Gli strani trofei di chi squaglia i metalli per sport

Molten alluminum

Sapete cos’è una water balz, anche detta spit ball artificiale? Probabilmente…No. Si tratta di uno strano piccolo gadget, o per meglio dire un giocattolo chimico, che si presenta simile a un grano di sale. Siti specializzati le vendono online. Ora, questo oggetti hanno la strana caratteristica di poter assorbire una quantità d’acqua pari a 200 volte le proprie dimensioni, crescendo progressivamente fino a diventare simili a biglie trasparenti. Una volta estratte dal recipiente, quindi, possono essere tenute in mano per divertimento, o come suggerito in diversi ambiti, lanciate all’indirizzo di un compagno di giochi (volente o nolente) esattamente come le palline di carta inumidite di saliva, da cui prendono il secondo dei propri nomi. Ma persone particolarmente creative, come spesso capita, ne hanno fatto un qualcosa di assai più particolare!
Osservando la collezione di misteriosi manufatti tintinnanti posseduta da Chemical Kevy, il popolare autore di YouTube anche noto come “Lo scienziato da cortile”,  si potrebbe pensare di avere di fronte un coltivatore di occulti sementi alieni. Tra le piante del suo giardino, sul comodino, persino sopra il camino: dozzine di ammassi lucidi e vagamente brillanti in metallo squagliato, poi modellato in forme fantastiche, attraverso stampi dalla genesi misteriosa. Ci sono ovoidi sferoidali, simili a granate, curiosamente corrispondenti all’incavo di un melone. Ramificazioni selvagge, più imprevedibili di una figura di Lichtenberg, che rappresentano il modo in cui qualcosa di terribilmente caldo può scivolare all’interno di un frutto, bagnato ma pur sempre combustibile, come l’eterno sacrificio alla scienza, la falsa bacca più grande del mondo. Non stiamo parlando di zucche, bensì di un cocomero, baby! E poi, nella sezione etichettata come “nuove invenzioni”, dove soltanto i visitatori più fidati possono accedere, quali il fido golden retriever e assistente di laboratorio, ci sono questi… Cosi. Delle creazioni vagamente rassomiglianti a coralli ma prive di una vera analogia naturale, verticalmente svettanti nei loro 40-50 cm, ricoperte di rigonfiamenti emisferoidali e quasi altrettanti spazi vuoti, affini per apparenza alle celle interne di un alveare. O giustappunto, piccole water balz. Ma neppure una vespa cosmica, a conti fatti, potrebbe produrre simili dimore. Che risultano piuttosto da una particolare serie di attenti gesti, compiuti dal giovane sulla base di una vera diabolica ispirazione, miranti a replicare col DIY (Do It Yourself: fai da te) uno dei processi industriali più onnpresenti del mondo civile: la fusione dell’alluminio.
È in un primo momento sorprendente prendere atto, facendo un rapido giro su Internet, della quantità di persone disposte a lasciarsi coinvolgere da questa passione apparentemente priva di applicazioni pratiche, almeno nel campo dell’hobbista privato, che consiste nel costruire una piccola fornace dalla capienza di qualche litro, in cui inserire gradualmente le proprie lattine, poco prima di accendere la fiamma distruttrice di una torcia a propano. Ciò senza contare come, in effetti, si tratti anche di un’attività potenzialmente pericolosa: l’alluminio fonde ad “appena”  660 gradi, ovvero 200 più di un forno a legna per pizza, ma come qualsiasi altro metallo sottoposto a liquefazione, può intrappolare bolle di vapore sotto la propria superficie. Ciò significa, per dare un volto al pericolo, che nel caso in cui il recipiente fosse caratterizzato dalla presenza di alcune trascurabili goccioline d’acqua o condensa, queste potrebbero espandersi e formare bolle, giungendo a schizzare l’ardente fluido all’indirizzo dei presenti. Per questo è sempre consigliabile utilizzare equipaggiamento protettivo, tra cui occhiali, una maschera e guanti dall’alto potenziale di isolazione termica. Lo stesso Kevy, che in passato si era dimostrato relativamente incosciente in materia, fa un riferimento scherzoso ai suoi commentatori più dotati di senso critico, poco prima di adottare, finalmente, i loro veementi suggerimenti. Il che è un bene, nel presente caso, visto come l’esperimento consistesse nel versare l’alluminio in un acquario di plexiglass a sviluppo verticale riempito e palline, neanche a dirlo, letteralmente grondanti H2O.

