Ciclotreni: la prova che un binario non è morto finché girano i pedali

Ah, la prateria di Camas! Ormai da tempo silenzioso, il tratto di strada ferrata che percorre l’antica riserva degli indiani Nez Pierce in Idaho, tra i fiumi Salmon e Clearwater, è la prova che persino le opere più complicate o laboriose, con il tempo, possono finire dimenticate. Nota con l’appellativo di “ferrovia sui trampoli” per l’alto numero di viadotti e ponti, tutti rigorosamente fabbricati in legno tranne quello lungo 460 metri che attraversa il canyon di Lawyer in prossimità di Craigmont, questo è il tipo di percorso che in diversi luoghi, si trasforma in attrazione panoramica per masse di turisti e appassionati di locomotive, diventando l’orgoglioso punto di riferimento di coloro che l’hanno ricevuto in eredità. Peccato che troppo costoso, in questo caso, è stato giudicato mantenere in condizioni operative quei binari, ormai ricoperti dalla ruggine, le piante ed altri chiari segni d’abbandono, da quando nel settembre del 2000 tutto questo venne chiuso, per mancanza di fondi da parte della compagnia di gestione. E a questo punto fine della storia, per lo meno dal punto di vista degli umani? (Certamente non di flora e fauna, che lavoreranno alacremente per riconquistare quegli spazi) Poco ma sicuro, almeno fino al qui documentato aprile del 2018, quando presso un simile scenario ha avuto luogo il tipo più particolare di spedizione, condotta dal pensionato, per lo meno presumibilmente, Peter Hoffman, con almeno un paio di coetanei ed amici. A bordo di un qualcosa che, sono pronto a scommetterci, molti di voi non avevano mai visto prima.
Il nome tecnico è draisina, per analogia con il veicolo, inventato dal barone tedesco Karl Drais nel 1817, che avrebbe costituito l’antenato maggiormente funzionale dell’odierna bicicletta. Dotato della ruota anteriore sterzante con il familiare manubrio, ma senza traccia alcuna dei ben più pratici pedali, mezzo di locomozione molto preferibile a spingersi innanzi con la suola delle proprie scarpe. Non che tale approccio sia, del resto, in alcun modo necessario per l’attribuzione contemporanea del termine, che dovrebbe corrispondere idealmente a un diverso tipo di dispositivo, il tipico vagone ad uno o due passeggeri, spinto da varie espressioni della forza muscolare, usato in origine allo scopo d’ispezionare o supervisionare i binari. Un qualcosa, insomma, di non direttamente riconducibile alla bicicletta. Almeno fino al 1908, quando sul leggendario catalogo di vendita della catena di grandi magazzini Sears, fece la sua comparsa negli Stati Uniti un curioso dispositivo, capace di adattare la comune due ruote al funzionamento sui tipici binari americani. Un tipo di passatempo, possiamo facilmente immaginarlo, preferibilmente condotto su percorsi abbandonati da lungo tempo.
Ora assai, difficilmente, un prodotto tanto di nicchia e relativamente economico (5 dollari e 45 di allora, equivalenti a 152 odierni) poteva avere un successo di pubblico tale da essere prodotto su larga scala, oppure entrare a far parte di particolari collezioni museali. Ragion per cui, possiamo facilmente presumere che Hoffman & co. abbiano adattato le proprie bici lavorando nella più totale autonomia. Ed almeno a giudicare dal tipo d’informazioni reperibili online, non sono certamente i soli…

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Giappone in rovina: alberghi abbandonati a un paio d’ore dalla capitale

