“La lontra di mare” rispose il professore, al complicato terzo esame di biologia dell’UMAR di Oaxaca, mentre l’assistente annuiva con palese convinzione, sorridendo per il semplice suggerimento che potesse essere altrimenti. “Certo, se prendiamo come riferimento la regione del meridionale del continente americano” Risposi con un tono conciliatorio, nella speranza di non essermi giocato l’occasione di un voto superiore al 29: “Ma qui occorre esaminare in cosa consista, esattamente, la definizione di una simile categoria.” Ora l’esimio accademico, evidentemente abituato a non essere mai contraddetto, aveva sollevato significativamente le sue sopracciglia folte e nere. Gettai uno sguardo fuori dalla finestra, alle nubi cupe e tempestose che si stavano addensando all’orizzonte. “Creature perfettamente adattate alla vita acquatica, ma che diversamente dalla superclasse ittica, partoriscono i propri piccoli già vivi e li allattano, secondo i metodi comunemente utilizzati dai loro colleghi di terra.” Una lieve risatina nervosa tra i MIEI colleghi, in attesa del loro turno, acuì il senso di aver commesso un errore strategico piuttosto significativo. Ma era troppo tardi per tornare indietro: “Inoltre, nella maggior parte dei casi, è palesemente acclarato nei loro trascorsi evolutivi un periodo di adattamento alla vita terrestre, sancendo l’occasione del ritorno alla vita dei loro antenati. E quale miglior casistica, in tal senso, è apprezzabile di quella di creature che ancora oggi possiedono sostanziali equivalenze nella più profonda ombra della foresta pluviale?” Ora nella vasta aula era calato il silenzio. Molto chiaramente, in molti avevano sviluppato una sorta di curiosità morbosa in merito a cosa stessi alludendo: “Perciò capisce, non è per nulla errato riferirsi in questo caso al Myotis vivesi, una creatura il cui nome comune è…” In quel preciso attimo, un fulmine risuonò improvvisamente fuori dalla finestra, e una piccola palla di pelo entrò atterrando malamente sulla cattedra, per rotolare una, due volte. Tutti trasalirono e tra il pubblico si udì almeno un grido di sorpresa. L’animale guardò dritto verso di me, con occhi tondi e umidi, evidentemente spaventati. “Swuee!” Disse il pipistrello. Il pipistrello pescatore messicano, s’intende.
Può sembrare certamente strano che una tale commistione di elementi, tra le abitudini alimentari che vediamo normalmente caratterizzare uccelli come i gabbiani e la più celebrata nonché temuta creatura della notte, possa destare un sentimento collettivo pari alla più totale ed assoluta indifferenza. Tanto che lo stesso Guinness dei Primati, punto di riferimento classico per la cultura generale dei non iniziati (nonché tradizionalmente, i bevitori di birra al pub) riporta la Lontra felina del Pacifico come collega più minuto dell’orso polare, inteso come principale mammifero capace di trarre il proprio sostentamento interamente da creature e situazioni marine. Ma se è possibile estendere una simile categoria al plantigrado, tipico esempio di quadrupede deambulatorio, non si capisce perché mai la stessa cosa non possa succedere per esseri che occupano in volo lo spazio dei cieli notturni. Membro del vasto e variegato genere dei Mylotis dalle orecchie di topo, una suddivisione ulteriore dei vespertilionidi o “micro-pipistrelli” col pelo folto e una lunghezza raramente superiore ai 15-20 cm, questo grazioso essere che occupa principalmente isole deserte a largo della Bassa California ed entro lo spazio protetto del Mare di Cortez fu per la prima volta descritto nel 1901 dal naturalista in visita Auguste Ménégaux, sebbene solo successivamente sarebbe stato possibile trovare una conferma per la sua caratteristica maggiormente distintiva: l’abitudine a trascorrere ogni notte un tempo variabile, tra una ed otto ore, a compiere grandi escursioni sopra il pelo delle onde, tuffandosi ripetutamente e ritornando in aria con qualcosa… Di vivo. Pesci, principalmente, ma anche crostacei, stretti saldamente tra il suo paio di zampe raptatorie che potrebbero quasi costituire una versione in scala degli artigli di un’aquila, se non fosse per la loro concezione prettamente aerodinamica, capace di ripiegarsi su se stessa e sparire quasi parallelamente al corpo. Con dita simili a un ventaglio, più che ideali al fine di trafiggere e tenere ben strette le proprie vittime designate, così come la fitta fila di dentini acuminati, da un aspetto che ci troveremmo maggiormente inclini ad attribuire a un famelico piraña volante. Questo perché al momento di nutrirsi, il M. vivesi è solito compiere un’acrobazia assai distintiva: quella consistente nell’aprire la sua bocca e trangugiare il pasto, senza neanche pensare a fermarsi…
