Cosa fare se si cade nel lago ghiacciato

Pattinare lietamente sopra il lago. Praticare un foro con il trapano a mano, in cui far penetrare la pregiata lenza. Giocare una partita a palle di neve, in un luogo in cui nessun albero possa essere impiegato come copertura. La vita è fatta di piccoli momenti che si muovono ordinatamente in fila, come le zampe di un millepiedi ubbidiente. Finché sul sentiero, sfortunatamente, non capita un oggetto inaspettato: il sasso, il cappuccio della penna, il pezzo di buccia di limone. Ed è a quel punto, in genere, che accade il patatrac. Orribile terrore. Inclemente dannazione. Eh, già! Nonostante le attenzioni, la prudenza, l’incombente senso di condanna che ci segue dal mattino fino a sera, tutte cose che ci portano a evitare “la cosa” è inevitabile che a volte “la cosa” riesca nondimeno a verificarsi. A quel punto, dunque, tutto quello che ci resta è rimanere immobili, sprofondare. E morire. O lasciarci andare al flusso dell’istinto, agitandoci in maniera forsennata, nel tentativo di tornare in qualche modo tra i viventi. E morire, lo stesso. Cosa pensavate? Che fosse possibile, senza alcun tipo di aiuto, tirarsi fuori dall’acqua prossima allo zero, mentre ci si trova nel bel mezzo di una lieve superficie trasparente, la quale molto chiaramente, non può sostenere il nostro peso umano? Voglio dire, tutto è possibile. Ma ammesso e non concesso che una persona comune si ritrovi in questa situazione prossima alla Fine, cosa volete che ne sappia, costui, del giusto metodo di comportarsi…A meno che…Abbia visto l’utile video educativo di Adam Walton, guida del Wisconsin e fondatore della compagnia Pike Pole Fishing, grande pescatore nonché paramedico certificato dei pompieri di Edgerton, nella contea di Rock. L’uomo disposto a soffrire un simile destino per ben tre volte, se soltanto questo può servire a salvare delle vite da qualche altra parte, prima o poi. È tutta una questione di priorità. Una volta che il fisico si abitua, tutto ciò che resta e dominare i propri istinti con la mente. E il senso assoluto d’autodeterminazione.
La scena inizia in un giorno dall’aspetto alquanto polare (a dir poco) con cielo coperto dalle nubi e suolo totalmente imbiancato, tutto attorno ad una polla d’acqua la cui superficie, ormai, è stata trasformata in uno specchio semi-opaco. Poco prima che costui, o i membri della sua nutrita equipe, praticassero un ampio foro dalla forma grossomodo circolare, inteso a rappresentare lo spacco “accidentale” che sarebbe stato indotto dall’incauto sopraggiungere dell’uomo o donna soprastante, per ingoiare entrambi e trascinarli al di sotto della soglia di sopravvivenza. I più attenti ai dettagli, a questo punto, avranno già notato che l’eroe del giorno indossa un pratico giubbotto di salvataggio, facilitazione che probabilmente, ben pochi di quelli coinvolti in simili incidenti hanno avuto dalla loro parte. Ma piuttosto che criticarlo per il poco realismo, io preferirei intendere questo dettaglio come il primo, e più importante dei consigli: se c’è questo bisogno, più o meno motivato, d’inoltrarsi verso il centro del lago ghiacciato, indossatelo! Non vi verrebbe mai in mente di nuotare fin lì senza averlo. E ghiaccio o non ghiaccio, là sotto c’è ancora la stessa identica massa d’acqua, pronta ad accogliervi nel suo soffocante abbraccio. C’è appena il tempo di pensarlo, quindi, quando Adam prende e si tuffa senza un attimo di esitazione, sprofondando immediatamente fino al petto. Prima iterazione: l’ipotesi peggiore. Non avete attrezzi di nessun tipo, e l’aiuto è ancora lontano. Un essere umano in buona salute, generalmente, può sopravvivere nell’acqua a 0 gradi tra i 10 e i 15 minuti, oltre i quali, sopraggiunge il torpore e gli organi cessano di funzionare correttamente. Prima di reagire istintivamente, dunque, occorre fare i propri calcoli accurati. Questo è il primo aspetto sorprendente del video: se cadete laggiù, non tentate subito di tirarvi fuori, ci spiega lui. Aspettate almeno 2 o 3 minuti, perché il corpo cessi d’iperventilare in modo incontrollato e sopraggiunga nuovamente l’assoluta calma. Può sembrare assurdo, ma da un certo punto di vista non lo è per nulla. Se si pensa che le nostre energie residue, a quanto ne sappiamo, siano sufficienti per un unico tentativo, sarà nostro interesse assicurarci di effettuarlo mentre siamo al nostro meglio. Balzando fuori, nella speranza che l’intento porti ai risultati tanto disperatamente ricercati.

