La variopinta parabola pacifista del Mig coperto di perline sudafricane

Un silenzio quasi reverenziale calò nel capannone di Johannesburg, temporaneamente adibito ad hangar pur trovandosi distante da qualsiasi pista di manovra, decollo o atterraggio. Le due dozzine di persone venute a vedere il frutto di tanto lavoro e dedizione da parte dei loro parenti ed amici artigiani guardavano con senso d’aspettativa l’artista di fama internazionale, ritornato temporaneamente in patria dalla propria residenza londinese. Erano le prove generali, d’altronde, di un punto di svolta topico nella comunicazione a sfondo pacifista veicolata tramite uno stile comunicativo prettamente rappresentativo del più antico dei continenti: l’Africa. E poco importava, in quel contesto, che a idearlo fosse stato un individuo di etnia caucasica, quello stesso Ralph Ziman che potreste già conoscere per il premiato film Jerusalema (2008) ambientato tra i capi criminali che gestirono per lunghe decadi le proprietà immobiliari del quartiere di Hillbrow, in quella stessa vasta città, terza più grande del paese. Un uomo nato nel 1963 e che pur avendo vissuto l’apartheid dalla parte favorita, né restò segnato al punto da decidere di trasferirsi altrove, essendosi necessariamente arreso alle ingiustizie di un sistema che non voleva riconoscere né consentire l’eguaglianza tra i popoli nativi e i detentori degli ingiusti privilegi. Regista, fotografo, comunicatore e adesso…
Le luci si accendono all’unisono, il suono indistinto della collettività che prende fiato. Un telo viene tolto dall’oggetto voluminoso che si rivela essere, colmando le aspettative dei presenti, un vero e proprio jet da guerra supersonico Mikoyan-Gurevich MiG-21. 14,77 metri di lunghezza per 7,16 di apertura alare, ma completamente ricoperto di quelle che in molti dubiterebbero in prima battuta essere (non conoscendo i precedenti) delle sfavillanti perline, dalla contrastante disposizione geometrica verde, rossa, gialla, blu ed arancione… Proprio come il jingosha e gli altri ornamenti dei capi delle tribù dei Thembu, successivamente al XVI secolo adottato grazie alle importazioni come uno status symbol da una significativa parte dei popoli della parte meridionale del continente. Ma qui trasferito a dimensioni largamente più impressionanti, mantenendo le soddisfacenti fantasie di rombi, linee diagonali e rettangoli, perfettamente incorporati nelle linee dell’aereo da combattimento. Che già molti anni prima di quel fatidico momento, aveva smesso di sparare per sempre. Ed oramai non l’avrebbe più fatto. Se soltanto si potesse dire lo stesso degli altri 11.495 assemblati lungo l’intero periodo della guerra fredda…