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Guardare, non toccare: c’è una spina velenosa sull’aguzza mantide di mare
L’evidente risultanza di una circostanza evolutiva reiterata, nonostante appaia superficialmente assai rara. Il dito della natura che punta contro di te e solennemente rivolge la sua domanda: “Benvenuto all’ultimo dei tuoi giorni, essere…Vivente. Come desideri riuscire a reincarnarti? Un fantasma… O uno scheletro?” Porque no los dos? Affermava con tono accattivante la simpatica bambina americana, nella pubblicità del preparato per i tacos “duri e morbidi” venduto al supermercato. Tuttavia non c’è un grande negozio negli abissi silenziosi dell’umido globo solare. E dunque per nutrirsi, occorre ogni vantaggio che sia possibile acquisire sulla strada serpeggiante degli eventi. Come un paio di chele raptatorie. Multiple antenne. Un corpo che si annoda attorno alla vegetazione, mimetizzandosi e sfruttando al tempo stesso le instancabili oscillazioni della corrente! Con un risultato stranamente familiare, agli entomologi e gli scrutatori della Terrafirma, per un approccio alla questione nutritiva che ricorda l’animale religioso per eccellenza, la cui “preghiera” è sempre consistita nel ghermire piccole cose volanti via dall’aria. E quindi suggerle con le mandibole affilate come pugnali. Ma esiste pure il caso, di un crostaceo propriamente detto, vero e proprio anfipode, come sua cugina la pulce di mare. Che per questo non possiede “solamente” sei zampe, bensì un gran totale di 18, molte delle quali deputate a una funzione molto specifica, di cui ghermire è solamente quella più evidente; così il paio più avanzato si occupa di sminuzzare e trangugiare il cibo. Mentre quelle posteriori sono simili alle dita di una mano artigliata, concepita per stringere saldamente i gambi d’alga o di colonie degli idroidi, come dei perduti ramoscelli di una pianta che sa replicare se stessa. E tra quelle che si trovano nel mezzo, alcune ospitano branchie, altre sacche delle uova, altre ancora sono atrofizzate e ormai del tutto inutili; perché si può finire per avere troppo, addirittura di una cosa buona come questa. Così appare chiara, almeno in linea di principio, questa immagine di una creatura lunga e affusolata, come una sorta di millepiedi degli oceani del nostro pianeta. Se non fosse ritornato a intervenire, a più riprese nella lunga serie dei momenti pregressi, l’ingegnoso pennello creativo del demonio. Tale da creare uno degli esseri più visualmente aggressivi e potenzialmente inquietanti dell’intero regno animale.
Ed è una fortuna, senza dubbio, che stiamo parlando di una creatura normalmente non più lunga di 5 cm, nelle plurime incarnazioni degli oltre 1300 generi riconosciuti all’interno della famiglia Caprellidae, dimostrando un’eccezionale propensione alla speciazione e conseguente capacità d’adattamento, per un tipo di creatura che ricorre, in una forma o l’altra, nella stragrande maggioranza dei Sette Mari. Poiché se cose come queste fossero imponenti, intelligenti e predatorie, cose come queste popolerebbero i nostri peggiori incubi ancor più di quanto ci riescano con chi è affetto da thalassofobia. L’irrimediabile, ed in qualche modo comprensibile paura degli abissi marini. Che qui trova la più squisita e imprescindibile realizzazione, per chiunque inizi la propria esistenza come larva di pesce o altra creatura planktonica, incapace di resistere alla forza che finisce per portarla alla sua portata. Rischiando di aver trovato per sua sfortuna uno dei cattivi gamberi scheletrici… O fantasma. Non tutte le specie, dopo tutto, sono inclini a fare questo, prendere una cosa viva e trasformarla in cibo, essendo la stragrande maggioranza delle specie per lo più detritivore, agendo come veri e propri spazzini dei mari. Per non parlare di quelle, ecologicamente ancor più rilevanti, che si nutrono esclusivamente di diatomee, piccole alghe unicellulari dal resistente involucro gelatinoso, favorendo il passaggio delle loro preziosissime sostanze nutritive a punti più elevanti della catena alimentare. Una tendenza che difficilmente può prescindere, da qualsiasi abitante delle letterali giungle dove raramente giunge a pieno titolo la luce della nostra (Buona) stella…
