Un vecchio detto afferma che “su Internet nessuno può sapere che sei un cane”. Perché il pubblico del web vedrà di te soltanto quello che tu vuoi mostrare. Se non partecipiamo alla discussione, a meno di voler lasciare una chiara traccia, restiamo invisibili. In questo video interattivo, creato per Kilo, l’ultima canzone del gruppo olandese Light Light, c’è una tecnologia in grado di registrare ogni movimento fatto dal mouse di coloro che passano di lì, riproducendolo a beneficio dei futuri visitatori. Cosa ci rappresenta meglio nei computer, in fondo, se non la freccetta del nostro mouse? L’avatar non è soltanto lo strumento degli anonimi di professione, ma un concetto imprescindibile, caratterizzante. Da un’iniziativa come questa si possono trarre molte conclusioni. Alcuni seguono pedissequamente le missioni del testo fornito sullo schermo, come in un videogame. Altri si ribellano, oppure restano passivi. In almeno un paio di casi, a sorpresa, si generano situazioni di cooperazione spontanea, con chiare finalità artistiche o di ribellione. Posti tutti insieme all’interno di uno spazio definito, il riquadro di un movimentato video musicale, i membri casuali di una folla assumono, chiaramente, le caratteristiche di un gregge o di uno sciame. Questo è materiale degno di una tesi sociologica; qualcosa che riesce, giocosamente, a spiegare e definire una piccola parte del pensiero umano. Se davvero esiste un cervello collettivo, che trascende l’individualità dell’ego, dovrà pur esserci una sua componente minima. Si dice che la distanza coperta dai neuroni, se disposti tutti in fila, sia pari a quella fra la Terra e la Luna. E se noi potessimo prendere le freccette di ogni utente al mondo, chissà dove arriverebbero…
Non si può esistere all’interno di uno spazio virtuale senza un’alternativa al vero corpo fisico, che permetta di concretizzare i gesti compiuti nell’interfaccia di controllo. Nell’iperspazio digitale siamo pura essenza, senza alcuna limitazione materialistica o concettuale. Possiamo agire come fantasmi intangibili, le luci colorate di un accesso IP silenzioso che nessuno mai ricondurrà fino alla nostra abitazione. Oppure trasformarci nei più popolari della compagnia, circondati dagli amici, mentre ogni foto o dettaglio della nostra vita diventa brevemente oggetto di sconfinata ammirazione, subissato dai like, mi piace, retweet… In ciascuno di questi due casi estremi, tuttavia, rimarrà sempre un muro invalicabile oltre cui il pubblico non potrà andare. Il vetro lucido del nostro monitor, che ci trasforma e reinterpreta secondo le istruzioni che gli diamo. L’Alice di Lewis Carroll, vedendosi riflessa nello specchio, poté attraversarlo verso il mondo della sua stessa fantasia; e in realtà anche noi, dietro il grande portale metafisico dei nostri tempi, possiamo ritrovare noi stessi. L’importante e sapersi riconoscere: oltre le maschere pirandelliane di mille avatar, tolte le finzioni e i vaneggiamenti autocelebrativi, si può trovare colei che più di ogni altra cosa costituisce la nostra vera essenza. La freccetta. Che tu stia giocando, leggendo, oppure pubblicando, inevitabilmente ti accomuna a tutti gli altri. Guardala, diglielo: “Ecce cursor, anima mea.”