È certamente un bene che nella riserva naturale del passo di Arthur delle Alpi Meridionali, in Nuova Zelanda, e nelle isole densamente coperte di vegetazione di Maud, Chalky and Tuhua, i tronchi degli alberi abbiano ricominciato a produrre un cinguettante rumore. Grazie alla capacità istintiva di una pennuta creatura d’individuare i buchi sufficientemente grandi della corteccia, ampliarli col suo forte becco, renderli accoglienti ed all’interno delle risultanti cavità, deporre le proprie uova. Poiché stiamo parlando, in tale contingenza, di niente meno che il Cyanoramphus malherbi alias parrocchetto dalla fronte arancione (in lingua Maori: kākāriki karaka) un abitante di questi luoghi diventato nel corso degli ultimi decenni una vista veramente rara. Quando a partire dagli anni ’90, si stima che ne rimanessero in vita non più di 200 esemplari allo stato brado. E questo non tanto per la mano diretta dell’uomo, trattandosi di uccelli esteticamente apprezzabili e incapaci di causare problemi all’agricoltura, quanto a causa dell’introduzione in Oceania dei pericolosi predatori europei, tra cui mammiferi come gatti, mustelidi, ratti e soprattutto il tricosuro volpino, marsupiale notturno proveniente dalla vicina Australia. Tutti animali predisposti ad arrampicarsi sopra quegli stessi arbusti, raggiungendo facilmente le dimore dei piccoli pappagalli, provvedendo quindi a divorarne la generazione successiva. Un destino che è toccato a dire il vero a molti simili di questo stesso genere, mentre tutt’ora condiziona la prosperità delle specie più comuni. Ma è stato cionondimeno particolarmente sfortunato il destino del karaka, lungamente considerato una mera variazione o sottospecie del parrocchetto dalla fronte gialla C. auriceps, fino alle analisi condotte tramite l’impiego della genetica molecolare all’inizio degli anni 2000. Il che non ha certo aiutato lo sforzo per la conservazione endemica, ritardandone l’inserimento nella lista rossa degli animali a rischio dello IUCN al recente 2018, anche in forza dell’assenza di dati precisi sull’effettiva diffusione territoriale di questa creatura. Fatto riprodurre facilmente negli zoo, il grazioso ma in apparenza mondano volatile non sembrava in effetti possedere particolari margini di vulnerabilità dal punto di vista ambientale, rispetto alle specie cognate capace di diffondersi in tutta la Nuova Zelanda e l’Australia, di cui quattro già scomparse causa lo stesso tipo di fraintendimento per la tendenza alla generalizzazione. Il che non fa altro che dimostrare il modo in cui la resistenza all’estinzione possa profilarsi spesso come la diretta risultanza di una serie di fattori, non ultimo la mera buona sorte nel trovarsi al centro di fattori o mutamenti ecologici, tanto transitori quanto impossibili da confutare nei propri effetti deleteri a breve, medio e lungo termine…
Dal punto di vista comportamentale, stiamo dunque parlando di un abitatore diurno della canopia con occasionale discesa al livello del terreno, in foreste montane fino a qualche migliaia di metri di altitudine, incline a nutrirsi di semi, fiori, frutta, boccioli e piccoli invertebrati. La cui preferenza è per le aree coperte di fitta vegetazione in mezzo a cui è solito mimetizzarsi, con un grado di successo generalmente non trascurabile. Il che non riesce ad ogni modo a prevenire un qualsivoglia tipo di problemi, data la facilità con cui i sopracitati predatori scovano le loro dimore, possibilmente popolate in tutti i mesi dell’anno da fino a 7 piccoli, con un periodo necessario alla capacità di spiccare il volo mai inferiore ai 43-71 giorni. Ed ulteriori due tre settimane prima di essere davvero indipendenti, stabilendo un orizzonte temporale medio-lungo che inevitabilmente massimizza il rischio di predazione. La risultante frammentazione delle popolazioni, anche a causa dell’impiego del territorio a beneficio della civiltà moderna, ha provveduto a fare il resto, incrementando il rischio di consanguineità e perciò indebolimento di intere generazioni della specie. Il che avrebbe portato, nel corso dell’ultimo decennio, all’istituzione di diversi programmi di conservazione fondamentalmente basati sulla stessa pragmatica dottrina: allevamento in cattività dei parrocchetti, con conseguente rilascio in zone giudicate rigorosamente prive di predatori. Non senza premurarsi, durante il lungo periodo d’osservazione conseguente, d’installare il tipo di anello metallico, impervio alle unghie degli scalatori, che costituisce il più sicuro implemento difensivo a beneficio degli alati abitatori arboricoli insediati negli spazi soprastanti. Niente meno che fondamentale, dal punto di vista normativo, anche l’estensione a questa specie del Wild Life Act del 1953, in grado di sancirne lo status di assoluta protezione dalla caccia, cattura o qualsivoglia altro tipo di azione molesta.
Il rilascio sistematico e reiterato di piccole quantità di questi pappagalli, nelle zone nominate in apertura e grazie a iniziative sia pubbliche che private non ha dunque tardato nel sortire i suoi effetti, data la rapida capacità del volatile di riprodursi in presenza di fonti di cibo sufficienti, senza particolari limitazioni imposte dal ciclo stagionale o il periodo dell’anno.
Destinato a far discutere sarebbe stato, dunque, il mancato coronamento della specie come uccello dell’anno neozelandese del 2023, un titolo concesso invece all’oggettivamente affascinante svasso crestato australasiatico (Podiceps c.) come anche menzionato in precedenza sulle pagine virtuali di questo blog. Ma le prospettive, per quest’anno, appaiono se vogliamo ancor più rosee soprattutto in vista delle recenti valutazioni effettuate, che dimostrano l’appartenenza del nostro verde amico al gruppo fortunato di animali che, in modo misurabile, hanno potuto beneficiare degli sforzi di conservazione condotti dai loro coabitanti umani. Ingombranti bipedi e vicini di casa non propriamente invidiabili, ma che in determinate condizioni mantengono ancora la capacità di fare del bene. A patto che fattori di contesto, condizionati da evidenti possibilità di profitto, non si frappongano dinnanzi all’opportunità di essere lasciato in pace di un piccolo uccello dalla fronte arancione.