Tagliando rabbiosamente l’aria di campagna col suo terribile ronzio, il drone sorvola le acque tranquille di un particolare tratto del fiume Kinugawa, dove soltanto ai funzionari di governo, i samurai di un certo livello e i monaci del grande tempio shintoista dedicato a Tokugawa, condottiero che completò l’unificazione di quel paese, veniva permesso di compiere le proprie abluzioni. Per la presenza di una sorgente termale sulle pendici di una collina situata a un paio di chilometri e scoperta soltanto nel 1691, le cui acque potevano costituire una preziosa panacea di tutte quelle afflizioni che, nell’epoca antecedente alla modernità, venivano pazientemente tollerate dalla gente comune. Mentre oggi, tutti possono acquisire quel livello di servizi e svago, a patto di disporre di una quantità adeguata di denaro da investire nell’economia di quello che riuscì a diventare, verso la metà degli anni ’70, un vero e proprio resort ad alta percorrenza, paragonabile a un villaggio dalle medie dimensioni. Mentre l’obiettivo della telecamera si avvicina un po’ alla volta, tuttavia, s’inizia a scorgere un qualcosa d’inaspettato: le finestre degli alti palazzi, un tempo ornate da piante, con tavoli per fare colazione o gente intenta a rilassarsi mentre osserva il panorama, appaiono quest’oggi vuote come le orbite di un teschio abbandonato. Neanche un’automobile figura all’ombra delle loro mura, come se d’un tratto, ogni persona avesse lasciato questo luogo all’arrivo di un qualche tipo di catastrofe terrificante, come un terremoto, uno tsunami o perché no l’attacco dei demoni ( oni – 鬼) arrabbiati (okoru – 怒る) da cui prese il nome questo luogo ragionevolmente ameno. Dopo tutto, siamo in Giappone giusto? Eppure, la triste fine della parte derelitta dell’onsen (温泉 – stazione termale) ancora celebre di Kinugawa ( 鬼怒川 ) non ha origini di tipo naturale o mistico, costituendo piuttosto l’effetto collaterale di una serie di casualità di tipo finanziario ed economico, largamente frutto delle manipolazioni umane.
Secondo quanto riportato in vari blog del settore urbex, disciplina di esplorazione abusiva per cui il Giappone del dopo-bolla immobiliare offre un ampio ventaglio d’opportunità, il dramma di questo luogo ebbe inizio al volgere del 1990, quando la banca locale della vicina cittadina di Ashikaga, principale finanziatrice delle aziende che si erano occupate di sviluppare il lato turistico della regione, va incontro a un improvviso fallimento. La ragione fu la stessa della più recente crisi economica globale del 2007-2008: acquisizione di una quantità eccessiva di crediti soggetti a cartolarizzazione, ovvero passati per più volte di mano svalutandosi più e più volte, fino all’evaporazione di un qualsivoglia valore residuo. Prive di una base solida per mantenere salde le proprie finanze, in una situazione ulteriormente appesantita dal calo dell’interesse pubblico nei confronti delle cosiddette okuzashiki (奥座敷 – [case con] la stanza per guardare il giardino) ove ritirarsi dal tram-tram della vita cittadina, le aziende che avevano in gestione il resort caddero l’una dopo l’altra, portando i propri interessi operativi altrove. Ma il loro scheletro, come possiamo ben vedere grazie all’occhio intento a scrutarlo dal cielo, restò lì.

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Berezniki, un’intera città che rischia di sprofondare nel sottosuolo

