Il parcheggio é uno spazio urbanistico in potenza, che ospita le cose per un tempo limitato. Molti ci mettono la macchina. Altri la moto. Soltanto pochi eletti, praticando l’antica arte del kendama, lo usano per metterci la gente. Tantissima, pronta a fare il tifo per l’ultimo oppositore dell’inflessibile forza di gravitá. In un giorno assolato è difficile trovare una folla in un parcheggio: una volta messo al sicuro il proprio veicolo, ci si reca altrove. A meno che, imprevedibilmente, ci si trovi dinnanzi ad uno dei piú abili praticanti di questo trastullo popolare, cosí strettamente legato ai personaggi dei manga e videogiochi giapponesi. Sarebbe poi, a pensarci bene, la storia di una palla rossa e di tre tazze, come quella della solita scommessa truffaldina. “Si vince sempre, venite avanti, dov’é la sfera? Dov’é la sfera?” Poi ti siedi al tavolo, lui mischia e tu vedi quanto é facile. Guadagni qualche soldo, allora dici: “Mon Dieu! Punto tutto sulla tazza centrale” Gira e rigira, la palla stava sulla destra. O sinistra, bakayaro! La mano é svelta, l’occhio meno, tanto che vince sempre il banco. Cambiano gli obiettivi, restano gli elementi. Non c’é banco nel kendama e il pegno sferoidale levita liberamente tutto intorno. E laddove a Potter basterebbe un wingardium leviosa, noi babbani dobbiamo pur soddisfare le leggi della fisica. Per questo la palla é legata con la corda. E le tazze non stanno tutte in fila, ma in opposizione perpendicolare, alle diverse estremitá di un magnifico mazzuolo, perfezionato in molteplici generazioni fin dall’epoca dei samurai. Senza trascurare l’essenziale punta, in grado di trafiggere l’eterno foro. Neanche fosse una katana, gira e rigira qualcuno ci perde anche la testa. Se parla il maestro di kendama, tutti gli altri tacciono. Quando invece si esibisce, urla e grida d’entusiasmo! Sperando che il suo senso supremo dell’equilibrio, in qualche modo, contagi pure noi.
Sull’origine del gioco esistono diverse teorie. Il punto é che, a differenza di certi aspetti culturali giapponesi, si ritrova in molti altri paesi al mondo. Secondo la versione piú accreditata della storia, il kendama sarebbe la versione naturalizzata del gioco francese bilboquet, praticato nelle corti d’Europa fin dal XVI secolo e giunto agli estremi della Via della Seta per l’opera dei molti mercanti viaggiatori. Si dice che tale versione occidentale avesse avuto diversi insigni praticanti, fra cui la scrittrice Jane Austen e il re Luigi XIV di Borbone, che l’aveva sempre fra le mani, persino durante le occasioni pubbliche o formali. Praticamente, come i politici di oggi con i loro cellulari dotati di Angry Birds. É peró altrettanto probabile che il ligneo antenato degli smartphone sia stato spontaneamente reinventato da un’artigiano giapponese, soprattutto vista la sua forma funzionale e distintiva. Questo tipo di divertimenti, finalizzati all’acquisizione di un senso di coordinazione fra la l’occhio e la mano, trovano ampia attestazione fra tutti i popoli dediti alla caccia o dotati di una qualsivoglia tradizione guerriera. Gli inuit del Labrador, ad esempio, usavano far saltare un teschio di coniglio perforato sulla cima di un bastone appuntito, con movenze probabilmente non dissimili da quelle del kendama. Anche gli ainu, le genti indigene dell’Hokkaido, avevano una loro versione, piú antica, di tale passatempo. Ció che é certo é che il gioco della palla con la corda, a partire dall’epoca Meiji, seppe conquistare i ragazzi e gli adulti di tutto l’arcipelago, arrivando ad essere inserito nel curriculum di alcune scuole, come ausilio all’insegnamento. Lo chiamavano nichigatsu ball (日月ボール) ovvero “La palla del Sole e della Luna” perché ricordava il moto cosmico dei corpi celesti. Chissá se cose simili succederanno mai di nuovo.
Il video di apertura, pubblicato sul canale di una community motociclistica giapponese, é stato girato in occasione del raduno del 2009 dei centauri della regione del Kansai, a cui il protagonista si era recato con il suo spettacolare sidecar personalizzato, costruito a partire da una Harley americana. Il suo nome, ahimé, non ci è noto. I praticanti del kendama, comunque, hanno sempre dei gran mezzi di trasporto. Chi si ricorda, ad esempio, del giovane Ganchan? Lui si che aveva un cane. Gigante. Di metallo. Yattamàn, Yattamàn, divertente ma severo, coraggioso e battagliero…