Con un fruscio che ricorda il battito d’ali di una falena gigantesca, questo buffo essere artificiale innalza i limiti di ciò che può nascere dall’unione fra carta, colla ed elastici. Kikousya, il suo creatore giapponese, lo ha infuso di un soffio vitale che nasce dall’universalità dei principi della meccanica, ricercando applicazioni nuove per questi materiali così spesso incontrati in casa, a scuola o al lavoro. Il suo nome è M.P.M, Mechanical Paper Model. Un robot, l’omuncolo tecnologico, secondo le regole della fantascienza dovrebbe essere in grado di articolare un pensiero. Attraverso il suo computer, fare delle scelte basandosi sui presupposti del momento. Il codice concettuale di un tale essere, basato su file interminabili di zero e di uno, assumerebbe quindi la definizione di “Binario” 011000110110111101[….] Questa linea ideale, la metaforica strada cifrata, non ferrata, divide tali esseri in duplici tipologie successivamente contrapposte. Perché il robot può considerarsi uno(1)-un androide (uguale a noi esseri umani) oppure zero(0)-automatico. Il dondolante M.P.M. rientra, ovviamente, nella seconda di tali classi, assolutamente non confondibili tra loro. Ci sono, a loro volta, due geníe di questi individui privi di raziocinio: (0)mecha e (1)karakuri. La prima suscita immagini di conflitti futuribili, combattuti fra meccanismi possenti di aspetto vagamente antropomorfo, con dentro piloti umani che ne guidano le gesta, come in versioni immaginifiche dei moderni veicoli o aeroplani da combattimento. La seconda é quella dei giocattoli, le curiosità. Nella storia recente del Giappone, fra il XVII e il XIX secolo, vennero prodotte un’ampia varietà di bambole meccaniche, in grado di servire il tè o mettere in scena qualche breve momento di un dramma teatrale particolarmente famoso. Il pupazzo fatto a mano di Kikousya è l’incontro fra questo mondo e quello dei pepakura, le sculture di carta che trascendono le regole ferree degli origami, andando oltre il tradizionale concetto di “un solo foglio, ripiegato su se stesso”. Non c’è il treno della coscienza, sul binario di questo automa fine a se stesso. Ma la sequenza crittografica di un’entità davvero interessante, quella si.
A visitare il canale di YouTube thedoorintos, che propone a beneficio di noi occidentali una parte significativa dei lavori di questo abile creativo dell’Estremo Oriente, M.P.M. non è solo al mondo. Ha infatti tutta una sua famiglia, fra versioni a pedali con triciclo e carrettini semoventi senza cavalli. Ci sono, poi, gli accessori. L’abito invernale, che protegge il delicato ingranaggio motorio all’interno del suo corpo, e i potenti cannoni sparaelastici, per il siluramento a distanza di barattoli o scatole di biscotti. Viene il gustoso sospetto che l’autore, piuttosto che apprezzare le sue invenzioni per il procedimento altamente specialistico della loro costruzione, non le usi effettivamente per giocarci alla guerra, con un notevole risparmio sull’acquisto di modellini fatti in materiali più convenzionali.
L’impiego della carta nella creazione di un robot costituisce la sostanziale inversione di un celebre accostamento di concetti. Così come nel classico Fahrenheit 451 di Ray Bradbury c’erano individui che imparavano a memoria i testi dei libri del passato, per sottrarli dalla distruzione fiammeggiante ad opera di un governo totalitario, il robot di Kikousya, senza cervello, può incorporare una singola parte di questi oggetti tanto importanti: la cellulosa. Se la letteratura fosse completamente in digitale, eternamente replicata e intangibile, egli non potrebbe neanche esistere. E con lui, scomparirebbero del tutto i presupposti per un ripetersi di certi tragici falò letterari, storia veramente vissuta, in epoche neanche troppo lontane nel tempo.
01001101011000010110011101100001011100100110100100100001!!