Ecce gavia: piumata origine dell’urlo che risuona in ogni genere di film hollywoodiano
Come in una sorta di meditazione ricorrente, quello strano suono è ricomparso nei capitoli più strani e salienti della mia vita. Mentre camminavo nella foresta, sapendo di essere sfuggito all’olfatto impeccabile del lupo cattivo. Fuori dalla stanza degli esami della scuola d’arte, nelle tenebre di un cielo senza Luna. Mentre camminavo nello spazio angusto di una trincea in guerra, in mezzo ai colpi rimbombanti dell’artiglieria nemica. In visita al pianeta natìo del malefico essere intergalattico Thanos, sottolineando l’apparente quiete che precede l’ultima battaglia. Simile al richiamo di un gufo, ma più profondo, non troppo dissimile dalla nota prolungata di uno strumento a fiato, caratterizzata da una simile inerente complessità auditiva. Prima un incipit, verso la metà di un ottava, quindi un brusco e tremulo aumento di frequenza per poi scendere di nuovo, in un solo movimento fluido degno di un cantante d’opera di lunga carriera. Ma ho partecipato veramente a simili momenti? O li ho soltanto visti da lontano, attraverso la lanterna magica di un proiettore, seduto comodamente sopra le poltrone cinematografiche di questo ben più noioso (e qualche volta, prevedibile) mondo… Realtà e fantasia si fondono, mentre la linea di demarcazione sfuma progressivamente oltre il baratro della non-esistenza. Il tutto accompagnato dal sussurro vibrante, e ripetuto, dell’uccello noto dalle nostre parti come strolaga (o gavia) e agli anglosassoni con l’onomatopea onomastica di loon.
E non chiamatelo, assolutamente, un’anatra. Né un’oca, sebbene nelle dimensioni si trovi esattamente tra l’una e l’altra, essendo inoltre dotato della stessa forma tondeggiante di un uccello fatto per riuscire a galleggiare facilmente, mantenendo il giusto grado d’isolamento dalle condizioni climatiche del freddo settentrione. Dove dovrebbe normalmente risiedere, se un’intera generazione di tecnici del suono, copiandosi a vicenda, non avesse scelto di eleggerne il caratteristico prodotto auditivo a simbolo perfetto del mondo selvaggio, naturale e in qualche modo sottilmente inquietante. Scelta non del tutto incomprensibile, quando si raffronta questo susseguirsi di possenti sibili ululanti alla risata di una iena, o l’enfatico confronto di un intero gruppo di scimmie. Nella maniera ampiamente dimostrata dal recente video della testata Vox, che ne ha realizzato una disquisizione ricca e approfondita, corredata dai commenti dell’esperto Terry Sohl (Dakota Birder) utente social particolarmente entusiasta di poter confermare uno degli aspetti più letteralmente stonati dell’attuale cinematografia d’intrattenimento: il ricorso frequentemente improprio al verso della gavia, persino in situazioni ed habitat del tutto impossibili, quando non si giunge addirittura a mostrare coerentemente un uccello del tutto diverso. Laddove l’effettivo aspetto ed eleganza di questo intero genere d’uccelli, perfettamente esemplificato dalla specie di maggior diffusione G. immer (“comune” o “settentrionale maggiore”) avrebbe pienamente giustificato la sua inclusione in ogni tipo di pellicola, considerata la notevole livrea del piumaggio, con un campo nero punteggiato di macchie bianche notevolmente regolari, mentre la testa ed il collo risultano tinta unita fatta eccezione per il distintivo ornamento di una gorgiera a strisce, degna del miglior ritratto di epoca Elisabettiana. E un becco dalla forma e il senso di minaccia tipici di un vero e proprio pugnale, per l’appunto usato dall’uccello con crudeltà niente affatto minore, durante i lunghi tuffi in immersione effettuati fino alla profondità incredibile di 60 metri, alla ricerca di un’ampia varietà di piccole creature marine. Mentre la conformazione stessa del suo corpo, ad un più attento esame, si rivela per ciò che è davvero: perfetta coniugazione di fattori idrodinamici in una guisa tanto affusolata, da riuscire a sfidare l’innata resistenza delle acque maggiormente torbide e gelate. Le gambe arretrate, tali da ridurre l’agilità sulla terra ferma. Finendo per ricordare in effetti, piuttosto che l’anatra precedentemente menzionata, una sorta di vero e proprio pinguino volante. E che sa staccarsi, in effetti, da terra con estrema abilità e perizia, se è vero che talune gavie viaggiano fin dalle soglie dell’Artico per molte migliaia di chilometri, fino agli accoglienti laghi meridionali di California, Messico, Francia, Spagna e Portogallo, per trascorrere l’inverno tra una stagione e riproduttiva e quella successiva…
