PS3 game review: Yakuza 3

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“Ya-ku-sa!” ovvero otto, nove, tre. Questa serie di cifre si riferisce alla peggiore mano possibile in Hanafuda, il gioco giapponese le cui carte rappresentano stagioni e fiori. Tale passatempo è da sempre una delle attività più strettamente connesse al gioco d’azzardo nel suo paese d’origine, insieme al mahjong, allo shōgi (gli scacchi), ed all’onnipresente cascata di palline del pachinko. Il termine yakuza indica qualcosa di sgradito o indesiderabile, come appunto vengono considerati gli stessi bokutō,  i giocatori di professione. La tradizione vuole che furono proprio loro i fondatori della malavita organizzata in Giappone, trasformando le antiche strutture di auto-regolamentazione dei centri urbani periferici in moderni racket di matrice illecita.
Nakahara è un capo locale degli yakuza di Ryukyugai, città liberamente ispirata alla capitale di Okinawa nell’epoca odierna. Un uomo avanti con gli anni, dedito a valori che ormai solo i romantici considerano parte del suo mondo.  Tanto benevolo da aver adottato la figlia di un suo debitore di gioco, che si era suicidato per la vergogna. Nakahara ora si trova in una situazione difficile: il governo vuole acquistare da lui un’appezzamento di terra per costruirvi un resort turistico. Le potenti famiglie yakuza del clan Tojo gli fanno pressione da Tokyo per accettare al più presto l’affare, nonostante le proteste della gente di Okinawa. Il terreno è infatti occupato da un’orfanotrofio, proprietà di un misterioso benefattore di nome Kazuma Kiryu, il quale a più riprese si è rifiutato di cedere allo sfratto. Questo possente individuo mostra niente meno che l’esteso tatuaggio di un dragone, tale da identificarlo come ex-yakuza di alto livello. Nonostante il rapporto conflittuale tra proprietario ed occupante, quando la figlia di Nakahara viene rapita da un clan rivale è proprio Kazuma a venirgli in aiuto, dimostrando abilità guerriere e forza d’animo senza pari. L’anziano Nakahara sà di avere trovato un alleato degno di fiducia e considerazione, eventualità rara nel suo ambiente. Così promette a Kazuma che non renderà mai esecutivo l’ordine di sfratto per il suo orfanotrofio, e sancisce il giuramento con la tradizionale coppa di sakè.  Pochi giorni dopo qualcuno attenta alla sua vita, nello stesso momento in cui l’intero clan Tojo precipita Tokyo in una feroce guerra di successione. É giunto il momento che Kazuma Kiryu, il leggendario Drago di Dojima, faccia ritorno a Tokyo…

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In Giappone la posizione sociale è sempre stata definita in larga misura dal ruolo e dall’utilità dell’individuo nel contesto dei suoi simili. Dal momento in cui gli antichi abitanti della terra di Yamato conobbero l’etica morale confuciana e l’importarono dalla Cina, la maggior parte delle loro realtà organizzative furono gradualmente caratterizzate dai più rigidi ed inflessibili ordinamenti gerarchici. Non solo il samurai aveva il dovere di mettere tutto sè stesso al servizio del suo signore, ma anche il pittore, il filosofo, il poeta ed il letterato rispondevano ai loro severi maestri sulla base di antiche scuole di pensiero dall’estetica immutabile ed attentamente preservata.
La duratura pace ottenuta a caro prezzo nell’epoca Edo (1603-1868), portò a forti mutamenti nei meccanismi alla base di questa società. I guerrieri in armatura divennero burocrati e governanti, mentre la tradizionalmente disprezzata classe dei mercanti, considerati illeciti venditori del lavoro di altri, ascendeva allo status privilegiato di una sorta di proto-borghesia. Portare avanti gli affari in un paese ostile richiedeva tuttavia protezione e mutuo soccorso, costringendo le corporazioni mercantili a fornirsi di guardie armate, dette oyabun. Questi individui, spesso poco raccomandabili o rispettosi di regole e convenzioni sociali, vivevano secondo un proprio codice che era in un certo senso la distorsione di quello dei samurai, ed incidentalmente trovava sua massima espressione nella pratica del gioco d’azzardo. É estremamente raro che il Giappone abbandoni come conseguenza del progresso un suo tratto culturale dominante: la yakuza moderna, nonostante le sue numerose implicazioni sinistre ed illecite, costituisce per questo un’affascinante mondo a parte, rimasto sostanzialmente immutato da centinaia di anni.

