Nasce, nutre, vive ancora: l’eterna zuppa che occupa una pentola per più generazioni

Poco oltre le porte di Brest, città costiera nella Bretagna di Enrico IV re di Francia, un’accogliente istituzione era solita mostrare l’uscio spalancato fino a tarda sera sotto l’insegna di un pentolone. Nei pressi del tenue lucore, per chiunque fosse incline a prestare orecchio, i suoni conviviali di persone intente a raccontarsi le proprie giornate, il tintinnio dei boccali di birra adagiati con variabile attenzione sul bancone di frassino antico. E l’occasionale viaggiatore, proveniente dal porto o l’entroterra, stanco ed affamato ma egualmente certo di non essere lasciato a digiuno. Giacché La Marmite Perpétuelle, un nome di taverna non troppo raro in quel contesto culturale e cronologico, sapeva bene come fare onore al proprio appellativo, mantenendo un fuoco sempre acceso al pari del tempio delle vestali nell’Antica Roma. E sopra di esso, il piatto indiscutibilmente più utile ed amato per i membri delle classi meno abbienti fin dai tempi di Eridu: la versatile, sempre pronta zuppa costruita con ingredienti variabili, capaci di convergere nella creazione del sapore sublime. Allorché racconta una leggenda, con versioni alternative sia in Europa che l’Estremo Oriente, di come in certi luoghi l’acqua cotta e il proprio contenuto non venissero mai totalmente sostituiti. Salvo rari casi, e andando ad aggiungere giorno per giorno tutto quello che poteva capitare sotto mano al cuoco: verdura, pane, cereali, carne di ogni animale immaginabile e non sempre o necessariamente identificato… Per un tempo che poteva essere misurato in settimane o mesi, piuttosto che giorni e nei casi maggiormente significativi, semplicemente non giungeva ad un coronamento dell’ultima ora. Ma proseguiva oltre iterazioni successive del ciclo delle quattro stagioni, ancora e ancora. Venendo tramandato ai figli e figlie assieme all’atto di proprietà dell’edificio che soleva racchiuderlo tra le quattro calorose, profumate mura.
È questo il tema della zuppa perpetua e tutto ciò che ne deriva, un sistema di cucina iterativo in cui la consumazione di un pasto non corrispondeva più ad uno specifico momento o ora del giorno. Ma soleva prolungarsi in modo esponenziale, con un manierismo non dissimile da chi lavora con il lievito madre, i batteri dell’aceto o altre colonie di microrganismi incaricate di dar seguito al magico processo di fermentazione. Capovolgendo essenzialmente l’obiettivo finale, visto come scientificamente parlando, al di sopra dei 55 gradi nessun abitatore del mondo microscopico possa riuscire a sopravvivere, prevenendo in questo modo alterazioni più o meno pericolose dei singoli componenti della gestalt gastronomica suprema. E quel sapore…