La città si staglia in controluce sull’orizzonte, mostrando agli spettatori il suo volto composto di magazzini, abitazioni e altri edifici. Ma la sua essenza, ovvero il significato di quello che abbiamo davanti, non può essere raggiunto altrettanto semplicemente dagli occhi umani. Poiché si trova, a tutti gli effetti, sotto terra. Stiamo parlando per essere chiari di un grande centro industriale nel territorio di Perm, circondario autonomo della Russia Occidentale, grazie ai suoi 156.000 abitanti il secondo più popoloso dell’intera regione amministrativa d’appartenenza. Almeno, fino all’epoca presente. Per il suo immediato futuro, non sono molti a poter fare ipotesi. E se aveste rivolto la stessa domanda a uno qualsiasi dei suoi residenti, all’epoca della fondazione nel 1873, avreste avuto più o meno la stessa risposta. Questo in funzione di un campo di lavoro d’epoca sovietica, costruito secondo il protocollo vigente nelle immediate vicinanze di una risorsa considerata importante per il paese, che si trovava sul più vasto singolo giacimento di potassio minerale scoperto a memoria d’uomo, talmente ricco da poter rispondere, ancora oggi, al 10% dell’intero fabbisogno mondiale. Ma non tutto è rimasto lo stesso, da queste parti ed il senso d’incertezza, che un tempo veniva considerato in positivo, conserva ormai le gravi implicazioni di un disastro incombente. La possibile fine immediata di tutto quello che è stato costruito dai sognatori e amministratori di un tempo… E la gente non può dormire, senza sognare di precipitare improvvisamente per un’estensione di fino a 50 piani, dentro il baratro della vecchia miniera.
Le prime avvisaglie si presentarono verso la fine degli anni ’80, quando a causa d’infiltrazioni d’acqua intere sezioni della fitte rete di tunnel sotterranei collassarono su loro stesse, permettendo l’apertura di alcune voragini nei boschi circostanti la città. Ma allora nessuno volle affermare, in maniera evidente, che lo stesso potesse verificarsi in maniera esplosiva da un momento all’altro, presso qualsiasi quartiere del centro abitato. Spesso càpita: nessuno vuole pensare al peggio, nel timore che ciò possa precipitare gli avvenimenti. Finché non diventa del tutto impossibile conservare l’ottimismo. Siamo a luglio del 2007 quando al centro esatto di una zona industriale cittadina, d’un tratto, inizia a comparire una crepa sull’asfalto. La gente, elaborando un immediato sospetto su quello che possa rappresentare, inizia rapidamente a lasciargli spazio. E questa è l’unica scelta che potesse salvargli la vita; nel giro di qualche minuto, la fessura diventa di forma perfettamente circolare, poi s’ingrandisce in maniera rapida e devastante. L’intera sezione di un magazzino scompare alla vista, mentre i materiali contenuti all’interno precipitano rapidamente verso il basso. Ma chiunque potesse pensare che il baratro fosse destinato a riempirsi immediatamente di tali detriti, ottenendo il risultato paesaggistico di un nulla di fatto, era destinato a venire ben presto a patti con la realtà. Di un letterale canyon largo 310 metri e lungo 393, con una profondità di 257, abbastanza vasto da giocarci dentro una partita di baseball della Major League.
Tale luogo sarebbe stato chiamato il Nonno, ed avrebbe continuato, un poco alla volta, ad ampliarsi con suoni terribili e roboanti, causati dal gas intrappolato sotto la superficie di questa terra, un tempo carica di promesse e possibilità. Nel 2010, quindi, avrebbe ricevuto un degno erede con il cosiddetto Giovane, una voragine meno imponente presso un deposito ferroviario, in grado di devastare un’intera linea di capannoni, lasciare i binari sospesi nel vuoto e costringere le abitazioni negli immediati dintorni ad una frettolosa evacuazione. Per un periodo di 14 lunghi giorni, quindi, ogni trasporto via treno del prezioso minerale di potassio venne temporaneamente arrestato, dando una spinta significativa all’esportazione dello stesso a partire dalle miniere canadesi, principali concorrenti sul mercato globale di questa importante risorsa mineraria, usata come fertilizzante, lubrificante, isolante e in campo medicinale. A partire da quel momento cominciò ad apparire evidente, più o meno a tutte le persone coinvolte, che nulla sarebbe tornato più come prima…

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La casa in bilico tra i mondi sopra il fiume Bogotà

