Sul canale YouTube di Olli Gee, chitarrista del gruppo Death Metal tedesco Fleshcrawl, c’è un video davvero singolare. Si tratta di un montaggio realizzato a partire da alcune sequenze di electronic body music, con suggestivi ballerini che spontaneamente si esibiscono per le strade, nei parchi e nei centri commerciali. La loro tecnica, nel contesto di quel particolare genere così strettamente legato agli eccessi delle grandi feste giovanili, sarebbe ineccepibile. Peccato che qualcuno, con una certa irriverenza e un chiaro intento di spiazzare gli spettatori, abbia deciso di cambiare musica. Anzi, meno male! Perché questo genio non ci ha messo quattro note come tutte le altre. Questa è vera Polka, baby! Nettare auricolare, il sacro nirvana sensoriale del Midwest nordamericano. Dal ripetuto umpapà, insistente e sbarazzino, prodotto inconfondibile della tuba/flicorno bombardona, s’identifica chiaramente il contesto: il brano è un pezzo di polka dutchmen, ovvero olandese, sotto-genere da cui traspare tutt’ora la voglia di ballare e divertirsi degli antichi popoli della terra di Bohemia. Un suono così universale, tanto essenziale e distintivo, che si associa perfettamente, persino, alla gestualità ritmica e sincopata di questi futuribili cyberkids e cybergoths, campioni dell’anticonformismo post-moderno. Neanche la croce gigante sull’abito pseudo-talare, un paramento degno del prescelto Neo, o le maschere anti-gas con lunghi dread verde/fluo sono elementi sufficienti a neutralizzare questo strano incontro di civilità: Bitte schön! Se io fossi uno di questi involontari protagonisti, non me ne sentirei affatto sminuito. Perdersi nel mare poetico della Polka è ultra-divertente, cribbio!
La maggior parte dei protagonisti del video sono degli appartenenti alla subcultura cyber, ovvero membri di uno di quelle correnti giovanili, culturali e musicali, che nascono dalle sinergie del momento storico e dal progresso tecnologico. Si potrebbero definire la branca raver del movimento cyberpunk, una realtà che, non a caso, nacque negli anni ’80, in concomitanza con le prime pubblicazioni dei grandi teorici e scrittori dell’omonimo genere letterario, tra cui Bruce Sterling e William Gibson. Nei loro grandi romanzi, produzioni tanto significative quanto ingiustamente tralasciate dagli ambiti più rigidamente accademici, si narra l’epopea dell’uomo a contatto con le sue creazioni più caratterizzanti e pervasive: il mondo digitale, la robotica e l’ingegneria genetica. Benché generalmente distopici, ovvero ambientati in epoche fallite e decadenti, questi racconti ci dimostrano con estrema lucidità alcune delle possibili implicazioni dell’attuale situazione socio-economica. Sono, sostanzialmente, scorci di un possibile futuro, da cui traspaiono le inevitabili gravi conseguenze, sul bene comune e sul diritto dell’individuo, di un sistema che possa dirsi realmente anarco-capitalista. Nel crescente predominio delle multinazionali tecnologiche, dell’informatica e della comunicazione, tale implicito avviso preventivo, lanciato con largo anticipo, tende ad assumere l’aspetto di un’inquietante profezia.
Meno male che, per sfogarsi e superare la crisi, c’è sempre la catarsi dinamica del ballo. Che sia ribelle oppure tradizionale tanto, arrivati a questo punto, a chi vuoi che importi?