Il microcosmo che accompagna l’esistenza secolare delle tartarughe malgasce

Nel tardo periodo Shang, attorno al 1.000 a.C, tale antica dinastia era solita effettuare le proprie divinazioni mediante l’utilizzo di scapole bovine e plastron, ovvero la parte ventrale del guscio delle tartarughe, sia d’acqua che di terra. Simili ossa oracolari, come vengono chiamate, presentano la singola attestazione più antica delle incisioni destinate a diventare il primo esempio di scrittura ideografica cinese. Il destino della cupola costituente il dorso di tali animali, d’altra parte, non ci è noto. Ma se usanze simili fossero state attestate nell’Africa Orientale, ed in particolare nella grande isola del Madagascar, molto probabilmente sarebbe accaduto l’esatto opposto; giacché non esiste, in tutto il mondo, una rappresentante della famiglia Testudinidae dall’aspetto maggiormente mistico e letteralmente ultramondano, di questa. Astrochelys radiata o testuggine radiata, una presenza lunga fino a 40 cm delle foreste spinose di didiereacee ed euforbie nella parte meridionale di questo luogo ecologicamente eclettico, ben visibile già da lontano grazie all’inconfondibile disegno presente sul carapace: un disegno giallo e marrone di asterischi ripetuti, ciascuno intersecantisi coi suoi vicini, in grado di ricordare non soltanto le stelle notturne ma anche il taglio esperto di un granato prezioso. Aspetto visuale di rilievo per quella che d’altronde può sembrare biologicamente simile alle tipiche abitanti dei nostri giardini. Il che costituisce, sia ben chiaro, parte del problema significativo in grado di condizionare la sopravvivenza di tale specie. La tartaruga in questione rappresenta d’altro canto il raro caso di una categoria tassonomica numericamente popolosa, risultando in grado di raggiungere i 10 milioni d’esemplari all’ultimo censo effettuato, pur essendo giudicata a rischio critico dallo IUCN, il CITES ed innumerevoli altri enti di classificazione animale. Questo perché nell’unico luogo in cui risulta endemica, per l’assenza di strutture governative solide o leggi utili a proteggerla, continua ad essere l’oggetto di una caccia scriteriata per ragioni alimentari e soprattutto l’esportazione, mediante contrabbando, verso alcuni dei paesi più facoltosi al mondo, per un prezzo in grado di aggirarsi tra i 1.000-4.000 dollari per singolo esemplare. Un vero e proprio dramma, dal punto di vista ecologico, per una creatura come questa che raggiunge lentamente l’età adulta e vanta la probabile durata di vita più estesa per un rettile di grandezza rilevante, giungendo a costituire un vero e proprio sinonimo di longevità animale. Purché uno dei molti pericoli che perseguitano la sua esistenza non riesca, in un modo o nell’altro, a compromettere il suo lungo viaggio su questa Terra…

Si è lungamente parlato, tanto per fare un paragone, del decesso avvenuto presso lo zoo australiano del compianto Steve Irwin nel 2006 della testuggine delle Galapagos Harriet, che si riteneva con i suoi 176 anni aver fatto parte temporaneamente dell’equipaggio della Beagle, la storica nave utilizzata durante i viaggi di ricerca del grande Charles Darwin. Ebbene nonostante l’innegabile longevità, essa non risulta detentrice di alcun record in materia, essendo questo già stato assegnato precedentemente all’ancor più notevole Tui Malila, una testuggine radiata famosamente regalata dall’esploratore James Cook alla famiglia reale delle isole di Tonga attorno al 1770. E che sarebbe vissuta fino al 1965, avendo raggiunto un gran totale di 188 anni. Abbastanza da veder nascere, crescere ed infine collassare l’impero britannico, rendendo il corso della storia non più meramente prevedibile mediante l’arte ormai desueta della piromanzia, bensì effettivamente recuperabile mediante l’ipotetica memoria di colui o colei che l’aveva vissuta in prima persona, ed in un certo senso sopportata, sulla solida scorza del suo guscio gibboso.
Come molte dei suoi simili anche in natura, sempre che la mano umana non fosse intercorsa ad interrompere il corso placido della sua lungimirante esistenza. Se lasciata a se stessa in natura ed entro i confini di quel territorio un tempo incontaminato, prima che l’incendio con finalità agricola e l’estendersi dei pascoli compromettesse l’idillio millenario, la t. radiata può d’altronde sopravvivere serena in sostanziale assenza di predatori maggiori, e con la facilità di procacciarsi le sue fonti di cibo erbivore tra cui preferisce in modo particolare le foglie del cactus opuntia, ricche di proteine e dal basso contenuto di fibre. Con una maturità sessuale che per i maschi può richiedere anche i 15 anni, la testuggine va istintivamente in cerca di una partner mediante l’utilizzo dell’olfatto all’inizio della fase femminile riproduttiva. Al che segue un processo di accoppiamento particolarmente rumoroso e complesso, durante cui l’approccio irruento ed i ripetuti urti messi in atto dal fornitore di materiale genetico possono effettivamente ferire la controparte, ragion per cui nei molti santuari e bioparchi si prevede una stretta supervisione dell’amplesso da parte di un tutore umano. Ammesso e non concesso che la riproduzione in cattività avvenga all’interno di un ambiente responsabile, piuttosto che una delle molte fattorie totalmente abusive presenti in patria e all’estero, di cui si sente occasionalmente parlare sulle testate dedicate ai diritti degli animali, come luoghi di sfruttamento privi di alcun senso etico o controllo ragionevole delle disastrate condizioni di mantenimento.

Un triste capitolo in effetti, quello che la t. radiata sta vivendo nel corso degli ultimi decenni, laddove tradizionalmente i popoli coabitanti dei Mahafaly ed Antandroy avevano mantenuto il divieto per ragioni religiose di toccare o catturare l’animale, garantendo una continuativa sopravvivenza nel tempo. Ciò almeno finché la riduzione dell’habitat, e l’arrivo sul territorio di altre etnie privi di simili prerogative culturali, non avrebbero portato alla situazione in essere vigente. In cui neppure il possesso di un disegno eccezionalmente stravagante o memorabile, può salvare le deambulanti opere d’arte frutto delle imperscrutabili perequazioni quasi-artistiche della progressione evolutiva terrestre. E per fortuna che almeno, in questi luoghi situati all’altro lato dei continenti, a nessuno sia venuto in mente d’impiegarne il guscio per tentare di conoscere il suo domani!

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