La caratteristica dominante nonchè maggiormente significativa di almeno tre dei più importanti franchise Nintendo potrebbe dirsi l’immediatezza situazionale: al protagonista, che sia un idraulico o un pokèmon trainer, viene contrapposto il suo rivale chiaramente allineato con il concetto di Male; il mondo mostrato risponde ad una serie di regole e leggi fisiche tanto immaginarie quanto assolutamente coerenti; attraverso una serie di fantasiose o bizzarre peripezie si giunge sempre ad un’obiettivo chiaro e condivisibile. Tuttavia, come spesso capita, esistono eccezioni che non solo confermano queste linee guida generali, ma finiscono per arricchirle di significative implicazioni.
La più importante mente creativa della casa di Kyōto a voler provare qualcosa di contestualmente diverso da quanto appena delineato è stata quella di Makoto Kano, autore già in precedenza del bizzarro platform game Kid Icarus.
Nel 1986 si arriva così alla prima iterazione delle avventure di Samus Aran, la più abile e pericolosa cacciatrice di taglie della galassia, completamente racchiusa in una tuta spaziale aliena – solo completando il gioco con particolare rapidità si poteva infatti scoprire la vera identità della protagonista, non senza rimanere sorpresi di aver interpretato fino ad allora una delle prime eroine di sesso femminile nella storia dei videogames.
Grazie alla nuova unione tra le meccaniche platform di Super Mario Bros. e l’esplorazione di The Legend of Zelda, il grande pubblico conobbe allora qualcosa di molto vicino al concetto attuale di action adventure… nonchè di molto lontano dal gaming più rappresentativo di quegli anni. Oggi, l’industria dei videogames deve molto a quel riuscito esperimento, che a buon merito sembra ricrearsi, anno dopo anno, sotto nomi e generalità radicalmente differenti, la più famosa delle quali potrebbe dirsi un importante sotto-filone della longeva serie di action game Castlevania, iniziato con l’eccezionale Symphony of the Night, ormai ribattezzato in via ufficiosa come nientemeno che capostipite dei Metroidvania.
La stessa Nintendo, grazie all’acquisizione del brillante developer Retro Studios, ha avuto modo di riproporre a partire dal 2002 una serie di giochi di azione in prima persona, collettivamente noti come Metroid Prime, nei quali Samus è ritornata, più in forma che mai, a vagare per cupi e credibili ambienti alieni, alla costante ricerca delle parti mancanti del suo poliedrico, perennemente incompleto equipaggiamento.
Probabilmente ormai occupata a tempo pieno con line-up di lancio dell’atteso Nintendo 3DS, la casa produttrice ha deciso per questo seguito di concedere ancora una volta libertà interpretativa alle terze parti: questa volta a schierare l’eroina Samus è il Team Ninja, la divisione di Tecmo creatrice tra le altre cose del reboot di un’altro classico dell’epoca 8-bit, l’adrenalinico Ninja Gaiden. Tuttavia costoro, privi da ormai due anni del geniale director Tomonobu Itagaki, hanno deciso di ignorare ogni convenzione su Samus Aran creata negli ultimi anni, dissolvendo sistematicamente ogni mistero intorno ad una delle personalità più silenziose ed enigmatiche dell’immaginario videoludico contemporaneo. Metroid: Other M è un gioco che demistifica, stravolge ed ignora alcuni dei suoi più insigni predecessori, ricostruendone il contesto a beneficio di un pubblico prettamente giapponese. Ma questo non basta a privarlo di un notevole, estremamente solido senso della Storia…
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Per un ambiente come quello del Giappone moderno, nel quale ogni frangente dell’interazione pubblica si trova ad essere la criptica risultanza di fattori disparati e complessi (esperienza, età delle persone coinvolte, storia personale…) un prodotto d’intrattenimento popolare raggiunge spesso il successo tanto più è semplice e diretto. I creativi giapponesi hanno da sempre il compito di superare la rigidezza intellettuale di una società che arriva a prevedere, ed in effetti codifica, l’elaborazione ed impiego costante da parte di ciascuno dell’attitudine comportamentale definita tatemae, una sorta di complessa maschera di stampo pirandelliano.
