“Essere o non essere, quack-sto è il problema” Un’oca. Sulle spiagge dell’isola di Cape Barren, lungo la costa orientale tasmaniana, un gruppo di grossi uccelli grigi si aggirano alla ricerca di piccoli ciuffi verdi tra gli strati di sabbia smossa. Il collo lungo, le zampe palmate, le grandi ali ricoperte di ordinate macchie di tonalità più scura; tutto, in loro, suggerisce l’idea di un anseriforme, la stessa famiglia tassonomica di uccelli simili diffusa nella maggior parte dei continenti. Informazione formalmente vera, benché a conti fatti nessuno sembrerebbe averlo reso noto ai piumosi abitanti di questi luoghi. Che non si avvicinano neppure al bagnasciuga, non cercano le alghe, non fanno insomma nulla di quanto ci si aspetterebbe dalla loro specifica conformazione fisica e predisposizione genetica ereditaria. Questo poiché la Cereopsis novaehollandiae, con una popolazione complessiva di appena 11.000-12.000 esemplari esclusivamente distribuiti in questa terra emersa e alcune piccole isole antistanti, oltre all’intera parte meridionale degli stati australiani, rappresenta il raro caso dell’evoluzione che per fare fronte a situazioni atipiche, parrebbe aver imboccato un’improvvisa via periferica dal corso principale degli eventi. Nicchie specifiche di ambienti chiaramente definiti: c’è moltissimo che può avvenire, nel corso di qualche pregresso millennio, al palesarsi di fenotipi e caratteristiche degne di una voce diversa sull’enciclopedia. Chiedetelo, volendo, a loro stesse. Che da un becco bitorzoluto dall’atipica tonalità verdognola (la lingua pare un piccolo serpente) vi risponderanno usando un verso stranamente fuori dal contesto, come un doppio grugnito alto e basso, simile a quello del maiale. Poiché il modo d’esprimersi, è cosa nota, rappresenta il primo segno di essere in un territorio nuovo.
Gradualmente, avvicinandovi, inizierete quindi a fare la loro conoscenza. Non in modo così cordiale, s’intende: l’oca di Capo Barren, come in effetti non pochi altri rappresentanti di questa tipologia d’uccelli, vanta un atteggiamento alquanto scontroso soprattutto quando necessita di fare la guardia ai propri piccoli, fino a quattro graziosi piumini a strisce bianche e nere che tra luglio e settembre diventeranno una presenza immancabile al seguito della coppia monogama genitoriale. Ma nel loro specifico caso, possono fare affidamento su un’arma incorporata decisamente particolare: la coppia di protrusioni ossee situate nel punto mediano delle ali, funzionalmente non dissimili da un tirapugni in uso nelle gang di strada. Guai, dunque, a chi rendesse manifesto l’apparente intento di avventurarsi nel loro territorio…
Animali socievoli ed intelligenti, le oche in questione rappresentano un’importante risorsa per Cape Barren, anche e soprattutto in qualità di attrazione turistica. Siamo del resto al cospetto della singola specie di oche più rara al mondo, sebbene gli indici internazionali non la considerino a rischio, causa il trend stabile della sua popolazione e l’esistenza indipendente di due popolazioni distinte, quella della sottospecie C. N. Novaehollandiae propriamente detta e la C. N. Grisea, attestata unicamente nell’arcipelago di Recherche e l’Australia Occidentale, ma in quantità molto minore. La diffusione territoriale di queste creature, inoltre, può beneficare di un’ulteriore dote molto utile, relativa alla capacità di filtrare naturalmente l’acqua lievemente salmastra. Prerogativa che permette loro d’insediarsi anche in terre di ben poco valore per i loro vicini umani, sottraendosi così all’inevitabile e progressiva riduzione degli spazi vitali. Il che non può precludere, d’altronde, il lungo periodo di pericolo che ha pesato sulla sopravvivenza di questa specie a partire dagli anni ’50 del Novecento, quando le abitudini acquisite dalle oche in questioni di cercare nutrimento nei terreni agricoli di proprietà umana aveva portato all’ostracizzazione e successiva dipartita sistematica delle loro famiglie. Se non che la valida capacità di adattamento, assieme alla lunga dedizione e partecipazione di numerose squadre di volontari, avrebbe in seguito portato al trasferimento degli uccelli in luoghi più sicuri, con conseguente ritorno ad una quantità d’individui soddisfacente.
Il che costituisce un esempio di missione portata a compimento per il sempre arduo intento di salvaguardare la biodiversità terrestre di un territorio “nuovo” come l’Australia, ove la classificazione di quest’animale sarebbe stata intrapresa per la prima volta soltanto nel 1801, dando inizio ad un progressivo degrado che sembrò irrecuperabile per un numero importante di generazioni.
Ed è una vera fortuna, poiché osservare a distanza rispettosa il comportamento delle oche di Capo Barren ha molti spunti di profonda introspezione e comprensione del mondo. Dal momento in cui il maschio vola elegantemente attorno alla partner oggetto di corteggiamento, emettendo il richiamo ritmico a cui lei risponde con i cadenzati e ripetuti grugniti; al modo in cui i due, uniti per la vita, proteggeranno attentamente i piccoli, giungendo persino a gettarsi in acqua per riportarli a riva, qualora rischino improvvisamente l’annegamento. Un evento la cui reiterazione frequente sembrerebbe motivare, almeno in parte, l’atteggiamento diffidente di tali pennuti nei confronti della risacca oceanica antistante.
E dopo tutto, un canarino sarebbe ancora tale se presentasse un’altra forma, verso e colore? Ai posteri l’ardua sentenza. Mere tautologie che non risolvono il problema di fondo; che ogni classificazione messa in opera dall’uomo costituisce, in ultima analisi, nient’altro che un tentativo di corroborare e intrappolare il mondo. Ma la natura può produrre, nelle giuste circostanze, ogni possibile derivazione dei remoti presupposti ereditati dai moderni. Siano questi bipedi, dotati di soffici piume o costruttori di astronavi verso luoghi o pianeti distanti. Di cui il più prossimo è senz’altro il continente meridionale d’Oceania. Dove le oche grugniscono. E ci tengono a restare asciutte, salvo sgradevoli quanto purtroppo inevitabili situazioni d’emergenza.