Ha uno stile comunicativo chiaro e diretto, Ralph Ziman con i suoi progetti multi-disciplinari portati a compimento grazie all’aiuto di esperte maestranze reclutate sul territorio. Diventato un punto fermo a partire dall’inizio degli anni 2010, quando in parallelo alla lunga collaborazione con l’organizzazione anti-bellica War Resisters International, l’artista diede inizio alla campagna di sensibilizzazione sul problema dei trafficanti d’armi, mediante realizzazione di una serie di fucili AK-47 già completamente ricoperti di perline colorate, con disegni sia tradizionali che immediatamente riconoscibili, poiché ricorrenti nella grande corrente contemporanea della Pop Art globalizzata. Opere d’arte che veicolando il sentimento che conduce ad astenersi dall’impiego della violenza, avevano il merito ulteriore di togliere fisicamente dei fucili dalle strade, in uno dei paesi con il maggior numero di crimini compiuti a mano armata. Il che ci porta tematicamente al primo esempio di creazione monumentale di Ziman, il notevole progetto Casspir del 2016, dal nome del veicolo corazzato militare utilizzato estensivamente anche in contesti urbani dalle forze dell’ordine durante il periodo dell’apartheid. Giungendo a diventare, nel corso degli anni, un simbolo d’oppressione ingiusta e crudele, come l’autore visse in prima persona durante le proteste a cui aveva preso parte prima di trasferirsi in Inghilterra. Finché vedendolo di nuovo in azione nel contesto delle guerre mediorientali dei tardi anni ’90, per cui gli Stati Uniti ne avevano acquistato e utilizzato alcuni esemplari, e di nuovo contro i manifestanti durante le proteste del movimento americano Black Lives Matter, diventò per lui necessario rendere del tutto manifesto il sentimento di sdegno ed alienazione con cui molti, di sicuro, si sarebbero trovati ad identificarsi. Il risultato: un prototipo sgargiante, la meravigliosa rappresentazione, impegnativa almeno quanto l’attuale Mig-21, di una versione africanizzata dell’idea di forza e giustizia, attraverso la potenza comunicativa dell’arte. Così tappezzato di perline, grazie alla collaborazione tra gli altri dello stesso collettivo femminile Annointed Hands, originario della tribù Ndebele e guidato da Thenjiwe Pretty Chinedo, già coinvolto per i fucili che avrebbe in seguito contribuito alla creazione dello strepitoso aeroplano. Verso la creazione di un oggetto fisico e imponente, per di più in quel caso anche capace di muoversi in autonomia per le strade cittadine, che costituiva meramente l’inizio dell’intera impresa comunicativa. Fotografo nelle proprie origini professionali, Ziman è infatti sempre stato incline ad accompagnare le sue opere e sculture con una serie di scenari atti a ritrarle per così dire “in azione”, spesso coinvolgendo persone reclutate in strada ed abbigliate con costumi suggestivi carichi di significati nascosti. Così come gli inquietanti gangster e trafficanti d’armi della serie Ghosts (2014) ritratti in situazioni a metà tra il romanzo criminale e il videoclip hollywoodiano, o ancora i fantastici, speculativi piloti/guerrieri afrofuturisti accoppiati all’ultima creazione alata, con caschi piumati, panoplie tradizionali ed occhiali da sole dalla montatura arcobaleno.

Armi e guerra trasformate come sfondo, dunque, per un messaggio in merito alla loro eliminazione in quanto tali, che serve sempre, ma è tornato in modo tragico alla ribalta in questi ultimi drammatici anni di cronache internazionali. Non a caso l’artista sceglie, per la sua ultima creazione, un mezzo sovietico e non del tutto desueto, che in molti immaginiamo stia in questo preciso attimo continuando a veicolare il proprio carico di morte nel contesto dell’interminabile conflitto ucraino. Così come aveva fatto ricoprire di perline gli scheletri di gorilla, leoni, bufali ed antilopi (Bones – 2016) successivamente alla pubblicazione in tutto il mondo delle foto dei figli di Donald Trump che avevano partecipato ad un safari in Africa mettendosi successivamente in posa con diversi animali abbattuti, incluso un elefante.
Poiché non è forse un’aberrazione di giorni fin troppo oggettivisti, per quanto paradossalmente utile a raccogliere dei fondi per la conservazione di quegli stessi animali, che un ricco abitante del Nord del mondo possa giungere nelle nazioni in via di sviluppo, imponendo la propria legge l’inflessibile sistema dei valori che tendono a derivarne? In che modo questo porta beneficio, in ultima analisi, al valore netto del pianeta Terra? Ammesso e non concesso che una coscienza collettiva del “bene”, visto come fondamento della civilizzazione contemporanea, ancora esista. Sotto lo schema caotico di una pletora di bandiere e gagliardetti dalle impostazioni politiche contrastanti. Che tuttavia sembrano condurre, ciascuno a modo loro, agli stessi tragici risultati, che ormai permeano lo stato doloroso e la deriva inarrestabile dei tempi odierni.

N.B: L’esposizione del Mig-21 di Ziman è prevista a partire dal 21 giugno 2025 presso il Museo dell’Aviazione di Seattle, accompagnato dalla mostra fotografica, dai pannelli di perline decorative ed auspicabilmente parte dei costumi utilizzati per le immagini collegate al progetto.

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