C’è sempre un momento, nella vita di un progettista aeronautico, in cui la linea ideale della spinta innovatrice e quella garantita dalla conoscenza dei modelli sembrano convergere in un punto estremo, eccezionalmente distante dalle convenzioni coéve. Spesse volte, questo accade in un momento prossimo alla fine della carriera, quando ormai i membri delle successive generazioni sono subentrati nella posizione di preminenza un tempo occupata dai loro maestri. Ma particolari circostanze, situazioni contingenti o necessità percepite possono contribuire ad accelerare il tragitto delle persone. Nel 1948, il rinomato costruttore di aeroplani Sergey Ilyushin era una di queste persone. Ero del Lavoro, detentore di svariate medaglie d’onore nonché due volte vincitore del premio Stalin, in modo particolare per aver creato tra le altre cose l’eccezionalmente utile aereo d’attacco al suolo Il-2 Sturmovik dal grande carico esplosivo e le molte bocche da fuoco, che lo stesso leader sovietico aveva chiamato “Essenziale per gli sforzi dell’Armata Rossa, quanto lo sono il pane, l’aria o l’acqua.” E chiamato sul finire della Grande Guerra Patriottica a creare un’iterazione alternativa della stessa idea: il più leggero ed agile Il-1/Il-2l, una versione più leggera e meno armata di quello che sarebbe stato soprannominato il carro armato volante, idealmente utile ad intercettare le formazioni di bombardieri nemici. Mansione nella quale si rivelò essere, in ultima analisi, meno efficiente dell’allestimento di partenza, e che avrebbe visto in seguito deviare l’attenzione del bureau di Ilyushin verso il progetto Il-10, una versione più veloce, maneggevole nonché resistente di quel grande classico dei giorni del conflitto europeo. Su decreto governativo dell’11 marzo 1947, tuttavia, venne determinato che fosse possibile andare oltre, costruire un qualcosa di persino superiore su questi tre punti che costituivano la filosofia progettuale di una classe di velivoli considerati nulla meno che fondamentali nella dottrina militare del tempo. Il risultato sarebbe stato, sotto l’occhio incredulo di molti, l’Il-20 soprannominato Gorbach (il Gobbo). Ecco un volto, per usare un tipico modo di dire, che soltanto il proprio padre costruttore avrebbe potuto amare, concepito in senso meramente utilitaristico e la piena consapevolezza che non sempre il senso comune potesse custodire l’effettiva soluzione dei problemi pratici latenti. Questioni come quella data per scontata fino a quel momento, secondo cui giammai un pilota posto nella posizione tipica avrebbe potuto avere una visibilità ideale per poter vedere ed identificare i bersagli nemici prima d’iniziare il fatidico momento della picchiata finale…
Ecco ciò di cui stiamo, in parole povere, discutendo: l’esempio di una creazione tecnologica alternativa, in cui un singolo aspetto domina l’intero schema di elementi per sua stessa natura, capace d’influenzare ogni singolo altro aspetto del design di fondo. Poiché estendere l’arco visuale della cabina di pilotaggio, impiegando un parabrezza dalla disposizione verticale che fosse perpendicolare al perno centrale dell’elica, significava necessariamente rialzare il sedile del posto di guida in avanti, fino a porlo in posizione direttamente soprastante al blocco motore dello strano apparecchio volante. Quando poi quest’ultimo, per le ulteriori esigenze delineate a priori, era un potente ed ingombrante MF-45Sh da 3.000 cavalli con immenso serbatoio nella parte posteriore, è chiaro che la linea aerodinamica e l’effettivo aspetto del progetto finivano per esserne influenzati in modo straordinariamente significativo. Così che questa carlinga dalla chiara preminenza gibbosa, in qualche modo simile all’antiquato Blackburn R-1 Blackburn britannico degli anni ’20, trovava in questo caso una continuazione fino alla torretta posteriore, con cannone automatico Sh-23 da 23 mm da usare al fine di scoraggiare gli inevitabili assalti dei caccia nemici. Sul fronte offensivo, nel frattempo, il Gorbach era un vero e proprio mostro capace di portare fino a 1.190 Kg di bombe in quattro alloggiamenti interni oppure due bombe da 500 Kg ciascuna sulle ali, più quattro razzi RS-132. A completare il corredo, gli immancabili 4 cannoni da 23 mm (stesso modello) che tanto devastanti si erano rivelati contro la corazza dei mezzi di trasporto e carri armati leggeri usati dalla Wermacht durante il proprio sfortunato tentativo di portare a termine la campagna d’Oriente. Particolarmente innovativa, a tal proposito, l’idea di posizionare le canne di queste armi inclinate di 23 gradi, affinché il pilota potesse effettuare dei voli radenti sfruttando la sua visibilità migliorata, con effetti presumibilmente devastanti a carico di eventuali colonne nemiche. Una premessa, quest’ultima, destinata a rivelarsi meno risolutiva del previsto, vista la maniera in cui fu presto dimostrato eccessivamente difficile riuscire a prendere la mira, convincendo gli ingegneri a rimetterle nella posizione convenzionale.
