18 luglio 2013, parco nazionale del Bryce Canyon. Il lago Powell, bacino idrico artificiale, riflette placidamente i dardeggianti raggi di un sole che non conosce tregua. Il caldo é feroce, non si avvista una nube e i diversi aspetti del paesaggio, antropico e naturale al tempo stesso, coesistono tranquillamente, sotto il cielo terso di un pomeriggio d’estate. Regna la pace, ancora per qualche tempo… E non di piú. Perché 40 miglia piú a nord, 6 ore prima, si é verificato un grande rovescio di pioggia, improvviso quanto insolito per delle regioni tanto secche degli Stati Uniti. Sulle onde radio, in televisione e da un capo all’altro del web rimbalzano due terribili parole, temute da chiunque abbia mai sperimentato un particolare fenomeno: la flash flood. É questo il nome dell’inarrestabile ondata di detriti e fango che, come uno tsunami, percorre il terreno ben poco permeabile di un precedente letto fluviale, corre a valle e s’infrange caustico contro gli ostacoli, le persone, qualsiasi cosa. Per fortuna, stavolta il mostro serpeggiante non mieterá vittime designate: ben pochi animali sopportano l’arsura di questo luogo e ancor meno individui l’hanno eletto a loro dimora. Se un albero cade nella foresta….? Le aquile di mare osservano dall’alto, distaccate. Per gli uomini é piú complicato. La grande onda ci affascina, ma non andremmo mai a metterci sulla sua strada: spavalderia e curiositá non sempre vanno a braccetto! Per ottime ragioni evolutive. Considerando questo, é un bene che si possa contare su di lui, David Rankin, l’equivalente idro-terrigeno di un cacciatore di tornado. Qui l’osserviamo stupiti mentre, ancora una volta, si dedica alla registrazione diretta di una simile contingenza, cosí feroce e al tempo stesso tanto spettacolare; con lui la moglie e un collega, anche loro dediti alla rischiosa attivitá. L’attesa é spasmodica. Si approntano le telecamere, si verifica il piú probabile punto di passaggio del flusso torrentizio, pieni di ansiosa speranza e reverenziale entusiasmo. Si spera che il fiume miracoloso giunga puntuale, comparendo d’improvviso sul suolo di un arido arroyo abbandonato.
Le flash flood, o colate detritiche torrentizie, sono degli eventi idrografici che ci colpiscono per la rapiditá distruttiva, l’imprevedibilitá e la stranezza delle dinamiche grazie a cui percorrono decine di chilometri in poche ore, senza che nulla possa frapporsi fra loro e l’incerto obiettivo. Avvengono nelle piú diverse sfere climatiche e non sono esclusive degli Stati Uniti. Il loro flusso impietoso, composto da quantitá variabili di materia solida e liquida, esiste nello spazio ideale dei fluidi non newtoniani, ovvero quelle sostanze che presentino caratteristiche di viscositá non immediatamente apparenti. Possono raggiungere i 25 metri al secondo, benché siano spesso piú lente, quasi come una sorta di colata lavica, ma che sia fatta di pietre, materia vegetale e terra, rimescolate assieme e portate via dall’improvviso palesarsi di una grande massa d’acqua. Partono veloci, poi si fermano, in seguito al parziale indurimento del fronte sedimentario, prima di riprendere il via con ulteriore, rinnovata rapiditá. Ció avviene diverse volte, finché, esaurita l’energia dinamica, si trasformano in un semplice torrente e spariscono nel nulla.
Il piú classico esempio di tale occorrenza disastrosa é quello di una diga idroelettrica, improvvisamente crollata, che lasci fuoriuscire istantaneamente tutto il contenuto del lago che aveva trattenuto fino a quel momento. Talvolta, peró, puó anche bastare la naturale conformazione geologica di un luogo, come questo, secco e poco permeabile, che venga battuto da una grande quantitá di pioggia. Nel deserto dello Utah, inutile dirlo, il suolo é tutt’altro che fresco e verdeggiante. Diventa cosí la pista di decollo ideale per questo granuloso fiume nerastro, capace di tagliare a metá il paesaggio, neanche fosse la spada fangosa di un titano colossale.
C’é un solo modo di dominare gli eventi, nei casi tanto drasticamente al di fuori dell’umano controllo. Documentarli a beneficio dei posteri, in nome della scienza e della popolaritá digitale. Per fargli seguire un’ondata, altrettanto significativa, di likes e retweets.