Forse per questo l’obiettivo finale di ogni gioco alla Super Mario e di tutte le avventure con Link e Zelda è tanto essenziale da ritrovarsi praticamente nelle fiabe e leggende di tutte le culture: salvare la principessa da un mostro, un drago o uno stregone malvagio. Si tratta della risposta ad un bisogno personale di armonia e giustizia, che trascende e supera le esigenze del quotidiano, rientrando piuttosto nella sfera dell’honne, ovvero dei sentimenti personali e privati. Ben più moderno invece, ma altrettanto riconoscibile per il pubblico nipponico, è lo slogan della serie di neo-RPG e cartoni animati Pokèmon: Devo prendili tutti! Quando pronunciato in un contesto in cui il numero di creature possedute, e schierabili in battaglia, indica lo status ed il prestigio dell’individuo, questa affermazione rappresenta il bisogno di superare le aspettative altrui e realizzarsi ad un livello che sia riconoscibile da tutti i propri amici e parenti. Basta osservare brevemente gli stilemi caratteristici degli shōnen manga, i fumetti pensati principalmente per un pubblico di ragazzi tra i 10 ed i 18 anni, per trovare un protagonista che ripete il suo obiettivo finale una media di due o tre volte a capitolo, spesso gridando, gesticolando veementemente, sempre pronto a lottare contro chi volesse ostacolarne le ambizioni sociali ed il successo.
Ed è dal fallimento di questo approccio anti-individualista che viene iniziata la ricostruzione, per la prima volta quasi integrale, del passato di Samus Aran in Metroid: Other M.
Per le avventure di Samus questo nuovo Metroid: Other M è un significativo punto di svolta, ma anche il più sostanziale ritorno alle origini da anni. Abbandonata la prospettiva in prima persona dei sequel più recenti, si fa ritorno ai primi capitoli della timeline sia dal punto di vista della trama che del gameplay.
Il gioco si svolge infatti con una visuale in terza persona piuttosto distanziata, mentre il sistema di controllo sfrutta esclusivamente la croce direzionale e non analogica del Wiimote, che va tenuto orizzontalmente, come se si trattasse di un joypad anni ’80; non viene previsto o implementato alcun tipo di supporto al Nunchuck nè, purtroppo, al Classic Controller.
Si tratta di una scelta piuttosto coraggiosa, anche visto il modo in cui l’azione sfrutta a pieno la tridimensionalità degli ambienti, ma è in effetti sorprendente come la giocabilità delle fasi esplorative e di risoluzione degli enigmi riesca addirittura a trarne vantaggio.
Il motivo di ciò va ricercato nelle sottili ed intelligenti linee guida impiegate dal Team Ninja nella progettazione dei livelli. Viene infatti utilizzata una composizione di passaggi e corridoi sempre in perpendicolare l’uno all’altro, o al massimo con angolazioni di 45 gradi, sia in orizzontale che in verticale (non mancano poi complesse sequenze multi-livello, con scale ed ascensori). Di pari passo può venire riscontrato un aumento sostanziale della linearità esplorativa, con conseguente diminuzione del backtracking, rispetto ai tre Metroid Prime. Questo potrebbe o meno risultare gradito a seconda dei punti di vista, ma personalmente ho trovato che portasse maggiore scorrevolezza al ritmo di gioco e rendesse l’esperienza più immediata e godibile.
Gli ambienti stessi sono privi dell’organico realismo della serie Prime, benchè questo non pregiudichi estreme variazioni di stile visivo ed architettonico, portando a sequenze riuscite anche nel loro essere stereotipate; ovviamente, trattandosi di Metroid, sono presenti i soliti “mondi” di gioco basati sui temi della distesa di lava, del ghiacciaio, della giungla, della caverna sommersa… Ma il nuovo sistema di controllo farà molto per rinnovarli e renderli di nuovo interessanti, soprattutto in funzione degli spettacolari combattimenti e dell’uso delle molte armi e strumenti a disposizione.
L’uso del lanciamissili incorporato nella tuta di Samus, punto fermo della serie, questa volta viene controllato in un modo singolare ed affascinante: il giocatore dovrà effettivamente puntare il Wiimote verso lo schermo, ruotandolo quindi di 90 gradi rispetto alla posizione di utilizzo e prendendo la mira il più velocemente possibile. In questa modalità, attivabile in qualsiasi momento anche solo per guardarsi intorno, la visuale viene ricollocata sul punto di vista della protagonista, mentre non sarà possibile muoversi o evitare gli attacchi dei nemici. La capacità di effettuare la procedura con sufficente rapidità e precisione sarà essenziale per riuscire a sconfiggere i colossali boss di fine livello, che spesso presentano punti deboli evidenti ma di dimensioni ridotte e difficili da colpire.
