo tutto ciò che ne deriva, per bisogno di soddisfazione ed uno status migliorato nel consorzio commerciale….Ma lo spazio, d’altra parte, ci guarda. La tentazione resta quindi troppo forte per soprassedere. Persino per le grandi compagnie.
Un semplice cerchio nel grano, con tutto il suo corollario di spettacolari ghirigori, di per se non implica un guadagno, tranne che spirituale. Ma tutto quello che ne segue, le disquisizioni e gli approfondimenti, donano un prestigio che è pur sempre conduttivo di gradito R.O.I: interviste televisive, reportage fotografici e l’inevitabile quanto puntuale colpo di scena conclusivo in cui si scopre che il contadino rilevante, dopo tutto, disponeva di un trattore, di una corda con il palo facente funzioni del compasso, oltre ad una sufficientemente assai geometrica per predisposizione. Senza contare la problematica di fondamento, ovvero a che dovrebbe mai servire, per l’alieno, tale attraente disegno colossale… Pista di atterraggio? Pentacolo di evocazione? E perché, dovrebbe questo limitarsi, ad una tale astruso geroglifico, quando è invero possibile far molto, assai di più! La versione fisica di una gigante gif, formato grafico animato. Ed è indubbiamente solo lui, fra tutti quanti, a poter vantarsi di conoscerne il segreto. INSA, il misterioso (perché questo vuole la consueta narrativa del suo genere) artista di figure fatte con l’aerografo, nonché product designer rinomato e adesso infine, dopo tanto vagheggiare, testimonial d’eccezione!

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Il grande condominio sperduto in mezzo ai ghiacci dell’Alaska

Whittier

Si chiama Whittier, come il suo ghiacciaio. Guarda questo luogo adesso, sergente: è perfetto. Un’intera comunità che vive sotto un’unico tetto, sita oltre chilometri di roccia e ghiaccio e neve. L’unico antidoto possibile, geograficamente parlando, contro il pericolo di un’invasione di terra dei sovietici, nel caso in cui dovesse riscaldarsi la più lunga e gelida di tutte le guerre. Remota, ma pur sempre alla portata delle nostre grandi navi. Strategicamente irrinunciabile, tatticamente imprescindibile. L’importanza dell’Alaska non può essere sopravvalutata! Ma il suo punto di forza, questo è tristemente chiaro, resta allo stesso tempo la sua principale debolezza. Come schierare truppe, piazzare fortificazioni, laddove non esistono le strade o piste di atterraggio… Se non…Via mare? Caricare grandi cargo in quel di San Francisco, Seattle, gli altri grandi centri della Costa Ovest, quindi navigare verso il vasto Nord per qualche giorno, fino a giungere tra i molti golfi sopra la Columbia Inglese, tanto simili, nell’aspetto frastagliato, alle inaccessibili coste di Norvegia. Con pochi, benché ottimi, punti di approdo! Fra tutti, la città di Anchorage, nella profonda insenatura di Cook. Il cui nome guarda caso è già un programma, se mai ce ne fosse stato bisogno. Oltre 280.000 abitanti, un porto eccezionale, vasti spazi e magazzini. Ma adesso pensaci un secondo, sergente, fallo con la mente del nemico. Come ormai sai molto bene, non siamo l’unica superpotenza armata di testate nucleari. E non è certo assai probabile che su esattamente 50 stati di cui due non contigui, l’Alaska e le Hawaii, i russi non abbiano riservato ALMENO un MISSILE per ciascun obiettivo rilevante. Quindi armiamoci, e parti…
Non è chiaro quando fosse stata presa la sorprendente decisione di costruire il Buckner Building ma sappiamo quando è stato completato: nel 1953, giusto quando Georg Dertinger, ministro degli esteri della Germania Est, veniva arrestato per aver fornito informazioni segrete alle spie del blocco occidentale. Assieme a tale monumentale edificio sorse un altro palazzo, assai più piccolo ma pur sempre alto 14 piani, le Begich Towers, collegato con un passaggio rigorosamente sotterraneo. Il piano originario ne prevedeva altri dieci simili, che tuttavia non furono mai portati a termine. Era questa l’epoca in cui nasceva un differente tipo di survivalismo, sotto il senso di minaccia costante di un’imminente apocalisse atomica internazionale. Tornava in auge il desiderio di sopravvivere isolati, solamente sulle proprie forze, e fu forse anche grazie a questo, fra le tante ragioni di supporto, che il governo degli Stati Uniti riuscì a trovare gli inquilini per il suo più bizzarro e inutile capolavoro. Il complesso di Buckner fu per lunghissimo tempo l’edificio più grande dell’Alaska, e per quanto ne sappiamo, ancora adesso può vantare una vasta gamma di record architettonici nazionali. Una realizzazione multi-funzionale che era al tempo stesso abitativa, ricreativa, medica, ristorativa. C’erano un poligono di tiro, una piscina, una libreria, persino un bowling.
Una visione perfettamente realizzata. Nessun satellite avrebbe potuto spiare i movimenti degli abitanti di Whittier, semplicemente perché loro non uscivano praticamente mai, mentre il porto cittadino, all’altro capo di una corposa striscia di terra, continuava a costituire una chiave di accesso alternativa alla regione, tanto più sicura e pratica della luminosa, rumorosa città di Anchorage. Finché nel 1964, appena 11 anni dopo la gloriosa fondazione, non giunse lo tsunami.

