L’eterna discussione in merito al fatto che i videogiochi siano definibili “arte” è tanto sterile quanto priva di significato. Tutto può esserlo, oppure niente lo è. Il treno in corsa che fuoriusciva dal cinematografo dei primi del ‘900, spaventando il pubblico che temeva di restarne investito, era certamente un valido strumento per guadagnare qualche soldo, niente a che vedere con le creazioni senza tempo di Ejzenštejn, Kurosawa o Stanley Kubrick. Eppure qualcuno ci aveva pensato. Prendendo la sua cinepresa, mezzo tecnologico senza precedenti, l’aveva portata sui binari e si era applicato a fondo, realizzando un’idea. Ed altri, vedendone il risultato, restarono colpiti. Il gesto che produce un pensiero incorpora sempre un qualche tipo di merito ulteriore, sia questo minimo oppure più significativo, persino epocale. Le xilografie giapponesi del periodo Tokugawa (1603-1868) non erano in alcuna misura percepite come un qualcosa di prezioso, destinato ad influenzare la pittura di mezza Europa e in seguito la grafica contemporanea del mondo intero. Spesso, soprattutto agli inizi di questa particolare forma espressiva, venivano impiegate come prototipo del moderno volantino pubblicitario, realizzate in grande quantità per uno spettacolo teatrale, affisse sulle pareti degli edifici e poi gettate via, senza spenderci un pensiero. L’Olanda le ricevette, casualmente, come carta da pacchi per le ceramiche o spezie d’Oriente. A casa di Van Gogh, guarda caso, non mancava mai il wasabi. Queste stampe bistrattate, identificate collettivamente con il termine altamente poetico di ukiyo-e (immagini del mondo fluttuante), nonché la raffinata tecnica per produrle, stanno acquisendo di questi tempi un’alta visibilità online, grazie al lavoro di Jed Henry e Dave Bull, rispettivamente la mente e il braccio di Ukiyo-e Heroes, la più eclettica compagnia nata dal crowd funding del portale web Kickstarter. Sono comparsi all’incirca l’anno scorso, realizzando la reinterpretazione in chiave tradizionale di alcuni personaggi dei videogame Nintendo, successivamente trasportati su carta mediante l’antica metodologia giapponese. E adesso, stanchi di lavorare sulle idee altrui, si sono applicati in qualcosa di completamente nuovo, un interessante gioco di botte per cellulari iOS e Android. Il suo titolo è Edo Superstar e parla di scimmie, volpi e procioni picchiatori.
Kemono è uno stile d’illustrazione che si preoccupa di rappresentare gli uomini come fossero degli animali, senza però sbilanciarsi nell’attribuirgli ulteriori caratteristiche contestuali. Questi buffi personaggi, popolari quest’oggi come al tempo di Hokusai, vivono nelle case, mangiano con le bacchette, guidano le automobili e parlano senza particolari accenti o vezzi comunicativi. Il più insigne fra loro, nel mondo dei videogiochi, potrebbe dirsi Fox McCloud, l’eroico pilota peloso delle astronavi di Star Fox, con il muso più appuntito di un qualsiasi X-Wing. Volendo spostarci a tempi ancor più recenti, va citata la serie di Animal Crossing, parimenti nintendiana, all’interno della quale un intero villaggio di creature antropomorfizzate convive con l’avatar del giocatore, costretto ad acquistare i suoi mobili dalla bottega di un tanuki (nyctereutes procyonoides) il tutt’altro che affidabile cane-procione iperdotato. E proprio quest’ultimo, famoso nel folklore per i suoi giganteschi genitali, ricompare in Edo Superstar come lottatore ninja, appropriatamente armato di una coppia kusari-dama, palle d’acciaio roteanti. Molto più amichevole ci appare il protagonista, Masaru, l’ambiziosa scimmietta che aspira a diventare il campione dei combattimenti di strada, come prima di lui centinaia di altri eroi ludici del genere picchiaduro. Il suo obiettivo, riassumibile con il desiderio di essere una superstar, appare tanto appropriato nel contesto dello stile visuale del gioco, legato alle performance teatrali del kabuki, fondamentalmente l’esempio di un’arte drammaturgica popolare. Oltre a loro, come mostrato dall’intrigante cartoon d’introduzione, si avrà modo di affrontare le versioni bipedi di altri animali guerrieri, tutti in qualche modo significativi per il corpus leggendario del Giappone. Il tengu, la divinità-corvo di nebbiose cime montane. Volpi e gatti, noti per l’abilità di cambiare forma. E ci sarà anche un polpo, come quello della più famosa opera erotica di Hokusai, riconosciuta origine del favoleggiato tentacle-porn. Ci si chiede se con lui comparirà pure la moglie ninfomane del pescatore.
Il sistema di controllo del gioco, stranamente, non sembrerebbe conformarsi a quanto si è visto fino ad oggi sui touchscreen dei nostri smartphone. Piuttosto che incorporare pulsanti virtuali, secondo quanto riportato sulla pagina del progetto ci si affiderà a dei rapidi colpetti da dare con le dita, corrispondenti ai diversi pugni e calci del personaggio. Chissà se funzionerà a dovere, soprattutto vista la rapidità di gesti richiesta in questo tipo di giochi. Sono comunque previste anche delle versioni successive, per PC e Mac, che indubbiamente saranno più chiare ed accessibili da giocare.
A sostegno del progetto, come merchandising collaterale, il dinamico duo produrrà una nuova serie delle loro splendide xilografie, raffiguranti i diversi personaggi del cast. Una simile commistione di media espressivi, l’uno interattivo e l’altro così antico, quasi perduto, forse non si era mai vista prima. Su cosa siano i videogiochi in genere, arte o qualcos’altro (cosa?) c’è un annoso dibattito. La conoscenza di certe iniziative, da parte dei critici del mondo accademico, ci aiuterebbe a districare il dilemma.