A distanza ormai di quasi mezza decade dall’inizio degli anni del Covid, è possibile gettare indietro uno sguardo obiettivo, scorgendo assieme ai molti aspetti negativi alcuni risvolti inaspettati, che hanno aperto porte inaspettatamente positive ai processi umani. Nuovi sistemi, nuovi metodi, sentieri verso l’introspezione personale. E nel caso di talune figure creative, un cambio di carriera necessario a illuminare agli occhi della collettività i meriti notevoli della loro arte. Tra le schiere di costoro può naturalmente figurare il millennial James Cook, all’epoca studente di architettura, che ormai da tempo aveva individuato come origine della propria passione non tanto progettare gli edifici, quanto trasferirli tramite un approccio assai particolare su carta. Un tipo di prassi figurativa, il suo, ma ben diverso da quello di Hans Vredeman de Vries, Dirck van Delen o Giambattista Piranesi. Giacché semplicemente disegnare linee rette ed ombreggiarle a dovere avrebbe fatto ben poco per distinguerlo dagli utilizzatori odierni dello strumento informatico e gli approcci fin troppo pratici della digitalizzazione. No, piuttosto qui l’artista guarda indietro e sceglie di farlo tramite l’approccio maggiormente asettico ed impersonale, tra tutti quelli disponibili a partire dalla fine del XIX secolo. Avete mai pensato, a tal proposito, di disegnare usando una sferragliante, metallica, razionalistica macchina da scrivere? Il tipo di strumento che usavano i nostri nonni, per semplificare la scrittura in un mondo in cui ancora gli errori non potevano essere cancellati senza conseguenze, ed il cambio del rullo d’inchiostro era un compito rischioso riservato all’ultimo arrivato dei contesti d’ufficio. Forse non il più pratico degli approcci a disposizione, giungendo a richiedere un minimo di cinque giorni per il completamento di un foglio A4. Ma infuso di un fascino che viene dal più puro e incontrovertibile eclettismo.
Così avreste potuto scorgerlo a partire da quei giorni, in una città di Londra recentemente riaperta e ancora priva delle moltitudini che adesso affollano di nuovo quei quartieri, mentre seduto presso un punto panoramico o all’incrocio di due strade batteva concentrato su quei tasti di bachelite. Più e più volte lo stesso tasto, con l’approccio collaudato d’impiegarne alcuni con finalità specifiche: la “@” per ombreggiare spazi, vista la superiore quantità d’inchiostro nero che contiene; la E maiuscola per fare le finestre; la “O”, sormontata da una “o” più piccola e sostenuta da una “I” strategica, per rendere l’idea di figure umane innanzi ai più celebri palazzi e monumenti. Essi stessi una sapiente commistione di linee, trattini, punteggiatura e anche veri e propri brani testuali…
Affascinato fin da giovane dall’estetica dei grandi edifici, che conosceva più che altro di seconda mano essendo nato nella piccola comunità rurale di Braintree, Cook avrebbe quindi cominciato a disegnare in giovane età. Ma usando metodi di un tipo assolutamente tradizionale, almeno finché durante i corsi universitari frequentati nella capitale, per il suo progetto di dare un giorno un contributo al patrimonio di edifici materialmente parte di questo mondo, non gli capitò di studiare un modulo sull’influenza della tecnologia nella produzione delle opere d’ingegno. E fu allora che conobbe la lunga carriera ed opera di Paul Smith (1921-2007) l’autore per oltre 70 anni di un tipo molto particolare di creazioni visuali. Costui infatti, che era nato affetto da una grave paresi cerebrale in un’epoca in cui il destino di questi malati appariva dolorosamente segnato, aveva imparato a coltivare le sue passioni con ingegnosi metodi alternativi. Così che l’impossibilità di tenere in mano una penna o pennello non l’avrebbe precluso dal disegno, che perseguiva mediante l’uso di comuni macchine da scrivere, da lui manovrate come fossero un Stradivari dell’Era industrializzata. Laddove Smith riusciva a tratteggiare le sue celebri creazioni, che includevano paesaggi, ritratti di figure storiche o riproduzioni di dipinti famosi, senza che i singoli caratteri fossero visibili, diametralmente opposto sarebbe stato l’approccio di James Cook, in cui le singole lettere appaiono ben visibili ed orgogliosamente messe in mostra, come da regole non scritte del complesso canone post-moderno. Inizialmente attivo soprattutto nella ritrattistica, mediante cui avrebbe finanziato in parte i suoi studi grazie a mostre, opere e commissioni, il londinese d’adozione avrebbe guadagnato celebrità su Internet mediante le sue interpretazioni di volti famosi, inclusi quelli di celebrità televisive, attori o l’imprescindibile regina Elisabetta II. In un risvolto rimasto famoso, avrebbe inviato un ritratto battuto macchina di Tom Hanks direttamente all’attore americano, che ringraziandolo lo spedì indietro con l’aggiunta del suo autografo, rendendolo un pezzo unico da collezione. Da qui ad unire le due cose, disegno meccanico e passione per l’architettura, il passo fu naturalmente breve ed il giovane praticante avrebbe presto iniziato a vagheggiare per la metropoli cercando dei soggetti da riprodurre en plein air. Difficile immaginare, a tal proposito, l’impressione della gente che lo vedeva concentrato su uno degli oltre cento macchine da lui possedute, possibilmente intento a scrivere un grande romanzo ma con metodi desueti. Finché costoro non si trovavano, per caso, fortuna o intenzionalmente, a scrutarne l’opera da dietro. Degni di menzione infine i suoi soggetti dalle proporzioni maggiori, battuti su fogli di carta multipli poi attaccati assieme mediante l’uso di colle a caldo. Come fatto in tempi più recenti per una inconfondibile riproduzione dello Skyline newyorchese.
Il successo internazionale è oggi un traguardo difficile da prevedere, soprattutto in forza degli algoritmi che deviano il corso di passioni collettive attraverso il labirinto digitalizzato del Web. Ove a seguito del successo su Instagram e altri social network con l’alias di Mr Typer, l’opera di Cook avrebbe raggiunto una massa critica sufficiente a suscitare l’interesse dei media di più alto profilo. Così che dopo una partecipazione a diversi programmi televisivi britannici ed un articolo entusiastico sulla BBC, l’autore avrebbe ottenuto le prime commissioni importanti, assieme all’opportunità di organizzare mostre e workshop basati sul suo insolito sentiero di accesso alla creatività contemporanea.
Con molti fans ma pochi imitatori, vista la maniera in cui lui stesso racconta in un intervista di avere al momento appena cinque colleghi nell’intera scena degli scriventi-disegnatori attualmente esistente. Che potranno solamente diminuire, mentre i gesti manuali e le metodologie messe da parte per manovrare il foglio di stampa andranno perse un poco alla volta, come caratteri mobili di antimonio e stagno nella pioggia acida del Progresso, che non conosce battute d’arresto. Benché una cosa almeno per il momento, come ripetuto orgogliosamente sui forum di Intenet a gran voce dallo stesso Cook (e messo anche alla prova dal sottoscritto) resti certa: l’intelligenza artificiale non riesce a replicare uno stile visuale così fuori dal coro. Semplicemente non dispone di un repertorio abbastanza vasto. Anche se vedere un Colosseo tridimensionale che emerge in modo fantasmagorico da una macchina dell’Olivetti, in una fusione di pixel illogica ma formalmente perfetta, può ancor vantare, senza dubbio, un certo fascino surrealista…