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Una breve vittoria dei lucchetti sui fucili

Demo Ranch

Heavy Metal/Smoking Guns: se un uomo spara nella foresta a tre serrature inchiavardate sopra un palo, ma nessuno si trova nelle vicinanze per sentire il rumore, costui ha davvero aperto una porta? Ovviamente….Quella che conduce al nesso e la questione a fondamento della scienza stessa, ovvero il realismo che connota l’esperienza d’intrattenimento. Per scoprire che probabilmente potrebbe davvero, il protagonista di una storia cinematografica, passare oltre un cancello incatenato usando un pezzo d’ordinanza, ma di certo non con la semplicità e rilassatezza che vorrebbero vantare ai danni dei propositi dimostrativi. I quali nei fatti, molto spesso, neanche c’erano in partenza. È una legge hollywoodiana non scritta, almeno sui copioni che raggiungono una degna fama, quella secondo cui determinati oggetti hanno uno scopo funzionale alle ragioni del racconto. Automobile: veicolo a quattro ruote che permette al protagonista di raggiungere la scena dell’azione, poi lasciarla in rutilanti inseguimenti tra i palazzi cittadini. Giubbotto antiproiettile: elemento di vestiario in kevlar stravagante, che ferma tutte-tutte le munizioni il 100% delle volte, senza le minime conseguenze per la vittima predestinata. Lucchetto: una semplice formalità. Si tratta di un luogo comune che in qualche maniera è filtrato, tra gli strati permeabili della creatività, fino al mondo confinante dei videogiochi, dove forse negli ultimi tempi sta passando un po’ di moda (c’è grossa crisi, lì). Ma pur sempre presente, impossibile da trascurare, come lo sparo a bruciapelo che fa fuori in modo assolutamente istantaneo, senza neanche un grido di dolore, gli sgherri meno significativi del “cattivo”. Sto parlando della scena tipo in cui ci si ritrova innanzi a un punto importante della narrazione, mentre un chiavistello fa da tappo nella vasca dell’apodosi risolutiva. Spalla: “Sai per caso come scassinarla?” Risponde il Texas Tomb Ranger: “La vedi questa  Magnum a sei colpi, amico mio?”
Munizioni che risolvono i problemi. Magnifico, perfetto ed ideale. Molto spesso sfortunatamente, anche falso. Ce lo dimostra nello specifico il Dr. Matt, veterinario, in questo suo ultimo video, nel quale sottopone alcune ottime serrature (costose, si preoccupa comprensibilmente di farci anche notare) alle vere conseguenze dell’antica arte del Gun Fu, praticata all’altro lato dell’Oceano con trasporto, almeno fin dall’epoca di Toro Seduto e Buffalo Bill. La scena è un mirabile crescendo di tensione, un rollercoaster delle aspettative ripetutamente superate sotto l’occhio attento della telecamera. Senza dubbio, parte del merito va attribuito al protagonista, che oltre ad essere un fine oratore si rivela anche un ottimo cecchino, in grado di colpire senza falla piccoli bersagli posti a qualche metro di distanza. Con armi non sempre, né probabilmente, ideali. Si comincia, e come potrebbe essere diversamente, con il singolo calibro più diffuso del mondo, ovvero quello di una classica pistola con caricatore per i .22 LR (Long Rifle) proiettili da 5,7 mm che non saranno adatti per la caccia grossa, ma che trovano spesso l’impiego tra le forze dell’ordine di mezzo mondo, ed hanno sventato oppur causato innumerevoli tormenti all’esistenza umana. Non è in effetti raro vedere proprio una di queste piccole, compatte armi adatte all’autodifesa, nella mani di un eroe per caso, trascinato dagli eventi fin a quel momento della verità. Ora, naturalmente Clint Eastwood/Harrison Ford/Al Pacino, quando sparano a un lucchetto, lo fanno da pochi centimetri di distanza, i denti stretti ed un ghigno aggressivo sul volto, noncuranti delle schegge di metallo fuso che rimbalzano per ogni dove. Ciò sarebbe stato alquanto inappropriato nel regno non-fantastico del quotidiano, dove può bastare anche una piccola ustione a un polso, per farti rimpiangere l’idea geniale di metterti a sfatare le leggende metropolitane. Così, la posizione di sparo è posta frontalmente e ben lontana, modificando in parte i presupposti della prova. Ma se tali drammatici risultati d’apertura figurano su tali e tanti rotoli di cellulosa, anche così, un semplice lucchetto dovrà pur mostrare qualche conseguenza, giusto? Giusto, nessuna degna di nota. I proiettili della pistola, a seguito di ciascun sparo, si disgregano sul duro metallo del lucchetto, lasciando solamente lievi ammaccature. Se vogliamo concludere qualcosa, sarà meglio passare alle ragioni dei più forti…