Si tratta di un modo singolare di incorporare le potenzialità del Wii in un design che per il resto è estremamente tradizionalista, ma funziona egregiamente ed aggiunge in ultima analisi un certo grado di immedesimazione. L’unico altro gesture utilizzato di frequente comporta il posizionamento verticale del telecomando e la pressione continuativa del tasto A, al fine di ricaricare le munizioni ed una soglia minima di energia – praticamente, quella che in precedenza portava al caratteristico ed irritante suono di allarme nei momenti di maggiore pericolo per il giocatore.
La pressione rapida di una direzione al momento adeguato porterà a coreografici balzi laterali, utili per schivare gli attacchi nemici. Non è che uno dei molti richiami agli action game della serie Ninja Gaiden, da cui viene anche mutuata la possibilità di eseguire colpi di grazia sui nemici immobilizzati o in difficoltà.
Premendo il tasto A senza inclinare il controller si potrà invece ricorrere alla trasformazione della tuta da combattimento di Samus in Morph Ball, la piccola sfera metallica che racchiude l’eroina nei momenti in cui si sposta per spazi o fessure di ampiezza particolarmente ridotta. In tali sequenze il gioco si trasforma nella ben nota approssimazione fantascientifica di un flipper o un pachinko, mentre si depositano ovunque bombe a tempo e ci si muove in giro nel tentativo di evitare i molti nemici fra sè e l’obiettivo.
La vicenda personale di Samus Aran, raccontata attraverso l’interazione con un sostanziale cast di supporto (altra grande novità per la serie) costituisce la principale e maggiormente elaborata epopea narrativa del gioco, ma anche il più grande ostacolo al suo successo internazionale. Perchè l’eroina di Metroid, per come la conoscevamo, era di poche parole, propensa a vagare per la galassia nella più totale solitudine, racchiusa quasi sempre nella sua ponderosa armatura completa di casco e visiera, incredibilmente sicura di se e temuta mortalmente da ogni pirata della galassia.
Un pubblico occidentale, su questa serie di premesse, tende ad immaginare un percorso individuale da soldatessa invincibile e pericolosa, analogo per certi versi a quello dell’iconico Master Chief della trilogia di Halo, lui stesso talmente uni-dimensionale e finalizzato al combattimento da non richiedere in effetti nemmeno l’attribuzione di un nome proprio. Per quasi 10 anni il developer texano Retro Studios non ha fatto che portare alle estreme conseguenze tali cognizioni, riscuotendo un grande successo di critica e pubblico. Lo stile del Team Ninja non potrebbe essere più diverso.Ed è così che in Other M, dopo le primissime sequenze di gioco, rispondendo ad un debole segnale radio di richiesta di aiuto, la protagonista si ritrova ad investigare gli ambienti sterminati di una misteriosa stazione spaziale dismessa, la Bottle Ship. La storia è una continuazione diretta di quella dell’iterazione a 16 bit della serie, l’epocale Super Metroid (1994 Super Nintendo) e ne ricalca largamente le premesse – ma gli eventi prendono rapidamente una piega differente. Samus incontra infatti sul luogo una squadra di soldati della Forza Federale Galattica, al comando di una sua vecchia conoscenza: l’ufficiale Adam Malkovitch, l’uomo che in gioventù era stato suo mentore, figura paterna e sergente di addestramento. Attraverso una serie di flashack sul loro passato in comune, il giocatore viene gradualmente a conoscenza del perchè Samus abbia lasciato l’esercito per iniziare la sua carriera di cacciatrice di taglie.
Il resto della storia viene narrata attraverso una serie di riuscite sequenze calcolate in tempo reale che sfruttano l’engine di gioco e talvolta richiedono l’intervento diretto del giocatore, ad esempio per individuare un’indizio o muoversi da una stanza all’altra.
Quella che emerge è a grandi linee la vicenda di una giovane donna abilissima nel combattimento, avviata ad una carriera brillante, ma poco incline alla disciplina militare, individualista e persino ribelle. Un’esperienza fondamentale la porterà ad abbandonare completamente il suo ruolo designato nella società, trasformandola in una sorta di anarchica giustiziera, l’equivalente per il senso comune giapponese di una mina vagante.
Quasi a contraddire tale nozione, nelle effettive sequenze di gioco Samus non farà che ubbidire agli ordini e alle direttive ricevute da Malkovitch, apparentemente allo scopo di compensare le incomprensioni del passato. Perfino lo sblocco di armamenti ed abilità sarà condizionato dalla sua graduale autorizzazione degli stessi, piuttosto che a fronte di un completo “depotenziamento” iniziale per cause di forza maggiore, come nei passati episodi.