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La battaglia delle spade laser stravaganti

Modern Lightsaber

Il problema della vita di frontiera è che trasporta ogni conflitto fino alle sue estreme conseguenze. Tanto che un monaco guerriero Jedi, camminando per i boschi con qualcosa di desiderabile, non può scampare all’esigenza dell’altrui “curiosità”. Star Jones alla ricerca della spada tri-forcuta? Con un vago riferimento alla misteriosa valigetta di Pulp Fiction? Che naturalmente non può fare male, e ciò che spesso ne consegue, almeno a partire dal 1995, senza falla colpire, ovvero: “Cosa. C’è. Nel contenitore?” (Se7en docet, con l’accoratissimo Brad Pitt). Perché vivere o esplorare i confini del mondo, come pure dell’universo conosciuto invero tanto, tanto tempo fa, comporta il peso di un rassicurante pezzo col suo fodero fidato, bene assicurato alla cintura rilevante. La pistola del cowboy. La frusta dell’archeologo; oppur la spada che ferisce, che colpisce, che attanaglia e qualche volta, addirittura, taglia.
L’abbiamo visto succedere parecchie volte, di cui l’ultima, piuttosto recente, è stata la presentazione dell’ormai favoleggiato Episodio VII di quella venerata serie con i droidi cinguettanti, adesso addirittura rotolanti, che seguono saccenti un povero protagonista suo malgrado, fatto con lo stesso stampo del buon vecchio Frodo. Oppure Bilbo, perché dopo tutto c’era stato prima lui, per tutta l’erba pipa del fiume Brandivino. Ancora una volta, si prendono parecchie idee di base, ciascuna tratta da un diverso mondo del creativo: film western d’avventura, filosofia orientale applicata alla maniera dell’alchimia taoista, background fantascientifico di tipo di letterario. Poi si mischiano accuratamente, finché ciò che ne risulta, meraviglia delle meraviglie, appare NUOVO. Nessuno l’ha MAI visto, giuriamo! Wow, guerrieri-stregoni su pianeti desertici pericolosi (cos’è Dune) personaggi secondari che a turno ci offrono il principale punto di vista del racconto (cos’è Kurosawa) missioni impossibili di un gruppo di soldati coraggiosi (la Vera Vecchia Storia dei Cannoni Cosmici di Navarone?) Ma del resto è pure vero che osservando uno dei film più influenti degli ultimi 38 anni in questi termini, si commette una notevole ingiustizia. La principale forza di Guerre Stellari non è mai stata nella trama, nella logica situazionale, nella psicologia dei personaggi. Bensì nell’interminabile e variopinto susseguirsi di minuzie, le invenzioni fervide degli ottuplici disegnatori, ingegneri mancati, truccatori, costumisti ed altri folleggianti specialisti di ogni branca possibile della creatività orientata al grande schermo. Unita all’ottima cinematografia citazionista di George Lucas, ma questa è tutta un’altra storia. Oggi, grazie al bizzarro e simpatico video con effetti speciali dell’arcinoto Mr.TVCow, rivolgiamo la nostra attenzione all’opera dell’animatore di origini coreane Nelson Shin, colui che seppe, per primo, concepire e mettere su pellicola il miracolo di un’arma che non ha sostanza. Letteralmente, grazie all’uso di un taglierino sulla cellulosa. E se ancora oggi, dopo il passaggio di tanti significativi anni, ci stupiamo alla comparsa di una piccola variazione della stessa cosa, va detto che davvero aveva indovinato qualche cosa d’importante.

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