Giorno dopo giorno, con il sovrapporsi degli impegni e le difficoltà dell’esistenza, sempre più cerchiamo un modo per trovare il tempo di considerare una diversa via d’uscita. È una forma, da un’alternativa angolazione, di meditazione moderna, il metodo per ritrovare un’armonia con l’Universo. Per alcuni l’unica maniera è leggere, dipingere, creare. Altri preferiscono congiungere le mani per rivolgersi a un’autorità superiore. E poi esistono coloro che, metaforicamente o meno, decidono di dedicarsi a nutrire i piccioni. Essere l’aiuto per creature dai bisogni semplici, diventare un punto di riferimento contro l’insistente incedere l’entropia: ci sono grandi potenziali benefici, nel decidere di ritornare alla natura. Ma come si usa dire in campo antropologico, paese che vai, pennuti che trovi e talvolta, gli animali rispondenti alle caratteristiche implicate possono persino presentarsi con le pinne, invece che le ali. Per Valdemir Alves da Silva, utente brasiliano di successo su TikTok ed altri social, gli amici animali sono per esempio una nutrita comunità di Colossoma macropomum, alias pacu dalle pinne nere, alias “super-piranha mangiatore di nuts (noci/testicoli).” Una battuta per un doppio senso spiritoso, nato quasi una decina d’anni fa su Internet in seguito all’avvistamento di alcuni esemplari nei fiumi europei, che potrebbe aver compromesso in modo sempiterno la reputazione della specie, al pari di quanto avvenuto per i pescecani con il film di Steven Spielberg “Lo Squalo”. Laddove i qui presenti serrasalmidi, di un tipo in verità diverso dal piccolo e vorace stereotipo sudamericano, paiono mansueti come dei gattini, mentre aspettano di essere nutriti a turno dal creatore di contenuti digitali, mediante quelli che potrebbero essere dei pellet per acquaristi ma per quanto ne sappiamo, anche dei pezzi di prosciutto tagliati a dadini. Questo perché non è oro tutto quel luccica e in effetti, il pacu non è proprio o necessariamente un tranquillo erbivoro del tutto incline al pacifismo, bensì un onnivoro del tipo meglio attrezzato, con una bocca piena di denti dal bordo tagliente ed altri fatti per triturare la suddetta frutta a guscio duro. E pesci più piccoli, molluschi, crostacei, le dita d’incauti bagnanti umani! Il che suscita l’implicita e immediata questione: cosa garantisce, a costui, l’impossibilità del verificarsi d’eventuali incidenti? Difficile immaginare un tipo di scenario in cui, come per addestratori africani di iene e leoni, egli possa essere cresciuto in stretto contatto con gli avannotti nel loro ambiente di appartenenza, venendo incorporato nel branco fino a diventare una presenza costante e rassicurante. Un tale livello d’interazione pesci-umani, molto semplicemente non PUÒ verificarsi. Eppure…
Il pacu nella particolare accezione qui mostrata originaria dei bacini idrici dell’Orinoco, del Rio delle Amazzoni e della Plata, è un pesce imponente della lunghezza di fino a 1,1 metri ed un peso massimo di 40 Kg. E sebbene non disponga dell’elevata velocità nel nuoto tipica dei suoi distanti cugini oceanici, colpisce per agilità e maneggevolezza, con le pinne pettorali muscolose in grado di fungere da timone, mentre si sposta in mezzo a quei fondali ricoperti da estensiva vegetazione. O passando esattamente tra le gambe dei suoi “amici” provenienti dal vasto mondo di superficie, ricordando in modo auspicabile che le noci giuste pendono tra gli alberi di tutt’altra natura. Creature comunitarie inclini a formare grandi banchi migratori, tali pesci possono beneficiare presumibilmente di alcuni dei molti e complessi sistemi di comunicazione reciproca posseduti dagli appartenenti a questa categoria di creature, inclusi fattori di contesto, l’osservazione, la stimolazione visuale e le vibrazioni prodotte dal movimento. Il che li renderebbe in linea di principio dei candidati ideali per l’addestramento raramente messo a frutto mediante l’uso di fasci di luce o clicker, l’oggetto usato per produrre un suono netto e riconoscibile a vantaggio di una plurima varietà di creature. Il che non sembra d’altra parte essere quanto messo in pratica da Valdemir Alves da Silva, se non ad un livello istintivo che deriva dal normale istinto alla benevolenza reciproca posseduto dal cervello di molteplici esseri viventi. Benché sia proprio questo tipo di comunione inter-specie con esseri tanto diversi da noi, a rappresentare, da molteplici ed interconnessi punti di vista, l’oggetto della meraviglia degli spettatori interessati ai suoi video. Una potente struttura mentale a sostegno potrebbe a tal proposito individuarsi nella latente propensione da parte di questi pesci ad identificare il rapporto tra causa ed effetto, che li porta a spostarsi dalle foreste allagate verso i fiumi limpidi durante i mesi dell’estate sudamericana, dove provvedono quindi a deporre le proprie uova. E considerato come simili creature possano agevolmente raggiungere e superare i 50 anni d’età, nessuno potrebbe negare il possesso da parte loro di moltissimo tempo per comprendere i vantaggi che derivano dall’acquisizione di un affidabile guardiano umano.
Con commenti non sempre solidali, nella tipica usanza di Internet, da Silva sembra d’altra parte aver acquisito uno zoccolo duro di fans, quotidianamente inclini ad elogiare l’ennesimo video dal tenore pressoché identico, in cui è possibile d’altronde individuare la profonda dedizione necessaria ad essere un punto di riferimento per la comunità ittica locale. Accumulando, in funzione di questo, una riserva di karma positivo tanto vasta da potersi trasformare nell’equivalente tangibile di un Aquaman dei nostri giorni poco inclini all’introspezione. Poiché se invero ci fermassimo a comprendere gli impliciti vantaggi che possono derivare da un ritorno sincero e trasparente alla vita in stretta comunione coi processi naturali di questo mondo, molti dei mali presenti sarebbero probabilmente inclini a scomparire, o quanto meno essere ridotti nell’impatto devastante che hanno sull’ambiente e la biodiversità di cui esso è composto. In parole povere: non getteresti una lattina vuota nell’acqua in cui risiedono i tuoi pinnuti amici. E non compreresti, quando esiste un’alternativa, i prodotti delle compagnie che sovrascrivono ogni giorno il necessario equilibrio delle ultime foreste vergini. Luoghi su cui ci è ancora possibile, per qualche tempo ancora, continuare a fare affidamento nella ricerca di un sentiero alternativo alla soddisfazione. Che ci riporti con la mente allo status invidiabile di colui o coloro che amano le noci. Ma possono fagocitare, con gusto e trasporto pienamente comparabili, innumerevoli altre tipologie di cibo.