Estendendo il discorso in senso pratico anche alla tradizione cinese, ed in modo particolare alle cucine di Canton e Fujian, diventa quindi possibile trovare un approccio simile nel sistema tradizionale del lou mei / 滷水 un tipo di “brodo madre” (in lingua inglese direbbero master stock) ricavato da carni di seconda scelta, frattaglie e glutine di grano. La cui caratteristica primaria è costituita dal possesso di un retrogusto particolare, frutto dei molti giorni e notti trascorse sopra il fuoco, mentre gli addetti continuavano ad aggiungere ingredienti. È altresì possibile, in tal senso, che sia la pot-au-feu francese che la sua versione asiatica facessero primariamente affidamento sulla legge della probabilità statistica, che garantiva il ripescaggio di determinati ingredienti critici entro un periodo raramente superiore ad una o due settimane. Benché iterazioni più moderne dello stesso approccio gastronomico ci permettano di comprendere un passaggio normalmente tralasciato dai narratori. Tra le più famose istituzioni contemporanee che offrono la zuppa perpetua nel proprio menù, figura a tal proposito il ristorante Wattana Panich, nell’omonimo quartiere di Bangkok, Tailandia, il cui gestore opera da 50 anni vantando orgogliosamente di poter disporre di una sua personale versione del celebre lou mei, mantenuto in vita per un tempo altrettanto lungo. Il che è reso possibile, persino plausibile ancorché difficile da confermare, grazie al passaggio quotidiano che consiste nell’ora dopo la chiusura a tarda sera nel rimuovere una parte del contenuto dell’immenso calderone, spostandolo sopra un fuoco più piccolo, per procedere quindi a pulire accuratamente il recipiente principale e riempirlo nuovamente la mattina successiva. Il che significa che come nel paradosso della nave di Teseo, nessun singolo componente della zuppa ha una storia di mezzo secolo; ma il suo sapore, in un certo senso, si. A far fede a tale affermazione, la scelta oggettivamente un po’ ansiogena di lasciare attorno alla postazione culinaria principale un letterale anello di “brodo indurito”, strati sovrapposti delle accidentali fuoriuscite che gli uomini e le donne di quella famiglia si sono lasciati sfuggire ad ogni successivo travaso.
Altre iterazioni contemporanee della stessa pratica furono famosamente individuate nel periodo antecedente all’inizio del presente millennio.
Lo scrittore illuminista Louis-Sébastien Mercier, nel 1783, scrisse di un luogo di ristoro parigino, chiamato per l’appunto la Marmite Perpétuelle, dove quantità notevoli di polli, capponi ed altri volatili venivano immersi nel brodo ad elevata temperatura “lasciando comunicare” il proprio sapore verso un risultato finale giudicato impareggiabile dai gourmand del tempo. In un articolo spesso citato del New York Times, scritto dal reporter Arthur Prager nel 1981, si parlava invece di un misterioso ristorante nella parte occidentale d’Occitania, a Perpignan, dove una zuppa eterna era stata a quanto pare mantenuta in vita fin dal XV secolo. Almeno finché i bombardamenti della Luftwaffe tedesca, all’apice della seconda guerra mondiale, avrebbero posto fine alla celebrata ed insostituibile tradizione locale. Difficile giudicare, a distanza dei giorni trascorsi, quanto realistiche potessero essere questo tipo di affermazioni.

Un grande successo ebbe nell’estate del 2023 l’iniziativa della Tiktoker e influencer di Brooklyn Annie Rauwerda, che invitò con successo migliaia di persone ogni giorno a contribuire ed assaggiare la sua zuppa “vecchia” di settimane presso un parco newyorchese.

Il problema pratico di mantenere un fuoco sempre acceso all’interno di una moderna abitazione ha in effetti portato i seguaci contemporanei di questo particolare insegnamento a fare un uso occasionale delle pentole a cottura lenta e il frigorifero, come sistemi alternativi per tenere lontani i germi. Entrambe tecnologie completamente inaccessibili nei tempi pre-moderni. E considerate a tal proposito le difficoltà inerenti, nonché il dispendio che sarebbe stato necessario in epoca medievale, al fine di mantenere un fuoco ininterrottamente acceso per un periodo di mesi ed anni. Laddove in molte grandi città era espressamente vietato farlo nelle ore notturne, a causa del rischio sempre presente dello svilupparsi d’eventuali incendi. E che cosa sarebbe poi successo alla zuppa immortale, nel periodo della quaresima o altre ricorrenze religiose durante cui la carne non poteva essere consumata?
Come l’unicorno, il grifone ed altre bestie ibride contenute nei bestiari illustrati, la zuppa perpetua continua dunque ad apparire oltre la foschia di mere ipotesi ed approcci cognitivi collaterali al flusso accreditato della Storia. Il che non sottintende che la moderna tecnologia e la scienza debbano rinunciare a perseguire in modo funzionale questa categoria di obiettivi latenti. A patto che ci venga in mente di dare le stesse risposte, alle desuete e forse non più tanto opportune categorie di quesiti.

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