Immobile nell’acqua dei canali di scolo e delle fogne di città come Bangkok, Hanoi, Phnom Penh, un bastone non più lungo di 50-90 cm fa la guardia agli stretti pertugi, le pozze ombrose, i profondi passaggi che conducono lontano dal centro luminoso di simili spazi sovraffollati, quando pensano di aver dato e avuto tutto che potevano, essendo giunto l’attimo di ritornare alla natura. Tanto scaglioso e al tempo stesso attento, un pezzo di “legno” come questo ha delle particolari caratteristiche difficili da sottovalutare: prima di tutto, è ricoperto di scaglie nel tipico metodo a cui ci hanno abituato i colubridi, esseri oblunghi noti per il potente veleno contenuto nelle loro zanne acuminate. E poi… Ci sono le due paia di eccellenti organi sensoriali. Da una parte gli occhi, adatti a percepire il movimento anche nelle condizioni di lucore più marginale. Ma non sempre il torbido sostrato, dal pesante contenuto di poco raccomandabili sedimenti, può permettere allo sguardo di riuscire a rilevare la realtà. Ed è qui che entrano in gioco quelli che la scienza si è accontentata di definire dei tentacoli, sebbene sembrino da certe angolazioni il grosso paio di mustacchi posseduti da un travestimento per alieni di pianeti lontani. Pratiche ed efficaci vibrisse, quelle possedute dall’Erpeton tentaculatum, che come un gatto ne sfrutta l’efficacia per percepire e assimilare il mondo. Ma soprattutto le vibrazioni prodotte dai più piccoli e minuti spostamenti, di colui che non capisce di essere alla fine della propria placida esistenza su questa terra. Allorché agitando quelle pinne, l’ittico visitatore si avvicina al cumulo di sovrapposti detriti. Da cui la forma simile a una lettera “J” s’inarca all’improvviso, dando l’impressione di stare per colpire a destra. Ma poi allunga e chiude le sue fauci a sinistra – Preso! Un morso alla volta, il piccolo visitatore viene fatto a brandelli. I serpenti acquatici della famiglia Homalopsidae sono del resto tra i pochi al mondo, a non trangugiare intera la loro preda.
Ulteriore tratto di distinzione, quest’ultimo, capace di rendere memorabile una creatura la cui conformazione facciale evoca trasversalmente i draghi primordiali dell’antica mitologia d’Oriente. Il che potrebbe anche non essere, a conti fatti, semplicemente un caso…
Scoperto in senso accademico e classificato per la prima volta nel 1800 da Bernard Germain de Lacépède, naturalista francese prosecutore della grande opera tassonomica del Comte de Buffon, il serpente dai tentacoli fu immediatamente funzionale alla sua teoria della trasmutazione delle specie, l’idea secondo cui trascorse catastrofi avrebbero permesso agli animali di mutare per riuscire ad adattarsi alle nuove condizioni vigenti. Una visione delle cose e del mondo la quale, come potrete facilmente rilevare, costituiva un’anticipazione significativa di quello che sarebbe stato più di mezzo secolo dopo il testo seminale di Charles Darwin su L’origine delle specie. Anche senza parlare in modo esplicito di evoluzione, d’altra parte, il piccolo colubride del Sud-Est asiatico appariva estremamente ben equipaggiato in senso fisico e dal punto di vista comportamentale a sopravvivere nel proprio ambiente d’appartenenza. Essendo fornito di un istinto di caccia totalmente ereditario, che molti anni dopo gli studiosi avrebbero identificato come parte imprescindibile del suo istinto predatorio. Occorrerà del resto spostarci fino all’epoca contemporanea e soprattutto all’operato del biologo dell’Università di Vanderbilt di Nashville (TN) Kenneth C. Catania nel 2009, affinché a qualcuno potesse venire in mente un metodo per verificare ed annotare in laboratorio l’accurata strategia di queste creature. Mediante l’utilizzo di una telecamera ad alta velocità in una serie di 120 attacchi con quattro diversi esemplari, ciascuno eseguito nel volgere di una mera frazione pari a un centinaio di un singolo secondo. In grado di configurarsi in maniera tale, così come sopra descritto, da convincere il pesce di turno che l’attacco stesse per giungere da una spira piuttosto che le fauci, all’interno delle quali tale vittima finiva immancabilmente per avventurarsi, quasi di propria spontanea volontà. Significativo, a tal fine, anche l’approfondimento del sistema nervoso dell’animale, che ha visto l’individuazione di recettori sensoriali particolarmente sensibili all’interno dei due “baffi” direttamente collegati al settore del trigemino vicino ai bulbi oculari, mentre i corrispondenti gangli chiamati cellule di Mauthner, connessi a riflessi tanto rapidi e risolutivi, si occupano di suscitare nel rettile il cosiddetto riflesso C, normalmente utilizzato dagli anfibi e pesci per sfuggire a un pericolo improvviso. Ma che qui, piuttosto che far eclissare la creatura, la portano a distendersi ed effettuare la manovra in grado di concedere vie d’accesso imprescindibili alla sua alimentazione quotidiana.
Raramente fatto riprodurre in cattività, l’Erpeton è poco studiato anche in natura per quanto concerne la sua metodologia riproduttiva. Che vedrebbe la femmina, secondo le limitate informazioni reperibili su Internet, mettere al mondo 10-11 piccoli ad evento in modo ovoviviparo, ossia da uova che si schiudono all’interno del proprio stesso organismo. Così che al momento di esplorare i torbidi ambienti di appartenenza, essi siano già perfettamente abili nel badare a se stessi e catturare tutto il necessario a crescere forti, rigidi e ricurvi.
Difficile negare a tal proposito che la stranezza, dopo tutto, possa essere una valida risorsa. Soprattutto quando ereditata, assieme al proprio patrimonio genetico e precise norme comportamentali utili a risolvere i quesiti reiterati della propria vita rispondente a dei parametri ben precisi. Subacquea, sepolta, segreta. Finché a qualcuno non venga in mente d’interrogarsi sul perché le cose appaiono in determinati modi. Anche senza ricorrere alla teoria del Gran Disegno, custodito da un demirugo la cui onniscenza resta inconoscibile dal pensiero filosofico umano.