L’arte digitale ci ha insegnato che tutte le immagini presentano un aspetto imprescindibile e costante: la scomponibilità. Le rappresentazioni visuali di ogni tipo, infatti, possono venire suddivise in parti sempre più piccole e per nulla indipendenti. Settori, dettagli, puntini e infine pixel, la loro frazione minima e più indivisibile; ciò che potrebbe definirsi l’atomo della grafica, almeno quando s’impieghi il microscopio di un PC. Kaoru Akagawa sfida questa definizione con la sua particolare versione della pittura tradizionale giapponese, in cui le figure vengono assemblate gradualmente non più da singole frazioni prive di significato, ma con sequenze di lettere e parole della sua lingua; il metodo prevede sostanzialmente file verticali dell’alfabeto hiragana, disposte ad arte e dal tratto più o meno spesso a seconda dei casi, in grado di comporre mediante l’impiego esperto della loro forma naturale le linee riconoscibili di fiumi, foglie, strade… Persino la famosa grande onda di Hokusai. Si tratta della più originale unione tra antiche tradizioni e sensibilità moderna. Lo stile inconfondibile dello shodō che incontra quello dell’arte figurativa, usati insieme per creare ciò che lei stessa definisce sul suo sito, con un neologismo multilingua, Kana de l’Art. O per usare il nome del canale di YouTube che ospita il video, vera e propria avant-garde.
Un tipo di creazione che, a mio parere, si potrebbe giungere a identificare come una più meritevole ASCII art, la procedura informatica diventata celebre agli albori di Internet, che si usa per creare immagini con le sole lettere della tastiera. Ma trasferita totalmente in un mondo fisico e tangibile, fatto di inchiostro, pennello e un singolare quanto affascinante talento individuale.
Molte delle lingue del mondo sono note per un loro aspetto in particolare, difficile da studiare e mettere in pratica se si è stranieri. L’italiano ha le sue complesse coniugazioni verbali e i cambiamenti di genere, l’inglese una pronuncia particolarmente irregolare, il tedesco, lingua agglutinante, impiega spesso vocaboli precisi, lunghi e articolati. Per il giapponese c’è la scrittura. Un sistema ricco di storia, meccanismi e sfaccettature funzionali, arricchitosi nei secoli di una serie di alfabeti distinti, apparentemente inconciliabili eppure, in qualche modo, integrati alla perfezione tra di loro. C’è l’antica e vasta collezione di ideogrammi (un segno=un concetto) provenienti dalla Cina, scrittura giapponese più famosa all’estero e fin dalle origini legata al mondo letterario e storiografico; ci sono poi due sistemi basati sul suono, analogamente al nostro alfabeto latino e quello arabo, sviluppatosi in epoche molto differenti e solo recentemente resi parte integrante della scrittura in quanto tale. Sono i kana. Il primo di questi, protagonista delle opere di quest’artista, è l’hiragana. Nato intorno all’800 d.C, era tradizionalmente pensato per l’impiego da parte delle donne aristocratiche, altamente erudite ma al tempo stesso escluse per principio da particolari categorie del sapere. L’impiego tutt’altro che convenzionale che ne fa Kaoru, nella sua pittura moderna e originale, è per questo specifico motivo ancora più ricco di spirito simbolico e implicazioni culturali. La serie completa delle opere pubblicate online è disponibile a questo indirizzo.