Era stata una fortuna che il clima si trovasse in una fase tranquilla, durante l’avvicinamento del brigantino Dei Gratia allo strano vascello non così diverso avvistato a largo delle Azzorre, in quel fatidico 4 dicembre del 1872. Il capitano Morehouse, osservando lungamente il ponte con il suo cannocchiale, si era presto fatto un’impressione, in merito alla strana convergenza di fattori privi di una logica evidente. Perché la simile Mary Celeste, unica identificazione possibile in funzione di tempo, bandiera, aspetto e luogo, si trovava in quel punto piuttosto che a metà strada per lo stretto di Gibilterra, verso la sua destinazione che il suo primo ufficiale gli aveva ricordato essere il porto italiano di Genova? Per quale ragione l’equipaggio aveva ammainato a metà le vele, in assenza di venti pericolosi, nell’apparente attesa del verificarsi di particolari… Fattori esterni? Ma soprattutto, dove diamine erano tutti, vista l’assoluta e evidente desertificazione di quel ponte surreale? Una volta sceso nella iolla, lancia d’ordinanza nelle navi canadesi utilizzabile anche in situazioni d’emergenza, ed avvicinandosi allo scafo assieme a quattro marinai, notò quindi come la scialuppa del possibile relitto fosse inspiegabilmente assente dall’aggancio in corrispondenza della murata. Lanciata la fune con l’utile rampino, aspettò quindi mentre il giovane mozzo saliva a bordo, per assicurare un punto d’accesso di più facile utilizzo. Una volta salito a bordo, le sue scoperte lo avrebbero lasciato del tutto senza parole…
Otto uomini e due donne partono ad ottobre dal molo 50 di New York, con le migliore prospettive e aspettative per il futuro. Non persone qualsiasi, per la maggior parte, bensì veterani della vita di mare, guidati da un capitano esperto impiegato da un consorzio commerciale che in quel caso fatidico, aveva addirittura pensato di portare con se moglie e figlia, affinché potessero sperimentare finalmente le molte meraviglie e il fascino della distante Europa. A giustificare il viaggio, un carico non propriamente semplice da gestire, ma di un tipo non del tutto inaudito: 1.701 barili d’alcol puro, destinato ad aumentare la gradazione del vino italiano (una pratica imprudente che, purtroppo, all’epoca veniva giudicata del tutto normale). Il nome del comandante: Benjamin Spooner Briggs, un cristiano osservante che credeva, paradossalmente, nell’astinenza dall’assumere qualsiasi tipo di bevanda inebriante. Ma anche un uomo affidabile, capace, noto per la sua magnanimità nel risolvere le problematiche nate dalla gestione degli equipaggi. Nulla d’insolito campeggiava all’orizzonte e non c’era ragione, a tal proposito, d’immaginare incidenti prima dell’approdo a destinazione…
Ed è con questa premessa, ed un certo surreale senso d’inquietudine, che i membri della nave scopritrice Dei Gratia appresero l’incredibile fato della Mary Celeste: un brigantino in apparente stato di abbandono da circa una settimana, con le vele in disordine e un po’ d’acqua nella stiva. Ma del tutto privo di danni ed in perfette condizioni di galleggiamento. Senza. Una sola. Persona. A bordo. L’analisi del diario trovato nella cabina di comando, d’altra parte, non offrì alcuna chiara spiegazione, con l’ultimo aggiornamento scritto ormai da un tempo troppo lungo. Il cargo, ad una prima analisi, sembrava del tutto intatto.
Le scelte in senso pratico, a quel punto, furono evidenti. Era una chiara responsabilità, nonché convenienza personale, di un uomo di mare come il capitano effettuare il recupero di un tale scafo in condizioni operative soddisfacenti. Allorché Morehouse divise la propria dozzina di uomini tra le due navi, con la ferma intenzione di portare la Mary Celeste fino allo stretto di Gibilterra. Un’operazione che si rivelò ragionevolmente facile da portare a compimento, fatta eccezione per la fase finale del duplice approdo con uomini ridotti. Le conseguenze di quel gesto, tuttavia, furono da subito meno che entusiasmanti. Nessuna tra le persone coinvolte e con esperienze pregresse in materia tra le autorità portuali, in effetti, sembrava in grado di trovare una spiegazione logica. Il che, per la regola del rasoio di Occam, lasciava come causa probabile della scomparsa soltanto il verificarsi di qualcosa di terribile, pericoloso o illegale. L’avvocato che costituiva la pubblica accusa di Gibilterra, Frederick Solly-Flood, si convinse in modo particolare fin da subito che la “scomparsa” dell’equipaggio della Celeste, e della famiglia del capitano Briggs, fosse un tentativo di frode assicurativa, possibilmente organizzato con la complicità del proprietario della compagnia, l’americano James H. Winchester. All’avvio delle opportune indagini, poi, fece annotare alcuni presunti segni di scontri, tra cui colpi di spada ed ascia sul fasciame, che gli fecero sospettare l’equipaggio della nave Dei Gratia, come possibili esecutori di un massacro per il semplice guadagno personale. Ma la sua spietata teoria non trovò mai, fortunatamente, dei sostenitori nel sistema legale dell’Ammiragliato, allorché Morehouse venne in ultima analisi commendato ed almeno in parte compensato per il recupero, sebbene in quantità minore di quanto fosse stato lecito aspettarsi viste le circostanze.
