Dalle nostre parti uno storno è il generico percorritore delle vie volanti, dal piumaggio puntinato e il verso melodioso, capace di formare lo spettacolare “mormorio” o “mormorazione”, il gruppo di elementi colloidali che intrecciandosi nei cieli, disegnano fluide, fantasiose figure. Quel che non è necessariamente parte del senso comune, tuttavia, è il modo in cui spostandoci ad Oriente, questa notevole famiglia di animali si presenti caratterizzata da una biodiversità dei propri fenotipi paragonabile a qualsiasi altra, superiore di gran lunga alla maggioranza. Con livree di piume prevalentemente formate da uno o due colori, ma disposti in modo tale da formare immagini e figure chiaramente riconoscibili, guadagnandosi l’attenzione dei tassonomi naturalisti fin dagli albori delle classificazioni sistematiche vigenti. Personaggi come Mathurin Jacques Brisson, curatore di svariate collezioni museali nella Francia del XVII-XIX secolo, che pensò bene di coniare in modo autonomo dei fantasiosi appellativi in lingua latina per molteplici specie pennute, la maggior parte dei quali sarebbero poi stati sostituiti dalla Commissione Internazionale della Nomenclatura Zoologica in quanto non conformi ad alcuna logica continuativa evidente. Per creature come la Merula Calva Philippensis, che non rientra in senso stretto, come avrete certamente iniziato ad immaginare, nella categoria dei veri e propri merli. Pur essendo in senso lato un “merlo indiano” ovvero membro di quella categoria informale delle mynah o gracule, famose per la propria valida capacità di riprodurre in modo realistico la voce umana. Nonché gli elaborati bargigli che ricoprono le loro teste parzialmente glabre, con disegni che tendono generalmente al giallo dorato. Caso eccezionale tra entrambe le categorie citate risultano essere, d’altronde, entrambi i sessi quasi identici dello scuro coleto, ovvero quello che la scienza è giunto a definire Sarcops calvus, con ulteriore e quanto mai saliente riferimento all’assenza di piume sulla sommità del capo, caratterizzato da un appariscente color chiaro rosato suddiviso in due distinti emisferi, in contrapposizione ad una chiazza di piume bianche sulla sua nuca. Tanto da far sembrare la creatura delle dimensioni di un piccione uno stravagante individuo anziano e dotato di un copricapo di chewing-gum o alternativamente, in procinto di far prendere un po’ d’aria fresca al suo cervello. Benché le palesi evidenze, come è noto, possano trarre facilmente in inganno…
Presenza piuttosto comune nella propria patria endemica delle Isole Filippine, quello che viene chiamato localmente kuling o koleto, da cui il nome comune usato internazionalmente al fine di riferirsi alla singolare ed altresì riconoscibile creatura. Mentre si aggira in gruppi socievoli e nutriti, sebbene mai spettacolari come vere e proprie mormorazioni, appollaiandosi sui rami e producendo una fantastica varietà di trilli, nonché l’imitazione dei versi di rane, altri volatili, sirene o squilli artificiali uditi ai margini delle circostanze urbane. Di ambienti anche densamente popolati, dove l’uccello riesce ad adattarsi piuttosto bene, forse la principale caratteristica capace di accomunarlo al merlo ed allo stormo nostrani oltre all’alimentazione principalmente costituita da semi e frutta. Dove proprio quest’ultima, potenzialmente umida ed appiccicosa nelle qui presenti latitudini, potrebbe costituire da un punto di vista evolutivo la ragione per la sua testa glabra. Creatura naturalmente socievole, che diviene territoriale soltanto nei periodi in cui si trova a difendere il nido, il coleto si trova tuttavia principalmente a suo agio nelle foreste montane dell’entroterra o nei bassopiani dell’arcipelago, lontano da fattori di sfruttamento eccessivo del territorio. Questo perché, come la maggior parte degli altri esponenti della propria famiglia, nidifica preferibilmente nel cavo degli alberi, dipendendo essenzialmente nella stagione riproduttiva da una popolazione pre-esistente di picchi locali, che abbiano lasciato spazi vuoti da occupare per deporre le proprie 2-3 uova di colore azzurrino. Il che non toglie che la convivenza con altre specie possa risultare qualche volta problematica, vista la casistica attestata di intere famiglie di storni calvi cadute vittima di cuculi come il Koel asiatico (Eudynamys scolopaceus) con conseguente annientamento e sostituzione della prole da parte di quella genìa parassita. Non che questo avvenga su scala o con frequenza tale da costituire un rischio per la conservazione della specie.
Dal punto di vista folkloristico, dato il suo aspetto peculiare, il coleto si trova associato ad almeno una leggenda filippina che tenta di giustificare l’origine del suo capo privo di piume. Storia tipica della regione di Barangay, Tabunan, non troppo distante dalla città di Cebu, dove si narra dell’antica disputa tra l’uccello Sal-ing ed il suo rivale Ting-karol, in merito alla questione di chi dei due potesse riuscire a volare più in alto tra le regioni celesti. Prova in seguito alla quale, esagerando, Sal-ing sarebbe volato troppo vicino al sole ritrovandosi la testa bruciata e conseguentemente priva della sua fiera capigliatura. Vi ricorda qualcosa?
Pur non costituendo come dicevamo una creatura a rischio secondo alcun tipo di indice o lista internazionale, il coleto costituisce l’esempio di animali che dipendono per la conservazione da un particolare tipo di ambiente, una situazione climatica ragionevolmente stabile e priva di fattori di pressione irrisolti. Altrettanto problematica, sebbene in misura minore rispetto al caso di altri “merli” indiani, è la sua cattura sistematica per la commercializzazione come animale domestico, in forza dell’aspetto distintivo e la capacità di imitare le voci. Il che renderebbe particolarmente utile la divulgazione ad ampio spettro del carattere distintivo di uccelli simili, accompagnata dall’importanza che essi conservano per la tutela del prezioso patrimonio naturale terrestre. L’aspetto insolito ed iconico, in tal senso, potrebbe anche giungere a costituire un’importante risorsa.