Linea di confine saudita sul progetto per la salvaguardia della zebra uniforme

Lo slittamento semantico dei termini può talvolta portare a imprevedibili fraintendimenti. Nelle traduzioni dei testi classici della cultura persiana, ad esempio, i primi orientalisti furono perplessi dall’identificazione e traduzione del termine gur (گور) usato ancora oggi in Iran al fine di riferirsi a due equidi oggettivamente piuttosto diversi: in primo luogo l’intero sottogenere Hippotigris, com’era stato riservato nel 1841 da Hamilton-Smith all’erbivoro perissodattilo africano, dalle caratteristiche strisce bianche e nere la cui presenza colpisce ancora oggi la fantasia creativa degli scienziati. E secondariamente, una creatura esclusivamente diffusa in Asia, senz’altro più simile agli asini o somari nostrani (sottogen. Asinus) ma che da un punto di vista meramente descrittivo poteva condividere con i striati cugini e soprattutto la zebra di Grévy (Equus grevyi) più di qualche mera caratteristica superficiale: il corpo compatto, le orecchie arrotondate, il muso lungo, le zampe relativamente corte. Ma non la livrea, immediatamente riconoscibile per un delicato color marrone sul dorso, tendente a sfumare sul bianco crema in posizione ventrale. Un’esempio da manuale offerto dalla natura della legge di Thayer o controilluminazione con finalità mimetiche di sopravvivenza. Ciò benché l’onagro delle pianure, scientificamente Equus hemionus onager, vanti la strategia difensiva fondata primariamente sul movimento erratico e la rapidità della corsa, due doti comuni agli equini che gli hanno permesso di sopravvivere indisturbato fin dai tempi remoti delle sue prime attestazioni evolutive. Ma non successivamente, purtroppo, all’attività di caccia di caccia e cattura sistematica messa in atto all’inizio del secolo scorso dall’uomo. È frequentemente portato come esempio, a tal fine, degli effetti che simili prassi possono arrecare alla salute di una specie originariamente prospera, il caso drammatico dell’onagro siriano (E. h. hemippus) creatura molto simile scomparsa circa un centinaio di anni prima della data odierna, così come lo stesso animale in oggetto vide la propria popolazione ridursi in maniera drastica fino al bilico dell’estinzione. La situazione in seguito, grazie a diversi programmi di riproduzione e reintroduzione internazionale condotti a partire dal 1950 avrebbe individuato dei sensibili margini di miglioramento, benché allo stato dei fatti attuali, questo resti uno degli equidi più rari al mondo, con un massimo stimato di appena 600 esemplari presenti allo stato brado. Ecco perché costituisce una notizia estremamente positiva la laboriosa introduzione, messa in atto a partire dall’aprile del 2024, di un branco autonomo fortemente voluta dagli amministratori sauditi della Riserva Naturale del Principe Mohammed bin Salman, vasto territorio di 24.500 Km situato su una lunga striscia adiacente alle coste del Mar Rosso. La creazione, si spera, di un’importante zona protetta per questo esponente notevole del patrimonio di biodiversità d’Asia e del mondo…

Ecologicamente parlando, dunque, l’onagro persiano è un tipo di asino selvatico incline a formare piccoli branchi vagabondi (esattamente come la zebra di Grévy) che vanno in cerca di fonti di cibo vegetali tra le steppe montane, i semi-deserti e le pianure aride del Medioriente. Gregari ma al tempo stesso territoriali, con gli stalloni capaci di controllare un territorio di fino a 9 Km quadrati che difendono ostinatamente, attaccando anche i loro nemici naturali, come la iena ed il giaguaro. Una prerogativa d’altra parte ottenuta tramite la pratica dimostrazione di un possesso di forza superiore rispetto ai co-specifici, nelle frequenti battaglie condotte per ottenere il diritto all’accoppiamento. Con l’età di accoppiamento raggiunta verso i quattro anni di vita, le femmine degli onagri necessitano quindi di un periodo di gestazione pari a 11 mesi, seguìti da un parto eccezionalmente rapido che vede il piccolo messo al mondo nel giro di soli 10 minuti. Che potrà reggersi in piedi e prendere i latte entro i successivi 20. E correre via veloce, nel caso se ne presentasse la necessità, prima del termine di una singola ora. Difficili, se non impossibili da domare esattamente come le zebre, questi animali furono storicamente invisi ai loro vicini umani, che già dai tempi del Mondo Antico erano soliti considerarli più che altro dei problemi per la pratica dell’agricoltura, nonché bersagli idonei alla caccia sistematica per l’ottenimento di carne e pelli, sebbene si ritenga che alcune pitture sumere del 2600 a.C. ritraessero l’impiego con finalità di traino di un carretto dei cosiddetti kunga, un ibrido artificialmente creato tra l’asino europeo e l’onagro d’Asia. Un quadro all’interno del quale iniziative di protezione come quella messa in atto dal governo saudita rappresentano un’importante opportunità di rivalsa, potenzialmente utile alla creazione di ambasciatori della specie che molto potrebbero fare per l’accettazione corrente delle varietà simili disseminate nell’areale storico che costituiva un tempo il loro territorio non disputato. Mentre le cose cambiano, raramente in meglio, ed onagri troppo diffusi per possedere norme legali esplicitamente atte alla loro protezione, come il kulan mongolo e turkmeno appaiono oggi come il soggetto di una persecuzione priva di alcun criterio condivisibile, tratteggiando orizzonti di una continuativa riduzione nel tempo.
Laddove la conservazione in Iran, se non altro, vanga una lunga storia incoraggiata dall’introduzione di vecchia data nell’indice internazionale dello IUCN che ad oggi inserisce questo equide nella categoria NT (quasi-a-rischio) incrementando esponenzialmente l’interesse scientifico alla sua necessaria, urgente protezione. Così come dimostrato anche in televisione già verso la metà degli anni ’60, con l’episodio incluso a seguire della serie di documentari statunitensi Wild Kingdom (Mutual of Omaha) in cui l’avventuroso naturalista e conduttore Marlin Perkins si recava nei territori aridi adiacenti alla città di Teheran, con l’obiettivo benefico di catturare e spostare una certa quantità di onagri in zone maggiormente fertili ove questi potessero prosperare in pace e serenità. Missione tutt’altro che semplice, vista l’eccezionale sveltezza e scaltrezza di simili creature, tutt’altro che inclini a semplificare la vita dei loro inseguitori.

Molti sono i danni arrecati, nel corso dell’ultimo secolo, dall’avanzata imprescindibile della modernità. Laddove quasi altrettante risultano essere le opportunità di riscosse offerte, a più riprese, da coloro che più di ogni altri seppero comprendere il valore di quanto stavamo, per incuria o malignità, relegando in secondo piano nella conservazione dello status quo. Che non è soltanto, né soprattutto economico; poiché la biodiversità naturale può essere ignorata per lungo tempo ma in ultima analisi, è una condizione necessaria alla conservazione dei privilegi acquisiti attraverso millenni di storia della collettività indivisa. Ed è per questo che l’elaborazione di categorie oggettive risulta essere, nella creazione dei cataloghi, così importante. Mentre una zebra che abbia o meno le strisce merita di costituire, in ultima analisi, ben più che la versione quadrupede di un attraversamento pedonale.

Lascia un commento