L’intatta ziggurat che ospitava gli Dei e le solenni spoglie dei sovrani elamiti

Per le grandi civiltà agli albori della Storia, edificare colossali monumenti costituiva il metodo più efficace di rendere duraturo il nome dei regnanti, oltre a garantirsi una maggiore considerazione da parte degli esseri supremi che, dall’alto dei loro palazzi celesti, sorvegliavano e guidavano la civilizzazione umana. Nell’idea posseduta dalle genti di Haltamti, regione situata nell’odierna provincia iranica di Khuzestān ed a diretto contatto con diverse culture mesopotamiche (Sumeri, Accadici, Babilonesi) la dinamica di tale intento risultava leggermente diversa. Questo poiché essi credevano, fin da tempo immemore, che il sommo padre del proprio nutrito pantheon denominato Inshushinak risiedesse nella stessa casa del sovrano, ed al sorgere di ciascuna alba decollasse a bordo del suo magico carro, accompagnando il sole nel suo lungo arco quotidiano. Visione concettuale questa degna di costituire l’ottimo pretesto per la costruzione di una grande capitale sacra, ove unificare e verso cui far pagare ingenti tributi ai diversi capi delle comunità limitrofe fino a unificarle sotto un’unica bandiera. Quel poco che sappiamo nella progressione da potenza regionale verso la metà del terzo millennio a.C, fino alla formazione di un vero e proprio impero culminante nel 1500 a.C. attraverso il succedersi di varie dinastie, possiamo dunque dire di averlo principalmente desunto dai lasciti materiali di queste genti, abili nello sfruttare la tipica architettura in mattoni di adobe tipica dei loro tempi remoti. Tra cui il capolavoro forse meglio conservato, forse ancor più dei monumenti ritrovati ad Ur e le altre capitali di quel mondo spesso sincretistico ed in vicendevole conflitto, può essere individuato presso la collina Chogha Zanbil (monte “Cesta”) situato tra le città di Susa ed Ahvaz. Il complesso di edifici, all’interno di un triplice recinto, un tempo dominato da quel tipo di svettante torre a gradoni, un tempo misurante più di 100 metri ma oggi grosso modo dimezzata nei suoi sovrapposti livelli superstiti, caso il peso ed il trascorrere dei successivi millenni. Il che non ha del tutto compromesso, ad ogni modo, la svettante imponenza di un sito archeologico tra i più vasti, e di sicuro maggiormente importanti della regione. Un portale d’accesso privilegiato, verso i misteri di una delle perdute culture all’origine di un intero ceppo culturale dello scibile dei nostri predecessori…

La scoperta di un qualcosa di tanto imponente, ad ogni modo, risale a un’epoca piuttosto recente e nello specifico al 1935, quando un geologo intento a ricercare il petrolio nella zona scovò tra le sabbie nell’iscrizione riportata su un antico ed isolato mattone. E trasportatolo fino al vicino gruppo di archeologi attivi nella zona di Susa, ottenne la rivelatoria traduzione di “Untash-Gal”, quello che poteva soltanto essere la lungamente teorizzata e più volte ricercata capitale religiosa dell’impero di Elam. Accorso sul posto con una equipe numericamente ridotta, l’archeologo Roland de Mecquenem condusse un primo sondaggio inconcludente destinato a durare fino al 1935, quando l’inasprirsi del clima globale ed i precoci venti di guerra lo costrinsero a interrempere le ricerche. Allorché sarebbe stato nel 1951 il suo collega Roman Ghirshman, di origini ucraine ma residente in Francia, a portare a termine l’importante lavoro. Alla testa di una gremita missione internazionale di oltre 120 uomini, fu infatti a lui ad ordinare lo scavo in profondità di un primo rettangolo dell’estensione di 100 metri quadri, rimuovendo tonnellate di materiale fino alla rivelazione di una zona dai numerosi templi e cortili interconnessi tra loro. Ampliando l’area sottoposta a sondaggio, egli individuò dunque la cinta muraria esterna, con quattro portali sorvegliati da altrettante statue d’animali di cui è stato possibile trovare soltanto dei frammenti residui. Di primaria importanza furono una serie d’iscrizioni a parete, in cui l’edificazione del complesso veniva attribuita al sovrano Untash-Napirisha, sovrano prolifico che si ritiene aver regnato attorno al 1.300 a.C, sebbene ciò debba costituire al massimo una preliminare ed incompleta teoria. Sebbene sappiamo che la sua speranza, resa esplicita in tali frammenti, fosse che il sommo Dio Inshushinak gli assicurasse una nutrita discendenza, di cui ad ogni modo non abbiamo alcuna notizia a garantire la riuscita di quell’obiettivo importante. Ci sarebbero voluti anni dunque, dopo l’originale scoperta, per esporre la struttura residua della ziggurat principale, dalle dimensioni superiori a quelle di ogni altra struttura simile al di fuori del territorio mesopotamico. Un edificio dai cinque piani residui, costruita non mediante la sovrapposizione di elementi di sostegno, bensì in maniera concentrica, in cui ogni livello poggiava individualmente sul terreno, essendo poi connesso agli altri tramite l’impiego di una serie di scalinate interne. In base ai limitati dati di contesto disponibili, lo stesso Ghirshman avrebbe quindi teorizzato che il sovrano risiedesse con la sua famiglia nelle ali più lussuose del complesso, sotto cui erano situate delle camere frutto di un’attenta costruzione ingegneristica. Destinata a custodire i corpi degli antenati defunti, così come si usava fare nelle grandi residenze dell’intera classe dirigente di Elam, sebbene qui soltanto un singolo scheletro sarebbe stato ritrovato sotto le auree sale dei suoi discendenti ulteriori.
Chogha Zanbil sarebbe quindi stato nominato a partire dal 1979 sito culturale dell’UNESCO, essendo caratterizzato da una notevole autenticità nonostante le estensive opere intercorse di restauro e ricostruzione.

Estensivamente utilizzata e presumibilmente popolata da una grande quantità di sacerdoti a funzionari, l’antica città di Untash-Gal raggiunse dunque il proprio apice prima della metà del primo millennio. Quando nel 645 a.C, a seguito di un conflitto durato generazioni, la confinante cultura Neo-Assira sotto la guida di Assurbanipal riuscì a primeggiare sulle armate elamite, circondando, assediando e infine saccheggiando i palazzi del sovrano rivale. Un’impresa destinata a compromettere, ma non cancellare totalmente, le straordinarie imprese architettoniche di un popolo che la storia non avrebbe mai davvero dimenticato, per quanto possa essere difficile risalire a fatti e periodi così remoti, soprattutto in assenza di approfondite fonti storiografiche a cui fare riferimento. Siano ben volute, dunque, le più antiche e vaste tombe, letterali capsule di un tempo circondato dalla polvere aleggiante dei trascorsi millenni. Misteriosa quanto l’energia capace di attirare gli antichi Dei e perduti Spiriti in luoghi precisi. In modo per lo più elettivo, o magari lungamente predestinato, entro le imponenti roccaforti dei loro convinti seguaci umani.

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