Molti insediamenti grandi o piccoli possiedono un’antica storia relativa alla loro creazione, intrisa di ambizione, prospettive, buone speranze. È perciò abbastanza normale considerare “stregato” o “maledetto” un luogo il cui ricordo più antico e ripetuto è relativo ad un saccheggio e conseguente massacro. Specie quando i fatti relativi paiono integrare un monito rispetto alla mancanza di senso comune, ovvero l’imprudenza di coloro che ritengono, a torto, di essere protetti da un potere superiore. Come quello dell’Altissimo invocato, al principio di quel particolare frangente, dai canonici premostratensi durante il regno di Edoardo Plantageneto, re d’Inghilterra tra il 1272 e il 1307. Ordine fondato in Francia e composto da canonici dalle caratteristiche vesti bianche come l’osso, che aveva fatto della diffusione del Verbo una missione di primaria rilevanza, persino qui, nella remota terra di Nortumbria dove Walter de Bolbec II aveva donato parte dei propri terreni nel 1165, per la fondazione di un monastero. In un luogo che venne chiamato per l’appunto Blanchland (la Terra Bianca) ed il quale sembrò per qualche tempo poter trarre beneficio di un’effettivo stato privilegiato dinnanzi alle sfortune della Storia, o quanto meno una collocazione sufficientemente remota dalle principali strade di collegamento, visto come nonostante il lungo conflitto armato con gli scozzesi, per decenni nessun gruppo armato giunse fino a quelle porte, fermamente intenzionato a rievocare la tragica scorribanda di Lindisfarne. Orbene narra la leggenda che sul finir di quel fatale giorno del XIII secolo, membri di un corpo di esploratori delle armate settentrionali, senza Dio e senza morale, si aggirassero in cerca di bottino sul confine della contea di Durham. La ragione è che essi avevano sentito parlare di un’isolata comunità monacale, nominalmente collegata alla ricca abbazia di Croxton a Leicestershire. Per uno strano scherzo del destino, tuttavia, i premostratensi avevano a loro volta ricevuto voce dell’arrivo dei banditi, ragion per cui avevano pregato con veemenza perché i loro corpi e le loro anime potessero essere risparmiati. Immaginate dunque la sorpresa di ambo le parti, quando all’avvicinarsi del momento della verità, una nebbia densa calò sopra i verdeggianti campi della brughiera, complicando al punto la scorribanda che i capi scozzesi avevano deciso, a malincuore, di ritirarsi. Mentre i monaci esultanti, sicuri di essere stati aiutati dalla Provvidenza, finirono a quel punto per commettere il più imperdonabile dei peccati di questo mondo: l’imprudenza. “Dio è con noi, sia lode al Padre” esclamò qualcuno. Mentre in mezzo ai suoi colleghi, già veniva declamato il canto trionfale del Te Deum. E un altro si era già impegnato, con esecrabile entusiasmo, a tirare ripetutamente la corda della torre campanaria del monastero. Un tipo di celebrazione che potremmo definire, quanto meno, prematura viste le circostanze…
Per i secoli a seguire quella torre sarebbe giaciuta disabitata, in rovina e priva di un tetto che era stato dato presumibilmente alle fiamme. Mentre una croce di pietra situata in una zona periferica del cimitero avrebbe indicato, a quanto ritengono alcuni, il luogo dove furono sepolti i corpi fatti a pezzi del canonici, dopo che la banda di scozzesi aveva sottratto i paramenti sacri ed ogni altro oggetto di valore nel monastero. Non fu d’aiuto poi, nel 1327, il soggiorno prolungato del re Edoardo III ancora alle prese con i suoi nemici settentrionali, non lontano da quello che restava di Blanchland. Così da impoverire e rendere ancor più inabitabile il villaggio, che per svariati secoli a venire rimase parzialmente disabitato. Ma non del tutto, tanto da finire nel 1539 vittima di un altro evento clericalmente nefasto, quello della dissoluzione dei monasteri voluta da Enrico VIII ed eseguita dal suo fedele primo ministro, Thomas Cromwell. Il che non avrebbe impedito nel 1634 a Nathaniel Crew, terzo barone di Crew e vescovo di Durham, di acquistare l’intero terreno e trasformarlo in una residenza patronale, il che avrebbe restituito se non altro uno stato dignitoso alla situazione complessiva delle vecchie rovine adiacenti, sebbene ancora nel XVIII secolo il celebre predicatore metodista John Wesley le avesse definite a malincuore “Poco più di un cumulo di macerie”. Fu a partire da quel periodo che tra i membri della famiglia e i servi che vivevano nella vasta dimora, cominciò a girare la voce che ivi risiedessero dei misteriosi fantasmi. Gli spiriti candidi ed astiosi, forse persino vendicativi di quei monaci caduti vittime della propria stessa superbia, mentre in particolari notti nebbiose, pare si potessero udire i lontani rintocchi di una campana inesistente.
Blanchland tornò poi ad essere importante per gli eventi d’Inghilterra nel corso della ribellione Giacobita del 1715, quella portata innanzi nel nome di Giacomo Francesco Edoardo Stuart, detto il Vecchio Pretendente, per la restaurazione di un monarca di matrice cattolica, e condotta militarmente dal comandante dell’esercito Tom Forster. Il quale nel 1715 essendo stato preso prigioniero dalle forze degli Hannover si trovava in cella a Londra. Quando sua sorella Dorothy in un’avventurosa cavalcata invernale, ed accompagnata da un alleato che faceva il fabbro ad Adderstone, raggiunse il carcere di Newgate e riuscì a demolire le sbarre di una finestra, traendolo in salvo e portandolo con se a Blanchland da sua zia, lady Dorothy Crew. Presso cui con l’intento di far perdere le sue tracce agli inseguitori, si pensò d’inscenare un funerale con una bara piena di segatura, mentre l’evaso veniva fatto fuggire in Francia. Piano perfettamente riuscito, se non che lo spirito di Dorothy Forster, in base agli aneddoti del posto, ancora si aggirerebbe tra le sale della dimora dei Crew, oggi facente funzione di un albergo, nell’attesa ormai impossibile del ritorno di suo fratello.
Altri spiriti si aggirerebbero tra le strade e i dintorni di Blanchland. Strane processioni notturne, la figura di un monaco bianco sul ponte che attraversa il fiume Derwent, ombre minacciose che si stagliano contro la luce nei boschi. Tanto da far includere il villaggio più volte negli stimati elenchi dei “Luoghi più stregati d’Inghilterra” un passaporto, come è noto, verso il reame delle mete turistiche di più significativo rilievo. Posizione ulteriormente legittimata dall’autenticità dei luoghi restaurati ed il carattere spiccatamente medievale del borgo, ripetutamente utilizzato come sfondo per film e serie televisive dedicate alle vicende pregresse dell’isola di Stonehenge. Dove fin dalla Preistoria grandi eroi si ersero, ed i potenti si fecero la guerra nella speranza che venisse ricordato il loro nome. E l’apparente, pressoché totale disinteresse nei confronti del fato ultimo degli umili, comunque destinati a farlo. Sarebbe bello poter dire che oggi, grazie alla moderna invenzione dei diritti umani, le priorità sono cambiate. Invece di trovarci a guardare verso i trascurabili massacri di un tempo con uno strano, obliquo senso di malinconia.