Un castello samurai fatto di cartone

Upunushu

Quanti giorni di assedio potrà mai sopportare un castello alto 40 cm? Probabilmente moltissimi, purché si tratti della precisa riproduzione di una delle più famose fortezze dell’epoca Sengoku (1478-1605), quel turbolento periodo al termine del quale la moderna nazione giapponese emerse dalle polveri di oltre un secolo di scontri tra i diversi clan samurai, attraverso guerre civili e difficili alleanze. Il castello di Matsumoto, anche detto bastione del corvo, venne costruito nel 1504 ed è ormai da tempo considerato un tesoro nazionale per i suoi notevoli meriti estetici e funzionali. Oggi eccolo lì, come se niente fosse, sul tavolo da pranzo di Upunushu, ragazza straordinariamente abile nel campo dei pepakura (modellini di carta incollata). Svettante, con tutte le sue feritoie yazama e teppozama al posto giusto, pronte ad ospitare rispettivamente gli arcieri e i fucilieri del clan Ogasawara, coloro che all’epoca regnavano nella regione dello Shinano. Un territorio decisamente difficile da difendere, tanto che la loro splendida residenza fortificata, piuttosto che sorgere in cima ad un colle impervio o in altri luoghi inaccessibili al nemico, era stata collocata nel mezzo di una palude, rientrando nel genere di castelli detti hirajiro, ovvero di pianura. Ma per compensare a tale inerente limitazione, poteva contare su alcuni significativi punti a suo vantaggio: tre vasti fossati pieni d’acqua, ovviamente assenti nella versione ridotta di Upunushu (gli si sarebbe squagliato il bastione). Una ricca dotazione dei cannoni lunghi Hazama, recentemente importati dai mercanti europei. Mura spesse e resistenti, percorse da vasti corridoi periferici, adatti al passaggio veloce dell’intera guarnigione in armatura, ulteriormente appesantita dalle armi e dalle insegne del clan che l’aveva edificato. Uno dei molti, purtroppo, destinati a perdersi tra le accidentate vie della storia.

Secondo un episodio narrato nel romanzo di Yoshikawa “Taiko“, incentrato sulla vita dei grandi conquistatori di quell’epoca, il potente signore della guerra Oda Nobunaga, durante una riunione formale, chiese consiglio ai suoi più fidati servitori e generali in merito al modo di progettare il suo nuovo castello, l’enorme fortezza di Azuchi. Il suo giovane paggio, Mori Ranmaru, suggerì allora che si dovesse includere un donjon (alta torre centrale) su modello del castello di Matsumoto, attribuendo per un vezzo questa particolare idea ad un ambizioso generale dell’esercito di conquista, Akechi Mitsuhide. Ciò lasciò quest’ultimo assolutamente impreparato a fornire ulteriori delucidazioni al suo signore, con una notevole perdita di prestigio. Nessuno sospettò in quel momento, meno che mai le tre parti coinvolte, quale terribile dramma sarebbe scaturito da un tale insignificante malinteso.
Il castello di Matsumoto, nel giro di pochi anni dalla sua costruzione, rientrò nella sfera d’influenza del potente signore del Kai, Takeda Shingen, uno degli uomini più potenti del paese, colui che agli occhi del popolo appariva come il più adatto a rivestire l’ambita carica di Shogun, sommo generale dell’Imperatore. Inaspettatamente, egli morì tuttavia durante un assedio in terre lontane, per una sfortunata casualità.

Upunushu 2
Il castello di Matsumoto venne poi ereditato da suo figlio, Takeda Katsuyori, che ne mantenne il controllo fino al 1575, anno della sconfitta di Nagashino. Fu probabilmente in quel terribile scontro che si gettarono le basi del Giappone moderno: il sogno della tonante cavalleria Takeda, imbattuta in centinaia di battaglie, andò ad infrangersi contro le barricate dei reggimenti di fucilieri di Nobunaga, del tutto privi di addestramento o lignaggio nobiliare. La tradizione di secoli non poté più nulla, contro la tecnologia e la strategia occidentale; e proprio colui che era stato in grado di comprenderlo appariva destinato a diventare il futuro dominatore incontrastato del paese.
Non fosse che per un piccolo dettaglio, ovvero l’inaspettata vendetta di quel generale che aveva umiliato, anni prima. Secondo Yoshikawa il rapporto tra Nobunaga e il suo sottoposto Mitsuhide, che lui chiamava scherzosamente “testa di limone”, andò progressivamente inasprendosi, con tutta una serie di malintesi e malaugurate coincidenze. Nonostante questo, per l’ideale samurai un tradimento era del tutto impensabile. Finché, il 21 giugno 1575, Nobunaga non decise di fermarsi presso il tempio di Honnō, in prossimità della capitale Kyoto, mentre era in viaggio verso le province occidentali ormai pronte a capitolare sotto il suo pugno di ferro.
Fu allora che Mitsuhide mise in atto il suo piano. Mentre si dirigeva anche lui ad ovest, passando in prossimità di Kyoto, gridò agli uomini del suo clan la celebre frase “Il nemico aspetta ad Honnoji!” guidandoli poi, a sorpresa, contro il suo stesso signore. Nobunaga in persona, del tutto impreparato allo sleale assalto, rimase bloccato tra le mura del tempio, in fiamme. Dopo una strenua resistenza dovette togliersi la vita, commettendo il seppuku. Il giovane Mori Ranmaru, fedele fino all’ultimo istante, lo seguì nell’aldilà.
La colorazione cupa delle mura del castello di Matsumoto, così come i suoi tetti spioventi che si dice ricordino le ali di un corvo, rispecchiano gli aspetti più tormentati e violenti della sua epoca. Dopo la morte di Nobunaga fu il suo generale più capace, Toyotomi Hideyoshi ad assumerne il controllo insieme a quello dell’esercito di conquista. Questi, a sua volta, diede in gestione il castello a Tokugawa Ieyasu, colui che un giorno avrebbe completato l’opera della grande unificazione del paese. Oggi questo edificio storico è una delle molte attrattive turistiche dell’omonima città e getta la sua piacevole ombra a due passi dalla più antica scuola elementare del Giappone.

Via: Rocketnews24, FightingArts

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