L’enorme grattacielo che incorpora il massiccio peso della storia a Kuala Lumpur

Ed è una mera semplice realtà dei fatti, che la storia riconosca un primo e un ultimo in classifica, ma praticamente a nessuno importi tutto quello che si trova in mezzo. Arrivare secondi, in senso oggettivo, può costituire un ottimo risultato. Ma fuori dalla sfera introspettiva ed autoreferenziale, può sostanzialmente equivalere ad una goccia di mercurio nell’infuriar della tempesta generazionale. 10 gennaio del 2024, di fronte allo stadio Cangkat detto “dell’Indipendenza” (in bahasa/tamil: merdeka) presso 50150 Kuala Lumpur, Territorio federale di Kuala Lumpur: alla presenza del Re, del Primo Ministro e gli altri principali rappresentanti dello stato, la principale metropoli peninsulare del Sud-Est Asiatico ha visto inaugurare l’ultimo e più significativo esempio di un qualcosa che gli è sempre risultato particolarmente affine. Il tipo di megastruttura, alta e stretta, che possa figurare lungamente negli annali statistici ed ingegneristici come uno dei grattacieli più imponenti al mondo. La torre che, persino nell’affollato skyline della città popolata dalle celebri Petronas e l’Exchange 106, risulta oggi idealmente capace di gettare la propria su chicchessia. Questo perché essa costituisce, allo stato attuale, il secondo edificio più alto al mondo dopo il Burj di Dubai. Sebbene circa 23% dei suoi 678,9 m siano sostanzialmente occupati dalla struttura più che altro scenografica di un’antenna o guglia, che in epoca pre-moderna sarebbe stata probabilmente occupata da un campanile. Ma in questo momento storico di rinnovata stima nei confronti dei nazionalismi, vuol essere qualcosa di profondamente e significativamente inaspettato: il braccio teso verso il cielo di niente meno che Tunku Abdul Rahman (1903-1990) già politico e primo ministro del paese nonché padre nobile della sua stessa patria, dal momento in cui, nel 1956 pronunciò l’epocale discorso contro il colonialismo ed il controllo britannico del territorio malese, terminante nel grido reiterato di “Merdeka! Merdeka!” Che secondo il canone ufficiale riecheggiò tre volte, sebbene testimoni ancora in vita giurino che il grande personaggio storico l’abbia ripetuto per un gran totale di sette. Così trasferito, al giorno d’oggi, in proporzioni in senso fisico ancor più imponenti, tramite l’implicita metafora rappresentata dal suddetto grattacielo. Giacché il Merdeka 118, così chiamato dal suo numero di piani totali, vorrebbe essere la sostanziale rappresentazione, minimalista ed astratta, della sua stessa figura vista di profilo…

Con una quantità di edifici superiori ai 150 metri tale da posizionarla settima al mondo, nonostante una popolazione di “appena” 2 milioni contro quella cinque volte superiore di luoghi come New York, Shenzen o Hong Kong (per non parlare di Tokyo e Shanghai) la capitale di Kuala Lumpur ha lungamente costituito un simbolo importante del successo economico e la posizione di preminenza che la Malesia aspira a possedere nello scenario internazionale dell’Asia Orientale, sebbene sia anche il polo d’importanti e significative contraddizioni. Giusto il settembre scorso, successivamente all’inaugurazione dello scintillante Merdeka, l’attuale primo ministro Anwar Ibrahim ha pronunciato un rilevante discorso alla nazione, in cui annunciava l’impronta data al governo di spostare da quel momento la propria attenzione verso l’edificazione di abitazioni a costo abbordabile e spazi commerciali per la gente comune, dopo gli anni trascorsi dal premierato del suo insigne predecessore Mahathir Mohamad (in carica: 1981-2003; 2018-2020) notoriamente appassionato di questa particolare soluzione architettonica e dimostrativa. Laddove il grattacielo inaugurato l’anno scorso, in uno scenario di disagio sostanziale delle classi meno abbienti, parrebbe costituire almeno in linea di principio una vigente contraddizione dei termini espressi, con un costo riportato complessivo di all’incirca 5 miliardi di ringgit malesi (pari ad un miliardo di euro). Abbastanza da far lavorare in sicurezza per un periodo complessivo di tre anni le letterali centinaia di operai tra venti ricorrenti, piogge monsoniche e gli occasionali temporali sotto la supervisione ingegneristica della LERA consulting e l’amministrazione tecnica di UEM Group. Laddove l’effettivo design estetico costituisce un’opera dello studio architettonico australiano Fender Katsalidis, famoso per l’aver integrato gli schemi geometrici dell’arte aborigena e polinesiana in diversi grattacieli del proprio paese, tra cui l’Eureka Tower di Melbourne. Un approccio utilizzato, a suo modo, anche nel caso del Merdeka 118, la cui facciata geometricamente discontinua vuole essere un richiamo alla tecnica tessile malese del songket, consistente nel far uso di fili dai diversi colori nella creazione di una stoffa, i cui disegni possono alludere a specifiche circostanze concettuali o filosofiche. Tra cui nel presente caso, inutile specificarlo, quello universale e imprescindibile della libertà.
Edificio ad uso misto, in cui ben 60 degli 80 piani totali adibiti ad uffici resteranno appannaggio della stessa società committente Permodalan Nasional Berhad (PNB) l’impressionante grattacielo vede invece nei suoi piani superiori la collocazione di un prestigioso hotel, con vista indimenticabile sul paesaggio cittadino, e in quelli inferiori il tipico centro commerciale. Degni di menzione i due giganteschi atri d’ingresso nord & sud, illuminati con luce naturale e in grado di evocare l’idea di grandi vani di carico di stive d’astronavi, in viaggio verso mondi o galassie lontane.

Con la sua guglia perforata per resistere al vento, così evidente e in apparenza instabile allo sguardo, il Merdeka ha già costituito nei pochi anni trascorsi dal completamento del tetto un’attrazione irresistibile in due casi per i praticanti delle arrampicate abusive, ad opera di due gruppi rispettivamente americano e russo. A dimostrazione che l’intento di ottenere la celebrità mediante un significativo rischio verticale è una tendenza priva di confini ma deriva piuttosto dal sovvertimento dell’istinto innato dei mammiferi, la cui mente molto (forse troppo) sviluppata vuole dominare il generale ordine naturale degli eventi. Fino a risalire in bilico, per poter coprire con un dito, “normali” orpelli architettonici dotati di appena qualche decina di piano. Il che costituisce una collaterale risultanza della marcia inarrestabile dei tempi odierni. Sebbene il prezzo che ciò possa avere per la gente comune risulti quasi sempre difficile da misurare. Ammesso che a qualcuno interessi anche soltanto di elaborarlo in termini abbastanza chiari.

Lascia un commento