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La fonderia dei mostri e robot scalcagnati

Ban Hun Lek

Lasciali per terra, sprechi lo spazio e il tempo. Non puoi pensare di collezionare pezzettini di automobili dismesse, borchie deformate. Viti, bulloni, chiodi arrugginiti nello spazio-tempo. Sgorbi sghembi e pezzi spuri. E tutti mi dicevano: un pistone oppure due, senza una camera di scoppio a cosa potrai mai servire! Buttalo via con tutto il resto dei rottami, il suo posto è nella spazzatura. Perché costoro non sapevano la verità. Che anche gli scarti parlano e la loro voce è carica di seduzione: “Brr, siamo tiepidi di un sangue ricco di sistemi, abbiamo una RAGIONE, tanto ancora da DARE…” Se i rimasugli di qualcuno sono il tesoro dell’operoso resto dell’umanità, quando rovistare tra i cumuli dello sfasciacarrozze non è soltanto una semplice scelta ma il futuro possibile delle ragioni di un artista, allora Phairote ha dato la ragion d’essere a un vero e proprio Rinascimento delle cose di recupero. Che va oltre il semplice riciclo, che non ricostruisce meramente, ma proietta innanzi ciò che gli spettatori si aspettano dal bric-a-brac di quei programmi televisivi sul fai-da-te coscienzioso e solidale. Più ti avvicini, meno resti indifferente.
Perché nel suo grande capannone fuori Pattaya, città di 100.000 abitanti nel nord-est della Thailandia sita a circa 130 Km dalla capitale Bangkok, albergano rivisitazioni dei sogni e delle visioni di un’intera generazione, anzi facciamo pure tre. Diversi dal consueto eppure in qualche modo pienamente realizzati: dinosauri vagamente ornati, pecore e cavalli fatti di bulloni, un alieno xenomorfo come quello che seppe regalarci H.R. Giger ma con l’aggiunta delle sospensioni, almeno tre versioni dell’incredibile Hulk: rosso, giallo e grigio scuro. Transformers variopinti in scala oppure rigorosamente monocromatici e almeno da lontano, virtualmente indistinguibili dalla versione cinematografica (in fondo cos’erano quei tecno-guerrieri, se non creazioni antropomorfe fatte in pezzi misti d’automobili…) Ma più ti avvicini a quel recinto, maggiormente scopri piccoli dettagli appassionanti, sopra quelle e tutte le altre cose. Le scaglie sulla schiena dei mostri sono candele d’accensione, mentre sugli arti delle bestie, tendini e tono muscolare vengono resi con innumerevoli catene della bicicletta. I capelli sono frutto d’ingranaggi sovrapposti. Le superfici curvilinee delle schiene arcuate si palesano come un vero e proprio susseguirsi di dadini filettati, forme ottagonali allineate su matrici cristalline, intervallate dall’inserto di qualche gustosa chiave inglese, tanto per spezzare il ritmo delle aspettative. Ogni personaggio è in effetti frutto di dozzine di elementi, raccolti, selezionati e combinati tra di loro, poi saldati, puliti e infine ricoperti da una mano di vernice, per amalgamar quel tutto sconvolgente. Ed è questo un risultato assolutamente degno di nota, nonché adatto al commercio, anche su larga scala….

