Nove spettri di luce che troneggiano sui pescherecci della baia di Hakodate

Nel 2016 dopo lunghe teorie e speculazioni, la misteriosa compagnia fondata dal creatore di videogame Hideo Kojima rilasciò l’atteso trailer del suo primo titolo, Death Stranding. Misteriosa come al solito, impeccabile dal punto di vista tecnologico, la sequenza mostrava una versione digitalizzata dell’attore americano Norman Reedus, che svegliandosi sul bagnasciuga scrutava all’orizzonte cinque figure antropomorfe geometricamente equidistanti, sospese in aria come altrettanti oscuri presagi di disgrazie future. Immagine immediatamente iconica e, tralasciando l’assenza di un preciso simbolismo così come spesso avviene nella creatività Pop contemporanea, degna di restare impressa in un settore come quello dell’intrattenimento contemporaneo, dove spesso ciò che vedi è una mera riproposizione di stereotipici modelli ripetuti pressoché all’infinito. Ma siamo sicuri che l’aspetto generale di una tale scena, in fin dei conti, fosse una creazione totalmente originale dell’autore? Un fenomeno esteriormente riconducibile all’aspetto generale in questione, dopo tutto, è largamente noto ad un determinato ambito del Giappone costiero. Ove prende il nome niente affatto casuale di isaribi kochu (漁火光柱 – pilastri di luce che attraggono i pesci) maggiormente riconducibile all’origine pragmatica della sua esistenza, piuttosto che a ideali figure mitologiche connesse ai suoi trascorsi tradizionali. Questo perché il palesarsi fluttuante di siffatte proiezioni perpendicolari, lungi dall’essere una mera conseguenza delle condizioni metereologiche, sfrutta la connotazione largamente antropogenica di un fattore tecnologico esterno, non così diverso almeno concettualmente dalle lampade situate ai bordi di un moderno schermo a LED.
Gli ultimi a parlarne, e con fenomenale risonanza mediatica grazie al megafono internazionale di Internet, sono stati gli abitanti della città costiera di Hakodate in Hokkaido, noto punto d’approdo dei commerci provenienti dalle fredde acque del Mar della Cina. Nonché sito in grado di beneficiare di una fiorente industria della pesca, un fattore che risulta inerentemente collegato alla questione in oggetto. “Mentre portavo serenamente a spasso il cane” racconta l’utente di YouTube Golden Boy Jim nel 10 maggio del 2021: “Il cielo è stato come diviso, dall’improvvisa comparsa di quello che pareva l’effetto di un Angelo luminoso. Ahah” (il riferimento, prevedibilmente, non è alla religione cristiana bensì il cartone animato robotico Evangelion, altro celebre prodotto post-moderno del Sol Levante.” Innumerevoli altri hanno seguito il suo esempio e simili metafore atte a descrivere l’episodio, fino alla creazione di un consenso secondo qui qualcosa di straordinario doveva essere occorso in quel preciso momento, pur essendo tutt’altro che inaudito. Esperienze simili erano state commentate in effetti nel braccio di mare antistante la città di Tottori, capoluogo della regione di Chūgoku, per non parlare dell’isola coreana meridionale di Jeju, un altro luogo celebre per la pescosità delle proprie acque piene di vita. Alcuni avrebbero citato, prevedibilmente, gli UFO. Ma la spiegazione, in ultima analisi, si sarebbe rivelata ben più semplice di così…