Lo scroscio della cascata all’orizzonte sembrava disegnare un arco elegante puntato verso la sommità della montagna, perfettamente accentuato dalla geometria ornata delle colonne del portico costruito dall’uomo. Poche forze naturali costituiscono un pericolo maggiore della folla inferocita, spinta da un obiettivo comune configurato sulla distruzione di un luogo, tutto ciò che rappresenta e quello che potrebbe diventare in futuro. Soprattutto quando ci si trova, come sperimentato da Marìa Blanco e Carlos Cuervo della Fondazione Granja El Porvenir in un drammatico momento risalente all’inizio degli anni 2000, presso una dimora isolata a strapiombo su un baratro, il cui unico, tenue contatto con la civiltà veniva  mantenuto attraverso al serpeggiante strada asfaltata che si estende tra la capitale della Colombia e l’antico sito archeologico di Tequendama, tra le più importanti testimonianze della civiltà precolombiana dei Muisca, che qui costruirono villaggi e santuari scavati nella pietra viva della montagna. Della vecchia Casa del Salto (nota: salto significa cascata) che era stata residenza lussuosa, hotel e infine ristorante, ormai nessuno faceva un uso attivo dalla fine degli anni ’90, quando l’inquinamento del grande fiume sottostante aveva raggiunto un punto tale da emanare un odore putrido e pressoché costante, mentre la gente dimenticava, in assenza d’alternative, uno dei luoghi più affascinanti dell’intera regione. Almeno finché un programma radiofonico in cerca d’ascolti, fin troppo popolare tra i giovani, non iniziò a elencare gli “strani fenomeni” che avevano avuto luogo tra queste insostituibili mura: voci di bambina udibili a tarda sera. L’immagine di una suora che compariva occasionalmente sul balcone. Testimonianze di persone che, dopo essersi avventurate all’interno dell’edificio abbandonato in una sessione di urbex, avevano dimenticato chi erano e dove si trovavano, vagando per molte ore tra le tenebre del piano seminterrato. E con tale vivido coinvolgimento, una tale narrazione era stata proposta al pubblico mediatico dai conduttori dello show, che un gruppo di “coraggiosi” in cerca di svago e avventura si era organizzato per presentarsi alla porta dell’infernale edificio, ignorando che quest’ultimo era stato acquistato, nel frattempo, da un ente non a scopo di lucro che stava cercando finanziamenti per il restauro e trasformarlo in un museo. Ora, nella maniera in cui i due responsabili hanno raccontato l’episodio, non è chiaro il modo in cui sia stata effettivamente disinnescata la situazione. Poiché pare che assieme a coloro che intendevano compiere una seduta spiritica, una parte degli assaltatori avesse il volto parzialmente coperto con un cappuccio nero e minacciasse a chiare lettere di bruciare l’abitazione, se soltanto qualcuno non si fosse affrettato ad aprire immediatamente l’uscio e lasciargli esorcizzare gli spiriti dell’oscura magione. La polizia, se pure chiamata immediatamente, sarebbe giunta soltanto dopo parecchio tempo, in funzione della località isolata della casona mentre sembrava che soltanto un Deus Ex Machina di natura sovrannaturale avrebbe potuto, in qualche modo, salvare la situazione dal degenerare ulteriormente. E forse, chi può negarlo? Che in quel particolare momento, da una fessura comparsa tra le nubi soprastanti il grande Salto, sia comparso lo spirito barbuto dello stesso eroe sovrannaturale il quale, secondo le leggende dei nativi, aveva deviato il corso delle acque per evitare il compiersi di una seconda Atlantide degli altopiani. Soltanto per ordinare con voce imperiosa “Ora basta!” e cambiare, ancora una volta, l’immediato destino di una delle più importanti testimonianze nella storia dei suoi discendenti.
La Casa ebbe origine al principio degli anni ’20, quando la celebre figura del generale, ingegnere e politico Pedro Nel Ospina Vázquez, destinato a diventare nel giro di poco tempo capo di stato della Colombia, decise di aver bisogno di una residenza per le vacanze, dove ritirarsi tra un decreto e l’altro allo scopo di pianificare in santa pace la crescita economica della sua nazione. L’edificio, costruito in un prestigioso stile Repubblicano Francese, reca la firma ufficiale dell’architetto Carlos Arturo Tapias, anche se furono in molti a pensare che molte delle soluzioni impiegate, non ultima tra le quali l’assurda collocazione sul ciglio del vasto canyon di fronte allo spettacolo della cascata, fossero il chiaro frutto della stessa capacità visionaria di El Presidente. Furono gli anni formativi, per la lussuosa villa, durante i quali il ricco possessore vi trasferì la più fantastica collezione di arredi e decorazioni, tenendovi importanti ricevimenti con alcuni dei personaggi più importanti della politica e la cultura di Bogotà. Ma l’incertezza economica tra le due guerre, unita alla sempre difficile situazione amministrativa dei paesi sudamericani, avrebbe posto anticipatamente fine al mandato di quest’uomo nel 1926, portando a riconsiderare l’impiego di molti dei suoi palazzi e proprietà. Tra cui la celebre casona, che visto il posizionamento strategico al termine estremo delle Ferrocarriles Nacionales de Colombia, avrebbe finito per costituire un perfetto luogo di soggiorno dedicato a tutti quei viaggiatori avventurosi che, spinti dalle testimonianze dei primi letterati che avevano sperimentato le meraviglie di questi luoghi, si sentivano pronti a vertiginose escursioni nella valle incantata e l’infinita foresta sottostante. Dovete considerare come, prima che la popolazione di Bogotà aumentasse in maniera esponenziale e con essa il flusso degli scarichi fognari, il fiume ancora non emanava alcun odore sgradevole, lasciando questo luogo incontaminato come una sorta di punto di contatto privilegiato con la natura. L’atmosfera dell’hotel continuava a presentarsi, nonostante questo, come altamente ricca e formale, con camere dal costo elevato, mentre ci si aspettava un certo livello di abbigliamento e status sociale da parte dei visitatori. Con il progredire verso la metà del XX secolo, tuttavia, le cose iniziarono gradualmente a cambiare e l’hotel ad assumere un alone tenebroso di cui suo malgrado, non sarebbe mai più riuscito a liberarsi.

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