“È soltanto una fase” dicevano. Ma un assolotto non può scegliere di essere salamandra
Alla ricezione di un segnale cronologicamente ineluttabile, la parte del cervello nota come ipofisi comincia ad operare il compito per cui è stata inclusa all’interno dell’organismo umano. Secernendo ormoni, stimola le gonadi, trasformando la funzione degli organi riproduttivi posseduti da entrambi i sessi, mentre il corpo dell’uomo si ricopre di peli e riempie di muscoli, la donna vede svilupparsi il bacino ed il seno. Il momento della pubertà rappresenta, sostanzialmente la perfetta metamorfosi, senza l’utilizzo di alcun bozzolo e soltanto lati positivi per il proseguire della propria esistenza. Ecco perché dal punto di vista del bipede sapiens, non c’è alcun tipo di ragione per ritardare o rinunciare a un simile processo. Pensate invece a un bruco, che spiegando le sue ali sa di essere entrato nell’ultima stagione della sua esistenza, essendo rimasto talvolta persino privo degli organi necessari a continuare a nutrirsi. Se quest’ultimo potesse rinunciare a un tale “onore”, potendo nonostante ciò dare un proseguo alla propria specie, pensate davvero che l’evoluzione avrebbe impedito quel cambiamento? Ciò di cui stiamo parlando prende il nome essenzialmente di neotenia, e consiste nel raggiungimento della maturità sessuale mantenendo nel contempo alcuni tratti esteriori, o caratteri biologici tipici dell’età infantile. Tale aspetto è presente nell’uomo soltanto in alcune caratteristiche, salvo malformazioni individuali, quali l’abilità di digerire il latte anche successivamente alla stagione in cui raggiunge l’età adulta. Ma c’è almeno una creatura, in Messico, che può dirsi l’effettivo Peter Pan del mondo naturale, assolutamente abituata a mantenersi giovane nel corpo e nella mente, per l’intera lunga durata dei 15 anni della propria esistenza. Molto superiore a quella di qualsiasi altra salamandra appartenente alla sua stessa famiglia.
Ambystoma mexicanum o più comunemente axolotl (assolotto) dall’appellativo del dio del fuoco e del fulmine secondo gli Aztechi, protettore dei mostri e dei gemelli, che si narra essersi trasformato in una di queste creature allo scopo di sottrarsi al sacrificio collettivo degli esseri superni, reso necessario dalla necessità di dare inizio al quinto Grande Ciclo dell’esistenza. Non che questo, a quanto pare, sia risultato sufficiente a salvarlo. Benché un qualche ottimo presupposto di riuscire a farlo dovesse pur essere stato presente, data la straordinaria capacità di rigenerazione posseduta da questi animali ormai rimasti allo stato brado soltanto in un singolo lago in prossimità di Città del Messico, che qualora dovessero riportare ferite o infortuni, possono ricreare agevolmente arti, coda e addirittura organi complessi, quali occhi, cuore e sistema nervoso. Mentre in laboratorio si è scoperto come possono persino incorporare tali “parti” prelevate da un loro simile, le quali mantenute a contatto con il loro corpo riacquisteranno gradualmente il 100% della funzionalità. Un altro vantaggio, se vogliamo, del restare in bilico prima dell’attimo fatidico della trasformazione, quando i vecchi errori vengono dimenticati e tutto può tornare alle condizioni ideali di partenza. A meno che…
Quello che state vedendo nella foto di destra qui sopra è in effetti sempre un assolotto, ma che per un assoluto scherzo del destino, ha visto terminare il suo stato di grazia. E ad un segnale irresistibile, ha terminato di svilupparsi. Verso l’ottenimento di quella che può presentarsi unicamente come una vera e propria salamandra scavatrice (gen. Ambystoma) morfologicamente non dissimile dalla parente prossima A. tigrinum, però priva della caratteristica livrea che l’ha resa amata nei terrari di mezzo mondo, qui sostituita da un semplice color nero opaco. Una condizione abbastanza poco comune, nei fatti, da motivare un’approfondita documentazione degli eventi futuri, al fine di poter raggiungere un consenso per gli altri appassionati che dovessero trovarsi a dover gestire questo tipo di evento…