Bianchi come la morte, inespressivi e vacui, questi teschi misteriosi non ospitano più alcun barlume di coscienza. Chissà quale mente aliena li abitava, cosa sognava… E come poteva essere l’aspetto di creature tanto diverse da noi? L’unica a conoscere queste risposte è Katsuyo Aoki, la giovane ceramista giapponese che le ha immaginate, disegnate e ricostruite, con una notevole abilità tecnica e metodologie di lavorazione originali. Il teschio, come simbolo, si ritrova nel mondo con un’ampia varietà di aspetti: quello sacro, frequente nel culto dei defunti; l’emblema di spietati fuorilegge o società segrete, con l’accompagnamento di ulne o femori incrociati. Quando ritratto su tombe e lapidi, il suo aspetto stolido diventa l’allegoria della mortalità umana. E poi c’è tutto l’universo del fantastico, dei mostri gotici e delle ipotesi pseudo-scientifiche; molte delle creature terrestri hanno una scatola cranica, ma la nostra è ben distinta dalle altre. Difficile confonderla con quella di una scimmia, praticamente impossibile con qualsiasi altra. Purché il rapporto tra gli elementi venga mantenuto, un cranio umano rimane tale, indipendentemente dal numero di aggiunte fantasiose, quali zanne, corna o altre improbabili escrescenze. Per questo costituisce da tempo immemore un soggetto amato dagli artisti. Divinità oscure, apparizioni inquietanti e fantasmi si presentano spesso con il più essenziale e pallido dei volti, ovvero il teschio stesso.
Ma qui non c’è un mietitore incappucciato, un mistico minotauro o il visitatore proveniente da un altro pianeta. Simili sculture di ossa craniche, barocche e follemente complicate, difficilmente potevano far parte di una testa e un corpo propriamente detti. A voler giustificare con la logica questa serie di opere, intitolata Predictive Dream, l’unica possibile spiegazione sarebbe la seguente: le ossa craniche, una volta separate dai loro possessori, continuano un processo ideale di trasformazione evolutiva. Crescono selvagge, come le piante.
Nella sua dichiarazione d’intenti, l’artista afferma di voler dare una nuova vita ai simboli e leggende del passato, non semplicemente ripetendole ma “interpretando a suo modo l’atmosfera degli antichi miti”. La sua idea di fondo, come dichiara con enfasi, è la ricerca di un punto d’incontro tra il sacro ed il profano, attraverso la “tensione strutturalmente delicata dei materiali da me impiegati”. Questo, forse, perché la lavorazione della ceramica, soprattutto in Estremo Oriente, è strettamente legata con la nascita delle antiche culture e civiltà.
L’illustre Fiume Giallo, culla delle più ancestrali culture asiatiche e delle prime dinastie cinesi, non fu soltanto l’irrigatore d’innumerevoli campi e risaie, ma anche la fonte di una sostanza imprescindibile: il rossiccio caolino, usato nel vasellame e negli utensili rituali. Ciascuna popolazione di quelle aree geografiche, nella misura in cui ci è dato conoscerle attraverso l’archeologia, trovò significativa distinzione proprio in questo campo dell’artigianato. Gli haniwa, figure antropomorfe dalla lavorazione semplice ma affascinante, sono tra i primi prodotti in terracotta giapponese ad essere giunti fino a noi. Si tratta di immagini religiose che venivano usate nei riti sacri e poste a guardia delle tombe, il cui aspetto talvolta bizzarro, persino alieno, ha generato non pochi interrogativi nel corso dei secoli. Attraverso i lavori di Katsuyo Aoki si può individuare una sorta di filo conduttore che sfruttando soluzioni tecniche più avanzate, come la candida porcellana, ricollega questa cultura delle origini al mondo moderno, ai suoi canoni estetici e alle più sfrenate espressioni dell’assurdo contemporaneo.
Per altre immagini: link al sito dell’artista