Gli onorevoli dignitari del potentato di Xracalithub si avvicinarono con pompa magna al sito della 3° civiltà umana. Generazioni di archeologi avevano studiato le pianure desertificate della vecchia Ue-ropa, nella cerca reiterata di artefatti degni di essere portati nella Stanza delle Meraviglie del supremo Primo Ministro. Wunderkammer: una tradizione risalente, per quanto ci è dato sapere, all’Era rinascimentale della 2° civiltà, quando ancora gli uccelli nuotavano nel cielo, ed i pesci volavano negli oceani del pianeta Terra. Alzato il vessillo della grande ed indivisa 23° civiltà, essi giunsero al campo di spine indifferenti alle proteste del Clero, consapevoli di come Usanze o Tradizioni avessero più volte in precedenza ostacolato la fondamentale progressione della specie. Dato l’ordine, il droide di scavo cominciò dunque a smuovere il terreno tra misteriose masse di cemento. Tre giorni furono richiesti, affinché la sua trivella raggiungesse la camera segreta del tesoro a 400 metri di distanza dalla luce vermiglia della stella Solare. Ricavando un buco da cui, un poco alla volta, numerosi cilindri vennero laboriosamente trasportati in superficie. Ciascuno sigillato e ad a quanto era possibile presumere, ricolmo di tesori ed antichissimi dobloni dato il simbolo del teschio e delle ossa incrociate, rappresentativo della mitica figura del Pirata. Nel giro di 6 ore, i servitori della squadra archeologica iniziarono ad aver ragione dei rigidi sigilli di copertura. Ce ne sarebbero volute 37, affinché perdessero i capelli ed iniziassero, l’uno dopo l’altro, a morire.
“Oh, uomo del remoto futuro. Sappi che: nessun atto onorevole è stato compiuto in questo luogo. Niente di valore si trova qui. C’è soltanto un pericolo per il corpo. Questo messaggio costituisce un avviso. Non ignorarlo. Fuggi dai felini* che cambiano il proprio colore!” Se potesse esistere una lingua universale, ininterrotta, capace di mantenere le proprie regole sintattiche ed il lessico a distanza di 5.000, 10.000, 15.000 anni, simili cartelli rappresenterebbero la soluzione ideale ad un problema lungamente trascurato, tuttavia direttamente risultante da una delle fonti energetiche più significative dei nostri giorni. Ma siamo sicuri, anche in tal caso, che ciò basterebbe veramente a fare la differenza? Gli architetti dei faraoni egizi, cinque millenni a questa parte, lasciarono avvisi similari al fine di scongiurare l’apertura dei loro sarcofaghi e l’esposizione museale dei loro tesori al pubblico ludibrio della posterità. E sappiamo fin troppo bene come tale storia, ed altri simili, siano ripetutamente andate a finire. Non è semplicemente possibile riuscire a scoraggiare colui o colei che opera in “buona” fede, ovvero la suprema convinzione che un qualcosa di prezioso risieda Là Sotto, volutamente lontano da occhi indiscreti per comprensibile volere dei nostri remoti predecessori. Con la sostanziale differenza che ogni tipo di maledizione immaginabile nel caso dei depositi di scorie radioattive, inevitabile conseguenza del corrente livello di progresso tecnologico e fino all’invenzione di fonti alternative di energia, potrebbe un giorno dimostrarsi fin troppo dolorosamente reale…
Sulle modalità idonee a poter trasmettere questa tipologia di messaggio, oltre il collasso possibile dell’odierna civilizzazione e l’ancor più problematica emersione di un’altra comparabilmente avanzata, ma del tutto priva di ricordi relativi alle condizioni poste in essere ad uno o più cicli di distanza, persone particolarmente intelligenti hanno dedicato una parte significativa del proprio tempo, in più momenti del nostro recente passato. Per la prima volta su iniziativa del Sandia Laboratory della base delle Forze Aeree di Albuquerque, Nuovo Messico, che nel 1993 si trovò ad elaborare una serie di linee guida, seriamente simili all’incipit di un romanzo catastrofista, mirate a scoraggiare la manomissione degli antichi depositi di uranio ed altri materiali dalla mezza-vita lunga più di qualsivoglia ordine globale immaginabile sulla base dei crismi presenti. Con la necessità di comunicare diffidenza ed inquietudine, mediante l’utilizzo di quattro livelli d’informazioni: rudimentali, cautelative, basiche e complesse. Ispirandosi probabilmente ad una serie di proposte similari riportate dieci anni prima sulla rivista tedesca di semiotica (scienza del linguaggio) Zeitschrift für Semiotik, il team statunitense elaborò dunque una serie di soluzioni istintivamente chiare basate su quello che potremmo tentare di definire come il funzionamento “innato” del cervello umano. In assenza di un linguaggio comune, i costruttori del deposito di scorie potrebbero dunque fare l’impiego di un sistema architettonico di tipo ostile, sia fisico che psicologico, al fine di scoraggiare l’insediamento ed il conseguente scavo da parte degli archeologi del remoto domani. Si potrebbe ad esempio utilizzare un tipo di costruzione monumentale in punte di cemento, definita in modo descrittivo come la foresta di spine, impossibile da rimuovere o sposare senza l’uso di macchinari pesanti. Oppure un labirinto di blocchi inamovibili, capace di creare un labirinto dove gli uomini futuri tenderebbero a smarrirsi, prolungando un auspicabile senso di timore reverenziale nei confronti del sito. Il vento potrebbe fischiare all’interno di cavità appositamente disposte, generando un suono fastidioso e costante. Altre proposte includevano dei tumuli costruiti con la forma di fulmini, o altre forme giudicate preoccupanti, sebbene risulti difficile immaginarle come universalmente funzionali allo scopo.