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La torre ghiacciata in bilico sul grande inverno

Tuono e fulmini, il soffio del vento come il sibilo di Jörmungandr, la serpe sotterranea che avvolge il mondo. Nubi fosche avvolgono le case della piccola città. Il cui alito nebbioso porta con se l’aria gelida del più remoto Nord. “Povero, dolce figlio dell’estate!” Come farebbe dire George Martin alla vecchia Nan: “Tu non capisci davvero il gelo.” E dopo la notte, svegliarsi come nulla fosse, percependo qualcosa di strano nell’aria. Una durezza, una rigidità diversa, mentre le membra faticano a spostarsi fino alla finestra. Il freddo è uno spettro che permea le stanze illuminate dalla luce dell’alba. Uno sguardo alle temperature locali, dal cellulare lasciato distrattamente sul tavolo da pranzo: -26 gradi in zona. Ah, però! Scosti le tende di scatto, volti lo sguardo al lago. Sul molo della città di Joseph, costa orientale del lago Michigan, c’erano un tempo due fari. Adesso ce n’è uno, vicino alla riva, mentre quello lontano è un ghiacciolo.
È un’immagine che ha fatto il giro del mondo per la prima volta quest’anno, benché in effetti si stia verificando ormai da svariati inverni. Quando il mercurio del termometro scende al di sotto di una certa tacca, anche se sulla terraferma cade poca o pochissima neve, determinati oggetti ad est del quinto più grande lago al mondo si ricoprono di una rigida coltre bianca, tale che l’originaria superficie, generalmente, scompare sotto la coltre del netto bianco. Ma che potesse avvenire su questa scala lo scopriamo soprattutto grazie all’opera di Reyna Price, proprietaria della Great Lakes Drone Company, la quale ispirata dall’opera del fotografo locale Josh Nowicki ha deciso, quasi per caso, di rendere onore a questo straordinario fenomeno della natura. E c’è differenza, questo è chiaro, dal sentire qualcosa descritto a voce e vederlo fotografato da terra, piuttosto che girargli tutto attorno alla velocità degli uccelli, fluttuando all’altezza della sua sommità più estrema. Per conoscere a pieno l’aspetto di questa torre impossibile, che pare uscita da un film della Disney, sembra uno scenario tratto dal mondo ludico di Dark Souls. Nel giro di breve tempo, dunque, la donna con il telecomando è stata contattata dalla compagnia per video virali e marketing del web Storyful, ottenendo la pubblicazione sull’ABC News. Da lì al resto del mondo, il passo era davvero breve. E in un attimo, fu dietro di lei.
Oltre un milione di visualizzazioni nella metà di una settimana, di cui purtroppo, ed aggiungerei ovviamente viste le usanze comuni del web, “appena” 89.000 presso il canale ufficiale della compagnia. Ma stando all’intervista dell’Herald Palladium, giornale locale della città, Price non se l’è presa troppo per questa situazione, sembrando piuttosto felice dell’occasione di portare attenzioni internazionali alla sua beneamata città natìa. Un’ottima storia, con tanto di lieto fine, se non fosse per la questione di fondo che in buona sostanza, nessuno si è preoccupato di trattare: qual’è la ragione per cui determinati edifici sul lago Michigan si ghiacciano completamente, ed altri invece no? Si tratta realmente di un semplice fenomeno atmosferico, o c’è dietro l’agitarsi della bacchetta di Elsa in Frozen, che cantando poderosamente le ragioni del suo trionfo, cancella fino all’ultima traccia di tiepida benevolenza residua? Senza indugiare oltre, dunque, sarà meglio procedere con lo SPOILER ALERT: è vera la prima – non c’è niente di assurdo oppure sovrannaturale in quello che state vedendo. Si tratta di un effetto inevitabile della condizione meteorologica nota come effetto-lago, che fin dai tempi dell’invenzione dei termometri ha condizionato la situazione costiera del Michigan, ma anche gli estremi occidentali di New York, Ohio, Pennsylvania ed Indiana. Ma non del Wisconsin, che pure si affaccia sullo stesso sistema dei cinque Grandi Laghi, costituenti tutti assieme una delle riserve d’acqua dolce più grandi del mondo, superata in estensione lacustre soltanto dal (salato) Mar Caspio. E la ragione ve la dico subito: se tutto questo succede, la colpa è dei venti. O per meglio dire, di ALCUNI tra loro.