Come desumibile dall’appellativo isaribi kochu, i pilastri di luce costituiscono un polo degno d’interesse per la popolazione ittica ed i gamberi di queste acque, ma non per l’automatica espressione della fototassi o ricerca di uno scintillio alla base del comportamento notturno di tanti animali appartenenti a tale schiatta bensì l’effettivo intento di cattura messo in atto dai praticanti della pesca oceanica, grazie all’impiego di potenti lampade elettriche a bordo delle loro capienti imbarcazioni. L’approccio sistematico che, pur essendo utilizzato in molte altre località del mondo, soltanto qui sembra produrre la pletora di misteriose luci verticali notturne, perché? La ragione va cercata nella tempesta perfetta di una specifica convergenza di condizioni atmosferiche, garantite dalla ben nota umidità notturna di questo mare d’Oriente. Fatto largamente noto è l’eccezionale quantità di neve che cade in inverno in buona parte del Giappone settentrionale e particolarmente in Hokkaido, un effetto dell’accumulo dell’alto livello di umidità proveniente dal continente eurasiatico, successivamente spinto dai fronti di alta pressione sopra le terre abitate dell’arcipelago patria dei samurai. Lo stesso fattore alla base dell’accumulo di particelle di ghiaccio riflettenti a media e bassa quota, capaci di catturare e rispedire al mittente la luce dei pescherecci in questione, proiettata in questo modo verticalmente a una distanza che può definirsi intermedia tra la posizione della barca e l’osservatore. Una sostanziale manifestazione, volendo attribuirgli un nome, del principio della fisica noto come scattering (sparpagliamento) di Tyndall, dal nome del suo scopritore che nel 1860 annotò il modo in cui immettendo del fumo in un tubo di vetro illuminato con della luce bianca, il bagliore ai lati appariva bluastro, mentre quello all’atro lato di un accesa tonalità vermiglia. Così come le luci di posizione delle motociclette a due tempi, filtrando attraverso la foschia emessa dai loro gas di scarico, sembravano sempre caratterizzate da un tenore ceruleo latente.
Spiegato il mistero, d’altra parte, l’immagine in quanto tale non sembrava in alcun modo privata del suo fascino ancestrale e profondo. Nella terra particolarmente tradizionalista del Giappone, d’altro canto, l’idea che entità soprannaturali potessero manifestarsi attraverso misteriosi bagliori notturni è una questione con una storia pluri-secolare attestata in innumerevoli racconti folkloristici e letterari. Vedi lo Shiranui (不知火) come manifestazione del Re dei Draghi, leggendario spettro ardente del mare di Ariake; o il Kitsunebi (狐火) di Okinawa e Nagano, offerto dalla dea Inari protettrice delle volpi, come presagio di un buon raccolto futuro; e ancora le plurime attestazioni di onibi ed hitodama, due versioni locali del concetto di fuoco fatuo, spirito dei morti reso visibile grazie all’effetto teorico dei gas di decomposizione all’interno dei cimiteri.

Un ricco repertorio all’interno del quale l’isaribi kochu appare particolarmente scevro di elementi inspiegabili, soprattutto grazie alla sua prima catalogazione avvenuta in epoca contemporanea. Né sarebbe risultato di per se inerentemente complesso, nell’antichità, metterlo direttamente in relazione con le barche dalla collocazione prospetticamente corrispondente presso la linea dell’orizzonte marino. Eppure sarebbe difficile non riconoscersi nelle parole di Golden Boy, il quale afferma: “Trattandosi di un fenomeno che risulta visibile soltanto una volta ogni diversi anni, spero che molti siano riusciti a vederlo. E che abbia suscitato in loro, come nel sottoscritto, una rinnovata passione per l’osservazione dei cieli.” Giacché alcuna esperienza risulta essere maggiormente preziosa, di quella che incoraggia nuove prospettive ed opportunità di approfondimento. Questa è la preziosa propensione dell’implicita ed irriducibile curiosità umana. E l’obiettivo perseguito tanto efficacemente dalle innumerevoli declinazioni delle opere d’ingegno dei nostri giorni. Per lo meno quando queste rappresentano la conseguenza di un’effettiva mente pensante, piuttosto che il prodotto senz’anima di un comitato interessato ai guadagni. Pescatore di cervelli, e al tempo stesso delle anime, di chi potrebbe aspirare a ben più meritevoli passatempi.

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