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Finché non giunsero alla forgia di Damasco

Forgiare un martello
Torbjörn Åhman forgia un martello da forgia del peso di circa un Kg e mezzo

Ogni forma di tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia. E come Arthur C. Clarke, l’autore di Odissea nello Spazio, ben sapeva questa cosa il Grande Yǔ, semi-mitico fondatore dell’antichissima dinastia cinese degli Xia (XXI-XVI secolo a.C.) e primo fabbro fonditore nella storia dell’umanità. Non a caso, tra i suoi molti titoli spiccavano traforatore delle montagne e il minatore felice che bonifica la terra. Secondo la fondamentale opera Memorie di uno storico, scritta dagli studiosi Sima Tan e Sima Qian durante il regno molto successivo dell’imperatore Wu (140 – 87 a.C.) questo grande civilizzatore aveva ricevuto in forma di tributo, dalle nove province del suo regno, altrettanti carichi di un prezioso metallo: il bronzo, fondamento delle arcaiche civiltà. Non contento di impiegarlo solamente per forgiarne umili spade o zappe, l’eroico governante fece dunque portare una significativa parte del materiale all’interno della sua officina personale. E proprio in tale luogo, lavorando giorno e notte per un tempo imprecisato, ne trasse nove enormi calderoni a tripode, riccamente decorati, ciascuno del peso di 30.000 Jin (7 tonnellate e mezzo). L’aspetto maggiormente affascinante di questi giganteschi oggetti rituali, destinati a diventare il modello dell’intera produzione bronzea della Cina antica, era il modo in cui presentassero dei fregi geometrici, e figure di draghi o altri esseri mitologici, non semplicemente realizzati a bassorilievo. Bensì tratteggiate in tre dimensioni, attraverso l’incorporamento sulla superficie metallica di una diversa qualità di metallo, con caratteristiche e colorazione in assoluto contrasto. È soltanto naturale, in un mondo che si perde tra le nebbie occulte della storia, identificare in un tale maestro dell’ingegneria il principio ultimo della divinità.
Nell’antichità d’Occidente, tuttavia, non siamo mai stati governati da un grande forgiatore. La civiltà greca, tra i suoi molti immortali, celebrava l’epica opera del dio Efesto, figlio di Ares del conflitto armato, e di Era, la personificazione femminile della Terra stessa. Egli aveva costruito, nella sua fucina sotto l’isola di Lemnos, ogni sorta di stupenda meraviglia: il carro del Sole, l’arco di Apollo, i sandali di Ermes, addirittura lo scudo del grande Zeus, ovvero la mitica Egida in grado di scatenare di tempeste. E inoltre riforniva di armamenti, fin dall’epoca della guerra di Troia, i principali semi-dei e tutti gli altri eroi dei piccoli e insignificanti umani. Era un genio e un fenomenale inventore, in grado di costruire, secondo alcune tradizioni, figure antropomorfe nel metallo e nella pietra, in grado di muoversi e parlare, veri e propri robot dei primordi, anticipatori dell’androide asimoviano. Ma anche un bruto sregolato, che venne cacciato dall’Olimpo dopo aver tentato di stuprare la sapiente Atena, precipitando lungo una catena fin dentro le viscere del mondo. Si parla sempre del creatore e dei suoi maggiori successi e fallimenti, dimenticandosi le umili origini del suo mestiere. Prima del primo fabbro dell’intero universo, non esistevano nemmeno gli strumenti del mestiere: nessun incudine o tenaglia, soltanto il fuoco eterno e periglioso. Persino il martello, con cui battere insistentemente il canto ritmico della tecnologia, era soltanto un aleatorio sogno nella mente dei sapienti.

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