Un singolo cucchiaino di zucchero bianco granulato ogni quattro bicchieri d’acqua. Da servire in grandi quantità, possibilmente. Si prende la dolce mistura, la si bolle per pastorizzarla, poi si lascia raffreddare e si aggiunge del colorante alimentare rosso, prima di versarla nell’apposito recipiente. Qualcuno usa una semplice caraffa, altri dispongono di contenitori più specializzati, costruiti per uno scopo ben preciso: appendere quanto si è realizzato a una grondaia, presso l’accogliente ombra di casa propria, in attesa che la natura faccia il suo corso. Semplicemente stupendo. Fatelo anche voi e verranno dozzine di mosche, vespe o formiche, più l’occasionale passero solitario. Potreste attirare persino un peloso pipistrello, se siete davvero fortunati. Poi riprovateci nel sud degli Stati Uniti ed avrete un risultato di tutt’altra caratura. Prima però, assicuratevi di aver messo in radio la Cavalcata delle Valchirie e di avvicinarvi bisbigliando “Adoro il profumo del nettare di prima mattina!” Perché sta per iniziare l’ultimo capitolo di una vera e propria guerra, accompagnata dal tintinnare di mille cinguettii. Il colibrì possiede la suprema specializzazione di un elicottero, riproposta a misura d’animale. Può volare all’indietro, ha il metabolismo iperveloce di un toporagno ma non lo svantaggio della sua breve vita, un becco pensato per succhiare e piume lucenti ricoperte di cellule prismatiche, in grado di riflettere la luce in un arcobaleno di colori armonici e gaudenti. È ferocemente territoriale e scaccia i suoi simili da ogni fonte di buon cibo, almeno che non ve ne sia una spettacolare, incalcolabile abbondanza. Per questo si mettono le mangiatoie, come fatto in questo campeggio vicino Creede, nel Colorado. Nel video, realizzato da Jason Garren, youtuber, e Aldertree, cameraman cum redditor, si osserva la rara contingenza di un paio d’uomini che si ritrovino circondati da un turbine di colibrì affamati. Tutti d’accordo, per una volta, nel perseguire un singolo obiettivo. Deliziosamente succulento.
Negli anni pioneristici dell’aviazione, quando la traversata dell’Atlantico sembrava un traguardo ancora ben lontano, si prese coscienza di un fondamentale problema progettuale: quanto carburante si potesse portare via con se. C’è in effetti una sostanziale soglia critica oltre cui, inevitabilmente, il dispendio energetico necessario per l’inclusione un più grosso serbatoio supera il conseguente guadagno d’autonomia. Il colibrì, minuscolo maestro dell’autonomo librarsi, vive nello spazio ideale di quella sottile intercapedine funzionale. Quando non mangia dorme, quando è sveglio, vola e mangia. La fase attiva occupa, in media, soltanto il 10-15% della giornata, tempo durante il quale il suo ritmo cardiaco accelera fino a 1.260 battiti al minuto, consumando tutto il prezioso nettare, come farebbe una Lamborghini con la benzina. Questo non significa che debba nutrirsi di continuo: per il tempo restante l’uccellino entra in uno stato di torpore, simile all’ibernazione. Pasciutamente, aspetta.
Anche loro, comunque, hanno una sorta di Charles Augustus Lindbergh, l’avventuroso sorvolatore di ampie masse d’acqua, ovvero il colibrì ruby-throated (gola-rubino) in grado di attraversare gli 800 Km del Golfo del Messico senza fare scalo. È stato osservato come, prima di farlo, sia solito raddoppiare il suo peso, fagocitando il contenuto di una grande quantità di fiori. In quello stato diventa il colibrì più pesante al mondo. Non il più grande, però.
Quello si trova a Nazca, terra peruviana dei candidi geoglifi, figure titaniche tracciate con gli ossidi di ferro sulla superficie del deserto. Sigillo alato di una piana misteriosa, misura 66 metri di larghezza per 94 di lunghezza e rassomiglia stranamente a un’astronave. Chi fosse l’uccello raffigurato, e a cosa dovesse poi servire un tale punto di riferimento, nessuno ormai lo sa. Forse ritraeva una diversa manifestazione di Huitzilopochtli, il figlio di Coatlicue e di una palla di piume, dio Incas che usava indossare un mantello in grado di trasformarlo in colibrì. Se così fosse, sarebbe meglio tutelare la sua fluttuante discendenza. Come diceva un saggio: “Non è morto ciò che può attendere in eterno, e col volgere di strani eoni…”