La ricerca collaborativa della rivista del 1982, d’altra parte, andava ancora più all’estremo nel proprio ventaglio di proposte, essendo quest’ultime la risultanza di un consulto capace di coinvolgere, tra gli altri, alcuni celebrati autori di fantascienza. Tra cui il polacco Stanisław Lem, autore del pluri-premiato Solaris, che andando oltre l’idea di tradizioni tramandate in modo clericale immaginate dal linguista Thomas Sebeok, immaginò l’introduzione futura di un tipo di varietà vegetale, più o meno fiorita, in grado di replicarsi all’infinito, contenente all’interno del proprio DNA un messaggio d’avviso relativo al pericolo delle scorie radioattive. Un’idea poco praticabile in tal senso, che tuttavia venne esplorata ulteriormente dallo studioso della comunicazione Paolo Fabbri assieme al collega ed autore Françoise Bastide, destinata a passare alla storia con il termine accattivante di Ray Cat (Gatto Radioattivo). Immaginate dunque un’indomani in cui un animale domestico fedele all’uomo, come il suo inseparabile felino domestico, fosse collegato ad una serie di superstizioni eternamente tramandate, relative alla capacità di rilevare un pericolo invisibile mediante il repentino cambiamento del colore del suo manto e/o pelle. Condizione tristemente reale, definita xeroderma pigmentoso e da introdurre in questo caso tramite un’attenta manipolazione del codice genetico posseduto da tali animali. Benché resti utile sottolineare come, persino oggi, l’antico timore nei confronti dei gatti neri sia ormai giudicato una mera e trascurabile superstizione. Così come lo stesso potrebbe avvenire, in un’ipotetico domani, per il gatto radioattivo di Bastide.

Tralasciando l’altra proposta di Stanisław Lem, per la costruzione di satelliti o lune artificiali in grado di trasmettere in eterno il messaggio di avviso, anche dopo la devastazione della superficie terrestre (soluzione semplicemente poco praticabile al livello tecnologico odierno) la WIPP o Waste Isolation Pilot Plant costruita nel 1999 lungo il corso del Pecos River in New Mexico è stato il primo sito ad implementare, almeno in parte, dei messaggi a lungo termine di avviso del pericolo radioattivo. Riprendendo il discorso dell’originale memorandum dello Human Interference Project, di per se stesso pretesto dell’originale articolo del 1982. Così che entro il 2033, è stato prospettato che in corrispondenza del deposito dovranno essere installati una serie di memoriali, scritti nelle sei lingue ufficiali delle Nazioni Unite più il Navajo, con ulteriori pittogrammi e blocchi di granito non dissimili dalla proposta dello Scandia Lab. Difficile immaginare quanto, un giorno, simili strutture potranno condannare o salvare l’umanità. Giacché tutto quello che possiamo fare è giocare le nostre carte al meglio, nell’imprescindibile tentativo di influenzare eventi dei prossimi millenni, del tutto inconoscibili per definizione.
Ammesso e non concesso che ci riesca, qualche volta, di pensare oltre il probabile collasso climatico ed ambientale che già pende sulle nostre teste. Acuminata punta di una spada scaturita dall’Inferno stesso, la cui discesa è inesorabile quanto l’entropia stessa degli spazi laboriosamente costruiti a misura d’uomo.