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L’aspetto insospettabile degli iceberg capovolti

Tasman Iceberg

Il suono come un soffio di balena, dovuto alle particelle d’aria che si liberano dalla dura scorza d’acqua eternamente congelata, mentre questa si crepa e spacca in più punti. All’orizzonte dalla nave, tutto quello che si vede da principio è quella preminenza acuminata, simile alla pinna dello stesso, enorme mammifero marino. Ma è di tutt’altra cosa che si tratta: un grande oggetto inanimato, se così vogliamo giungere a ridurlo, o ancora meglio un essere di tipo minerale, privo di cervello, cuore, muscoli e quant’altro, eppur dotato di quel desiderio di spostarsi alla ricerca di un qualcosa, assieme a un soffio dell’arcaica ed incancellabile vitalità. La storia non è meno speciale di quella di un qualsiasi altro suo simile, benché l’esatto tempo trascorso dall’epoca del varo/nascita  debba necessariamente eluderci o in altri termini, restare un segreto, ahimè.
A differenza della precisa modalità generativa di un tale evento, che invece ci è ben nota: tutto ebbe inizio in alta montagna, presso i picchi dei Tasman ed Aoraki dell’Isola del Sud, paese: Nuova Zelanda. Ove esiste praticamente da sempre, questa impressionante scia di neve congelata, lunga 27 Km e larga 600 metri, che per via dell’effetto della forza di gravità deve fluire sempre verso il basso, sviluppando una pressione per centimetro simile a quella di una pressa colossale. Mentre da sotto, le ruvide rocce del massiccio premono ed abradono, generando un fondo granulare e straordinariamente ben compattato. Per la letteratura scientifica, il termine riferito ad una simile esistenza è ghiacciaio. Ma ben presto questo qui diventerà soltanto un semplice “ricordo”. Il fatto è che il 22 febbraio del 2011, un terremoto 6,3 della scala Richter si è abbattuto nella zona di Christchurch, arrecando enormi danni alla popolazione e causando la morte più o meno indiretta di 185 persone. E causando pure, lassù presso le vette più vicine, lo smuoversi di circa 40.000.000 di tonnellate di ghiaccio e neve, improvvisamente spinte a valle per l’effetto della loro stessa massa impressionante. Superato quindi il lago Tasman, dove le nevi dell’omonimo ghiacciaio s’incontrano ancor oggi con quelle del Murchison, il serpente candido ha raggiunto il bordo massimo del mondo. Quindi, senza un attimo di esitazione, si è buttato giù. Il fenomeno in questione, con le guglie e i contrafforti che si staccano uno per uno per poi ritrovarsi  a galleggiare nell’azzurro mare, trova l’identificazione anglofona di calving, ed è all’origine della costituzione di un particolare tipo di iceberg. Che include anche quello del nostro video, ripreso da un turista facente parte del Wombat Studio, canale con apparenti finalità promozionali tra gli innumerevoli di YouTube. Niente di nuovo sotto il Sole. Ed allora perché, tra i commenti al video, il consenso collettivo pare essere quello che grida alla falsificazione? Avendo nei fatti costretto l’autore a pubblicare un secondo spezzone, in cui egli ci mostra l’iceberg molto più da vicino… Il fatto è che l’estetica di questo ammasso di ghiaccio sottoposto ad un momento di fondamentale rinascita risulta essere, per usare un eufemismo, straordinariamente inusuale. Ciò che è capitato di riprendere al nostro eroe in questo frangente, infatti, è il preciso momento in cui la montagna vagante si è sciolta nella sua parte superiore in modo e con priorità tali da essersi trovata instabile, e prendendo il via da un lato all’improvviso si ribalta. Per mostrare un lato sottostante totalmente differente dalla controparte. Perché liscio e globulare, innanzi tutto, ma poi soprattutto di un colore azzurro intenso, costellato di brillori e sfolgorii. Davvero, il grande essere non-vivente-ma-quasi, pare all’improvviso risvegliarsi per mostrarsi in tutto il suo splendore inaspettato. Dunque, non vorreste sapere PERCHÈ può succedere una tale cosa?

