Decolla come un fulmine ma pesa 40 tonnellate

JATO

Quando i vichinghi assaltavano le coste della Britannia o della Normandia, tutto l’equipaggio doveva immergersi nella furia della battaglia. Il timoniere sbarcava con gli altri impugnando un pesante scudo e persino il cuoco di bordo affilava le asce e seguiva il suo comandante nel mezzo delle fila nemiche. Giunto il momento della verità, nessuno aveva più un ruolo esclusivo e tutti contribuivano allo scontro. Così è, ancora oggi, per i Blue Angels, la squadriglia acrobatica della marina degli Stati Uniti seguita assiduamente da più di 13 milioni di persone, notevole soprattutto per la maestria dimostrata nell’impiego dei cacciabombardieri F/A-18 Hornet, con cui realizzano coreografici voli in formazione di 6 elementi. E celebri, anche, per il loro variopinto aereo da trasporto, un colossale C-130 Hercules detto Fat Albert, il quale piuttosto che limitarsi a fare da taxi volante per le apparecchiature e gli uomini partecipa anche lui, da protagonista, a ciascuno degli eventi in calendario. Decollando praticamente in verticale, nonostante le sue 35 tonnellate di peso (a vuoto) grazie all’impiego di un’originale serie di razzi ausiliari monouso, i cosiddetti JATO, concepiti per l’impiego in situazioni difficili, con piste troppo corte o carichi eccessivi a bordo. Originariamente, durante la guerra, venivano talvolta montati sugli alianti, per catapultarli subito in cielo senza l’impiego di un velivolo da rimorchio. Nel mondo di oggi tale tecnologia trova uno scopo decisamente più meritevole, quello di far sognare gli spettatori. Superando i limiti della fisica apparente nell’equivalente moderno di una drakkar scandinava, soavemente lanciata tra i mari celesti.

I Blue Angels nascono nell’epoca immediatamente successiva alla seconda guerra mondiale, su richiesta specifica dell’ammiraglio Nimitz e dapprima con una dotazione di fiammanti Grumman F6F a elica, gli iconici Hellcat del teatro del Pacifico. Il loro grande successo multi-generazionale, nonché l’evoluzione degli airshow che hanno portato in tutto il paese, rispecchia tuttavia la progressiva introduzione della più grande novità nel campo dell’aereonautica moderna: quella degli aerei a reazione. Furono proprio loro i collaudatori del Grumman F9F Panther, primo jet militare del blocco occidentale, a bordo del quale ebbero un ruolo attivo durante la guerra in Corea. E soltanto a quel gruppo di spericolati poteva venire l’idea, degna di un cartone animato della Warner Bros, di attaccare otto bombole di perossido d’idrogeno alla parte posteriore di quel gigantesco velivolo simile ad una nave dei cieli, in grado di decollare con un carico totale di fino a 80 tonnellate. Erano, del resto, i selvaggi anni ’70 e tutto sembrava possibile.
Secondo una diffusa leggenda metropolitana, risalente all’epoca in cui nacque l’amaro premio dei Darwin Awards, un riconoscimento concesso a tutti coloro che riescano a perdere la vita in modo particolarmente stupido, qualcuno un giorno montò questi stessi razzi su di una automobile Impala del 1967, per andarci a correre nel deserto dell’Arizona. Si dice che, raggiunti i 150 metri al secondo di velocità, il pilota abbia spiccato il volo per oltre 5 chilometri, finendo poi contro uno sperone roccioso a 40 metri di altezza dal suolo. Quando la polizia si recò sul luogo del disastro, tutto ciò che rimaneva di lui erano i capelli e qualche frammento d’osso annerito. La morale della storia, come dicono sempre in TV, è di non provarci da casa; del resto, sono meglio cento giorni da Beep Beep che uno da Wili E. Coyote, no?

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