Nel frattempo i giornali ed i curiosi dell’epoca, fin da subito, diedero inizio a una selvaggia serie di speculazioni che per molti versi continuano ancora adesso. Che cosa aveva fatto scomparire, senza apparente traccia, ogni singola persona a bordo della Celeste? Il carico del tutto intatto assieme agli averi ed i preziosi dell’equipaggio, fatta eccezione per 9 dei barili rimasti apparentemente vuoti forse a causa di perdite e gli effetti personali trasportati nella scialuppa mai trovata, lasciava facilmente escludere l’attacco di eventuali pirati. E l’assenza di danni alla nave, compresi quelli causati da secche o incendi, impediva di considerare il verificarsi di condizioni di pericolo imminenti. Almeno che…
I tentativi di venire a capo della situazione si estesero attraverso le generazioni, giungendo ancora insoddisfatti fino ai giorni nostri. Giacché gli estimatori di alieni, mostri marini ed improbabili territori sottomarini causati da antichi Dei sopìti costituiscono da sempre la rumorosa minoranza di Internet. Mentre già attraverso lo scorso secolo, molte erano state le creative elucubrazioni sull’argomento, incluso il racconto di Sir Arthur Conan Doyle, J. Habakuk Jephson’s Statement (1884) in cui l’uccisione dell’equipaggio era stata perpetrata da un fanatico nemico della cosiddetta “razza bianca”. Mentre nel film del 1935 con Bela Lugosi, l’omicidio sistematico veniva commesso a scopo di vendetta, con furbizia e crudeltà da una vecchia conoscenza del capitano.
L’immaginazione dell’uomo è uno strumento potente, abbastanza da poter causare, talvolta, dei disastri privi di precedenti. Così nacque gradualmente e fu coltivata in parallelo l’idea, facilmente immaginabile grazie alla consapevolezza odierna, che pur non essendoci stato un fuoco a bordo del solido brigantino canadese, esso fosse stato percepito, erroneamente, dalle pur esperte persone a bordo. Chiunque abbia esperienza in materia infatti, ben conosce la maniera in cui l’alcol puro presente nella stiva avrebbe bruciato, senza la benché minima fiamma visibile o emissioni di fumo evidente. E durante il trasporto di sostanze simili nel XIX secolo non era insolito che si verificassero improvvise emissioni di gas volatile, inclini a combustione accidentale con deflagrazioni anche rumorose ed impressionanti, ma che poi si spegnevano immediatamente a contatto con il legno umido dello scafo. Ed è davvero impossibile immaginare, a questo punto, che il cauto capitano Briggs, per di più accompagnato da moglie e figlia, avesse ordinato per precauzione all’equipaggio di sposarsi sulla iolla, legata ad una lunga fune in attesa di esser certi che la nave principale non stesse per colare a picco? A quel punto un’imprevisto o condotta inappropriata avrebbe potuto causare la perdita di quel cordone ombelicale. Con le conseguenze che dovremo a questo punto lasciare meramente immaginate, tutte inevitabilmente e cupamente terminate nella stessa identica maniera. Il mare, dopo tutto, non perdona gli errori. Forse l’unica constante innegabile, ed imprescindibilmente utile, del tragico episodio che costituì il frangente maggiormente memorabile nella carriera navale della Mary Celeste. Destinata a finire distrutta intenzionalmente ad Haiti, nel colmo finale della vicenda, l’anno 1885, ad opera dei nuovi proprietari disonesti, che volevano in quel caso davvero effettuare una truffa assicurativa. Ma non riuscirono, nonostante i molti tentativi, a riuscire a farla totalmente colare a picco. Lasciando in quel particolare caso, particolarmente e dolorosamente chiara la realtà.