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Nonostante la grande quantità di film, romanzi e manga sull’argomento, fino al 2005 il mondo dei videogames era rimasto privo di una valida rappresentazione della yakuza; la motivazione andrebbe forse ricercata nella preferenza mostrata dal pubblico nipponico per ambientazioni fantastiche o slegate dal quotidiano, persino meno razionalizzate della nostra fantascienza.
Il primo gioco della serie Ryu ga Gotoku (Come un Drago) prodotto da Sega Amusement Vision (gli antichi AM2, già autori di Daytona USA) stupì la critica per i valori di produzione elevati ed il gameplay innovativo. Era un’ibrido picchiaduro-rpg, che seguiva le vicende vissute dallo yakuza Kazuma Kiryu a seguito del suo rilascio dopo dieci anni di carcere ingiusto. Il gioco era basato su una componente narrativa estremamente ben sviluppata, con decine di personaggi memorabili ed una cinematografia eccellente. Per il pubblico occidentale era inoltre dotato di un’ulteriore e potente attrattiva: l’ambientazione. Forse solo una volta in precedenza (la serie di Shenmue) il Giappone moderno era stato riprodotto in un videogioco con tanta precisione e perizia realizzativa. Camminare per il quartiere tokyoita immaginario di Kamurocho, liberamente ispirato al famoso Kabukichō di Shinjuku, era un’esperienza memorabile e piena di attrattive. Ogni ristorante, pub, sala giochi, bar e casa da gioco potevano essere vistati, ogni cibo ordinato e tutto era funzionante, utile ed interattivo. Veniva persino offerta una versione digitalizzata degli UFO Catcher della SEGA, il classico gioco a premi con la gru!

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Questo nuovo episodio della serie presenta gli stessi punti forti dei suoi predecessori per gameplay e tecnica, mantenendone intatte le qualità più significative. Nonostante il comparto grafico lievemente superato – il gioco è uscito in Giappone l’anno scorso, ed ha già un seguito nei negozi del paese d’origine – è molto facile finire per considerare ciascun personaggio alla stregua di un’attore reale, specie per l’espressività dei volti e del doppiaggio.
Qualcuno potrebbe forse non apprezzare i primi capitoli, incentrati essenzialmente sugli sforzi quotidiani di Kazuma per rendere piacevole la vita degli orfani sotto la sua responsabilità. C’è una sorta di bizzarra soddisfazione nel vedere un samurai tatuato dei giorni nostri che prepara il pranzo, compra vestiti per bambini, gioca a palla in spiaggia e cerca in giro per la città il necessario per accudire un cagnolino, ma è innegabile che il tutto sia alquanto frustrante per chi non vede l’ora di entrare in azione. C’è da dire che una volta messa in moto, la vicenda è appassionante e senza respiro, mentre l’approfondimento caratteriale dei primi capitoli aggiunge molto all’immedesimazione nel protagonista. I riferimenti ai due episodi precedenti sono continui, ma un pratico riassunto ed il fenomenale indice dei personaggi aiuteranno i nuovi arrivati ad orientarsi tra le decine di eventi e situazioni passate, consentendo comunque di seguire il racconto senza troppi problemi; del resto la serie di Yakuza è ormai un melodramma stratificato di complessità pari o superiore a quella del leggendario Metal Gear Solid, e ben pochi possono dire di conoscere davvero ogni sotto-trama e digressione del racconto.
Grazie alle potenzialità dell’attuale generazione di console, le fasi esplorative, divise tra la nuova ambientazione okinawense ed il consueto quartiere Kamurocho a Tokyo, beneficiano di una ricostruzione pienamente tridimensionale ed in terza persona. Ciò significa poter osservare dal livello del terreno ogni vetrina di negozio, portone, vicolo e punto di interesse. Solo in alcuni ambienti chiusi la telecamera resta fissa. L’effetto visivo della grande folla di persone che occupa strade e marciapiedi è particolarmente efficace, riuscendo a catturare per la prima volta in un videogioco un aspetto altamente caratteristico delle metropoli giapponesi.

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Ma non c’è spesso il tempo di rilassarsi e fare i turisti: come nei precedenti episodi, dovunque passi Kazuma qualcuno è pronto a sfidarlo. Truffatori, yakuza rivali, furfanti di strada… Potrebbe dirsi la condanna del guerriero, destinato a mettersi alla prova contro ogni avversario, o piuttosto una singolare quanto immotivata protesta degli sviluppatori contro la pericolosità di alcuni quartieri del loro civilissimo paese. Con notevole senso pratico ai fini del gameplay, quasi nessuno dei nemici di Kazuma è armato di pistola o altre armi da fuoco, dato che in Giappone è molto difficile procurarsene una. Con un tocco di classe davvero notevole, nel momento in cui c’è da menare le mani il gioco non presenta alcun tipo di stacco o pausa. Individui a caso tra la folla, di cui almeno uno dotato dell’onnipresente macchina fotografica, racchiudono in modo fluido Kazuma ed i suoi avversari in una sorta di ring, mentre i dati necessari vengono caricati dalla console in streaming. Questo conferisce all’esperienza un notevole dinamismo e continuità, sconosciuto ai J-RPG tradizionali di alto profilo almeno dai tempi del primo Chrono Trigger. Il sistema di controllo è immediato ed estremamente semplice, arrivando a ricordare da vicino i beat’em’up degli anni ‘90 come Streets of Rage o Final Fight. Poche pressioni di tasti consentono di eseguire combo, prese e colpi di grazia, mentre praticamente ogni oggetto dello scenario può venire usato per percuotere il malcapitato di turno. Sono inoltre presenti nomerose azioni contestuali, quali lanci coreografici dell’avversario contro pareti, ringhiere, fuori da finestre o generalmente nei pressi di ogni sorta di elemento architettonico sgradevolmente spigoloso o contundente. Nei momenti salienti della storia il gioco ricorre a sequenze di combattimento più lunghe ed articolate, inclusive di ambienti esplorabili ad-hoc e culminanti con lo scontro contro uno dei carismatici quanto malefici capi-mafia dei diversi clan ostili al protagonista.