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La cerimonia più importante del Polo Sud

Geographic South Pole

Un astrofisico, un geologo ed un tedesco entrano in un bar. Fuori c’è bel tempo ma fa un po’ freddino. Il geologo dice agli altri due: “Allora, come ci si sente a trovarsi sul 90° parallelo?” E l’astrofisico risponde: “Più che altro, vorrei poter guardare con il mio telescopio la stella di Sigma Octanis, ma come sapete qui il sole non tramonta praticamente mai…” Al che il tecnico addetto alle comunicazioni, pilastro a pieno titolo della stazione di ricerca americana Amundsen-Scott, appoggiato sul bancone il suo bicchiere di succo d’ananas, esclama con perfetto accento berlinese: “E ti credo! Ogni volta che spostate quel dannato palo, cambiate il fuso orario di sei-sette ore!” Cala il silenzio in sala. Qualcuno, dalla direzione della porta, sghignazza sguaiatamente. Altri restano in silenzio, contemplativi. Perché ben sanno cosa c’è in fondo al corridoio, vicino alla porta a tenuta stagna che la collocazione relativa, l’abitudine e le circolari delle diverse generazioni di direttori hanno fatto eleggere ad ingresso principale: una vetrina su cinque livelli, ciascuno dei quali carico della più bizzarra selezione di modellini metallici, di bussole, edifici a misura di gnomo, piccoli pianeti di vario tipo… Siamo alla fine di dicembre, ormai, è tutti qui sanno che presto, un’altro curioso oggettino dovrà unirsi alla collezione. Mentre un gruppo di addetti attentamente selezionato, avventurandosi nella relativa calura estiva (quaggiù le stagioni sono invertite) di -15, – 20 gradi, raggiungeranno un punto specifico della pianura presso cui sorgono queste solide mura, ad un altitudine di 2.835 metri sul livello del suolo. Per piantare un qualcosa di splendido e straordinariamente significativo: un attrezzo che se fosse una pianta, sarebbe l’albero del mondo. Se si trattasse di una stella, costituirebbe l’astro benedicente del mattino.
È un momento solenne. Una vecchia tradizione. Questo centro di ricerca del resto, il più famoso tra i circa 70 che poggiano sui ghiacci eterni del continente meno ospitale del pianeta, è abbastanza vecchio da aver acquisito un certo numero di abitudini considerate sacrali. L’Amundsen–Scott, intitolato ai due esploratori che all’inizio dello scorso secolo raggiunsero per primi questi luoghi, nel secondo dei casi perdendo subito dopo la vita,  fu fondato per la prima ed ultima volta nel 1956, come parte dei progetti scientifici istituiti per l’Anno Geofisico Internazionale (IGY) un significativo momento in cui le comunicazioni tra certe frange della ricerca americana e sovietica ricominciarono a verificarsi normalmente, permettendo l’interscambio che c’era stato in passato ed avrebbe dovuto continuare ad esistere, necessariamente e nonostante la tensione tra i due paesi. Con il riuscito lancio dello Sputnik I soltanto l’anno successivo, quindi, gli americani decisero di investire seriamente in questo e numerosi altri progetti. Così l’edificio principale della stazione fu progressivamente ampliato, per ospitare fino a 200 persone allo stesso tempo. E da allora, non fu mai più lasciato. E molti di coloro che assistono alle buffe iniziative degli astronauti che oggi si trovano sull’ISS (la Stazione Spaziale Internazionale), tra cui suonare la cornamusa, giocare a palla o fare bizzarri esperimenti personali con l’acqua, tendono a stupirsi che persone spedite in un luogo così irraggiungibile possano trovare il tempo per se stesse, a discapito degli onerosi impegni di missione. Ma la realtà è che la mente umana funziona in un determinato modo. E senza un certo grado di svago e digressione, non potrebbe mai mantenere il grado d’acume necessario a compiere il proprio dovere. Ciò è tanto più vero, in un luogo come il Polo Sud, che per quanto remoto, può avere quanto meno il lusso di uno spazio a disposizione relativamente significativo. Con un’area dedicata alla libreria, un’altra con mansioni di mini-cinema e persino una sala da musica, fornita di molti degli strumenti più suonati alle latitudini più diverse. Ma forse il luogo più inaspettato ed insolito, all’interno di queste spesse mura, è lo spazio dedicato a raccogliere i precedenti marker del Polo Sud Geografico, dei curiosi e gradevoli oggetti usati come segnalino sulla cima del palo, un anno dopo l’altro, per indicare in maniera chiara il punto attraverso cui passa l’asse della rotazione terrestre, nel preciso momento di ogni giorno di capodanno. Ma perché, mi sembra quasi di sentire la domanda, una tale luogo SI SPOSTA? Beh, ecco…

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