La regione in cui si trova Lima, capitale del Perù, rappresenta una delle grandi anomalie climatiche del pianeta. Racchiusa tra le fertili valli dei fiumi Surco, Chillón, Rímac e Lurín, dovrebbe in teoria godere di temperature tropicali e piogge abbondanti, se non fosse per due fattori molto particolari: la corrente di Humbolt, proveniente dall’Antartico, che raffredda di molto l’Oceano Pacifico e l’incombente vicinanza della cordigliera delle Ande, principale catena montuosa al mondo, in grado di creare assembramenti di nubi a bassa quota, ovvero circa 500 m di altezza, che bloccano di continuo la luce del sole e impediscono il formarsi di temporali. Fa freddo, quindi, e poi c’è un’altro problema, ancora più grave: la mancanza d’acqua potabile. I circa 8 milioni e mezzo di abitanti della città, non a caso, hanno da tempo rinunciato all’uso sconsiderato del più prezioso degli elementi. Il fatto è che non ne hanno abbastanza: si calcola che nel corso di un anno intero, sopra Lima, non si verifichino più che 2-3 cm di precipitazioni atmosferiche. Quando si è fortunati. Risolvere una questione come questa, che affonda le sue radici in epoche geologiche pluri-millenarie, non è un’impresa da poco; tutto quello che si può fare, in effetti, è contrastarla gradualmente, magari sfruttando l’arma della tecnologia. E l’ultima a provarci, con un secondo fine (comunque meritevole) è l’istituzione ingegneristica dell’UTEC (Universidad de Ingeniería & Tecnología) con l’aiuto dell’agenzia pubblicitaria Mayo Draft fcb, di Santiago del Cile. L’idea geniale, a qualcuno, ricorderà le trappole del vento del pianeta Arrakis, nell’epopea fantascientifica di Dune: si tratta, in buona sostanza, d’integrare in un cartellone pubblicitario, creato per l’occasione, con dei filtri e un condensatore, al fine di generare: dall’aria > l’acqua. Il ciclo degli elementi è una realtà imprescindibile che non ha mai fine e la vicinanza del mare, dei fiumi, la possente copertura nuvolosa di questi luoghi nascondevano un grande tesoro potenziale: la cifra spaventevole di un 80/90% d’umidità, impalpabile, inutile e persino fastidiosa. Perché allora non portarla giù, per toglierci la sete?
La pubblicità, nella sua forma più auspicabile e matura, dovrebbe in qualche modo apportare un servizio non soltanto alle aziende, bensì a tutti coloro che si ritrovano a subirla. Un tipico esempio potrebbe essere quel tipo di campagne che informano su questioni di salute, sulla società o sulle norme del buon vivere civile. Anche qualora vertano, in larga misura, sul tema secondario di un nuovo prodotto commerciale o governativo, questo tipo d’iniziative lasciano sempre una buona traccia, il senso di aver speso bene dei soldi a favore della comunità. La trovata dell’UTEC, tuttavia, compie il passo addirittura successivo. Quello di riuscire a sviluppare un ritorno diretto d’utilità, operando per lo più nell’ambito di un bene così fondamentale. I dati pubblicati a supporto del cartellone, nei primi 3 mesi della sua installazione, dimostrano come quest’ultimo ha prodotto ben 9450 litri d’acqua, comodamente distribuiti tramite il rubinetto posto al centro del suo palo di sostegno.
Certo, siamo ben lontani dall’aver fornito acqua potabile all’intera massa degli abitanti locali, però qualc-osa è stata fatta, qualc-uno sta un po’ meglio, rispetto a prima. E se ci sarà il successo d’immagine sperato, chissà quanti giovani sceglieranno d’intraprendere un corso di studi al politecnico di Lima. Uno di loro, forse, troverà la soluzione, come seppe fare il Duca Atreides, conquistatore della Spezia che governa il Duniverso e liberatore di un popolo assetato. I cambiamenti si fanno così: un poco alla volta. Oppure tutti assieme.