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Chi fosse stato deluso dalla semplificazione alla base dell’ultimo Final Fantasy troverà in Yakuza 3 tutto quello che, forse, aveva dato per perduto: la linearità della trama di questo action-rpg non pregiudica in alcun modo sotto-quest ed elementi accessori. In Yakuza 3 si conversa con persone non indispensabili di questioni mondane, si visitano decine di negozi e si personalizzano a piacimento equipaggiamento ed armi. Da quest’ultimo punto di vista, in particolare, il gioco presenta una quantità di opzioni notevoli: le armi possono venire assegnate a direzioni del joypad, e selezionate al volo in battaglia. Raccogliendo le più diverse materie prime si potranno costuire spade, nunchaku, aste da combattimento, bastoni da escrima… ciascuno potenziabile presso l’apposito venditore, come mutuato dall’ottimo spin-off samuraico-feudale Yakuza: Kenzan (2008), per qualche oscuro motivo non tradotto da Sega a beneficio di noi occidentali.
A questo proposito, va considerato che benchè il fantastico doppiaggio sia stato lasciato fortunatamente in lingua originale, l’adattamento di Yakuza 3 è purtroppo un vero disastro sotto ogni altro punto di vista.  Innanzitutto, tutti i testi ed i sottotitoli della versione venduta in Italia sono comunque in inglese. Per supplire a tale assurda mancanza la confezione include una “guida strategica” ovvero un brevissimo pamphlet-soluzione nella nostra lingua, da evitare a tutti i costi per risparmiarsi i più terribili spoiler.

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Anche chi non avesse problemi con questo aspetto, dovrà fare i conti con alcuni tagli inspiegabili e senza senso da parte del team di Sega of America, forse motivati dall’urgenza nel procedere alla pubblicazione del gioco. Non solo è stato rimosso ogni riferimento agli hostess bar, i tipici e bizzarri locali giapponesi in cui si pagano le cameriere per fare conversazione, ma anche la possibilità di intrattenersi nei giochi del mahjong e dello shōgi. Uno studio di tali attività, come detto precedentemente, andrebbe considerato fondamentale per una rappresentazione completa della cultura yakuza. Spesso è facile inoltre notare come alcuni personaggi vengano chiamati per nome nei sottotitoli, mentre il doppiatore aveva usato il cognome, secondo l’usanza giapponese. Persino un cucciolo di Akita-Inu, la cui neo-padroncina battezza “Meme” di fronte ad almeno tre testimoni (oltre che al giocatore) viene immediatamente rinominato nei sottotioli come “Rex” – con un fonema finale nientemeno che impronunciabile per un giapponese madrelingua. Il gioco resta comunque infarcito di mini-game ed attività secondarie a profusione, tra cui una completa simulazione di golf, le freccette, il biliardo, il poker, la roulette… resta inspiegabile l’eliminazione di quanto già considerato adatto a noi occidentali negli adattamenti passati della serie, ed è triste poter entrare in numerose sale da gioco ai cui tavoli non ci si può sedere affatto; non era certo difficile immaginare che chi comprerà il gioco fosse interessato al Giappone, e conosca le regole dei suoi giochi di società più famosi.

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Nel paese del Sol Levante generazioni di menti eccelse hanno cercato la tecnica migliore per scrivere un ideogramma, allestire un giardino, servire il tè, costruire ventagli… Ciascuna attività del quotidiano, lungi dall’essere triviale o priva di interesse, meritava uno studio accurato che la portava a diventare una Via da tramandare di padre in figlio, o di maestro in allievo, attraverso le generazioni ed infine dalla verso la meta ideale della perfezione concettuale ed esecutiva.
Yakuza 3 non è un passo avanti verso novità di gameplay o concept, quanto piuttosto la versione più raffinata di uno stile di gioco classico, risultante da epoche passate e riproposto secondo le stesse regole almeno altre due volte. Come le soluzioni tecnologiche del Giappone pre-moderno, non raggiunge a pieno il grado di innovazione e perizia tecnica di quanto prodotto in Occidente. Ma è pura arte, ed ha una storia assolutamente unica da raccontare, riservata a chi saprà trovare la giusta chiave di lettura. Nonostante il sistematico lavoro di adattamento distruttivo della Sega of America, Yakuza 3 risplende di luce propria tra i suoi simili.

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Consigliato a chi: nutre un qualche tipo di interesse, anche passeggero, per uno dei paesi più affascinanti al mondo.

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