Senza particolari indugi né l’esigenza di dover rendere conto ai propri committenti, Ilyushin giunse dunque ad un prototipo pienamente funzionante entro la fine del 1948, che venne messo alla prova grazie al contributo del celebre pilota sperimentale ed eroe di guerra Vladimir Kokkinaki. Tuttavia i dati raccolti, nonostante l’entusiasmo del progettista, si rivelarono ben presto deludenti, visto come a causa delle dimensioni maggiori e la corazzatura dal peso di oltre 1840 Kg per un totale di 7 tonnellate e mezzo, nonché le caratteristiche aerodinamiche non propriamente eccelse (a dir poco) l’aereo si rivelò incapace di superare i 515 Km/h a 2800 metri di altitudine, contro i 551 raggiungibili dal più convenzionale Il-10. Inoltre, venne constatata una significativa perdita di velocità mentre faceva fuoco, con conseguente rischio di stallo ed una vibrazione eccessiva dell’abitacolo a causa della propria particolare configurazione. Ultima questione, non per importanza: la vicinanza dell’elica al sedile di controllo l’avrebbe potuta rendere un pericolo letale nel corso di atterraggi d’emergenza o durante il lancio col paracadute. Tutti aspetti che avrebbero potuto essere risolti, molto probabilmente, nel processo di certificazione conseguente ai test di stato, se non che il governo decise di deviare i fondi altrove, causa i fondamentali sviluppi tecnologici dell’aviazione del tempo.
Subito dopo il concludersi della seconda guerra mondiale, in effetti, le diverse nazioni del mondo stavano iniziando a comprendere l’importanza rivoluzionaria dei motori a reazione. E la maniera in cui da quel momento, le regole della guerra aerea stavano subendo una fondamentale modifica nei fattori di maggiore importanza. Non più corazzatura, bensì velocità. Non più maneggevolezza e conseguente instabilità, ma precisione in fase di avvicinamento. Mentre la possibilità di raggiungere la base e rifornirsi in tempi notevolmente inferiori poneva in secondo piano l’importanza dei vecchi aerei dedicati al compito specifico dell’attacco al suolo.
Ciò che il Gobbo avrebbe potuto rappresentare, in un’ucronia alternativa in cui i carri armati avrebbero continuato a popolare i cieli della Russia è potenzialmente immaginabile nell’idea di un pezzo d’artiglieria volante. Magari armato con cannone di grosso calibro, orientabile in diverse direzioni mentre il pilota si allineava per il colpo finale a discapito delle inconsapevoli truppe di terra. Un approccio stranamente elegante, nella sua estrema pericolosità per ogni parte coinvolta. Soprattutto rispetto ai bombardamenti a tappeto con bombe a grappolo, sostanzialmente incapaci di distinguere tra bersagli più o meno legittimi. E la tristemente sacrificabile popolazione civile dei nostri giorni.