Nonostante l’impegno, il trattamento che Samus riceverà dagli altri soldati e dal loro comandante resterà comunque piuttosto cauto e diffidente. Nel gioco viene in pratica fatto passare il messaggio che abbandonare il proprio grado e plotone sia una sorta di atto di tradimento, il modo più serio di deludere le aspettative altrui e venire meno ai propri doveri da parte di un soldato verso la società.
Fortunatamente, questa atmosfera di leso senso del dovere non condiziona una parte proporzionalmente significativa del gioco: in effetti, per gran parte del tempo Samus continuerà a combattere i suoi molti nemici in modo totalmente individuale. La varietà di flora e fauna presente sulla Bottle Ship è estremamente elevata e pienamente giustificata dalla trama, ma offre anche spunti estremamente efficaci gameplay e momenti di sfida appassionanti.
Grazie agli anni di esperienza nel genere action, molti dei mostri creati dal Team Ninja sono memorabili: creature simili ai kami giganti di Hayao Miyazaki si accompagnano ad alci carnivore e draghi marini, mentre i soldati di numerose razze aliene differenti combattono in modo credibile ed articolato, quasi ai livelli dei più blasonati FPS occidentali.
Persino la versione ricreata ad-hoc di alcuni nemici storici di Samus Aran appare più curata ed impressionante. Gli immancabili e spesso colossali boss di fine livello sono colorati, multiformi e ben diversificati, mentre l’adozione della strategia corretta per ciascuno non costringe alla ripetizione meccanica di una serie di azioni ad oltranza, spesso l’unico modo per sconfiggerli in questa tipologia di giochi.
L’aspetto tecnico del gioco è assolutamente competente senza stupire eccessivamente, con una grafica paragonabile alle produzioni di più alto profilo per la console Wii di Nintendo: il senso delle proporzioni tra le diverse creature ed alcune sequenze catastrofiche e pirotecniche potrebbero dirsi i punti forti del gioco.
Non si tratta di un eccezionale concentrato di tecnologia e rendering ai massimi livelli (il Wii non ne sarebbe capace) ma le qualità artistiche e l’uso intelligente delle risorse è più che sufficente a restituire l’impressione di un gioco perfettamente al passo coi tempi.
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Il gioco dura circa 10 ore al primo playtrough, ed include un paio di modalità extra ed un hard mode.Ancora una volta la grande N dà in franchising una delle sue serie più stimate ed importanti. Questa atipica strategia operativa, adottata per la prima volta all’epoca del Gamecube, ha precedentemente visto, oltre al glorioso debutto dei già citati Retro Studios, anche due fallimentari spin-off del mai dimenticato Star Fox, sottotitolati Adventures ed Assault, l’uno prodotto da una Namco quantomeno distratta e l’altro identificabile come primo passo falso dell’ormai decaduta Rare. Ma ha portato anche, nel 2003, al cult game F-Zero GX di Sega, gioco di guida futuristico straordinario e difficilissimo, tra le migliori produzioni semi-recenti del più insigne rivale di Nintendo all’epoca 16 bit.
Come sarà ricordato dai posteri questo nuovo exploit di Samus? Una riuscita reinterpretazione della più famosa serie fantascientifica del gaming giapponese o la definitiva rovina del suo canone narrativo? Personalmente trovo che Metroid: Other M sia un videogioco perfettamente riuscito, ricco di meccaniche old school e con un livello di sfida perfettamente calibrato; come avventura lineare d’azione per giocatore singolo si tratta probabilmente di uno dei più riusciti prodotti dell’anno ed in assoluto il migliore per Wii. Non siamo di fronte ad un gioco dalle basi narrative estremamente solide o memorabili, soprattutto considerata la qualità del materiale di partenza, ma questo potrebbe passare in secondo piano di fronte ai momenti di coinvolgimento e dinamismo che può offrire nelle sue sequenze più appassionanti. Forse qualcuno lo troverà persino superiore, in quanto più diretto ed incisivo, rispetto ai suoi pluri-premiati predecessori.
Se non esistessero i tre incredibili, ineccepibili Metroid Prime dei Retro Studios, questa fatica del Team Ninja sarebbe probabilmente definita la migliore reinterpretazione moderna possibile per la serie, almeno senza stravolgere del tutto un grande classico. Se non esistessero…
Consigliato a chi: preferisce smettere di giocare quando ha ucciso un centinaio di nemici piuttosto che una volta ritrovato con fatica un singolo passaggio segreto.