L’intuito e il metodo scientifico sono da sempre in agguerrita contrapposizione, nelle procedure che derivano dalla scoperta ed individuazione di un contesto per le grandi opere pregresse dell’uomo. Così trovarsi innanzi ad un massiccio monumento, infuso di sapienza ingegneristica e dotato di caratteristiche di pura ed assoluta distinzione, genera un profondo sentimento in chi è implicitamente predisposto a formularne un’interpretazione, utile a comprendere perché qualcuno abbia tracciato un simile progetto, inducendo ignote collettività a costruirlo. Il che genera in maniera inevitabile, sul presentarsi di determinate condizioni, la problematica seguente: se l’eclettismo è una fondamentale qualità di molti, può succedere che indizi e situazioni possano riuscire a trarre in inganno. Qualcosa di assoluto e inamovibile, qualora riesca a palesarsi, diviene in modo pressoché immediato una “presenza” e tale resta finché il tempo non riduce in polvere le sue possenti mura. Ma una pietra, o centinaia di esse, nascono per forza nel remoto tempo dell’inconoscibile Preistoria. È dove sono state successivamente posizionate, che tende in genere a fare la differenza!
Uno dei più atipici, ed avventurosi archeologi del Novecento è stato Thor Heyerdahl, convinto sostenitore dell’ipotesi che gli antichi popoli fossero capaci di attraversare gli oceani con imbarcazioni o tecnologie soltanto in apparenza rudimentali. A tal punto, in effetti, da rischiare la propria stessa incolumità un gran totale di tre volte nel corso degli anni ’70, affrontando l’Atlantico a bordo delle due navi egizie ricostruite in legno di papiro Ra e Ra II seguite dalla Tigris, creata con materiali simili ma in base a metodi caratteristici dell’antica Mesopotamia. Una vita tra le onde che in adiacenti peregrinazioni l’avrebbe in seguito portato ad approdare presso l’isola di Tenerife, la maggiore delle Canarie situate a largo del territorio nordafricano, ove avrebbe scorto un qualcosa destinato a rimanere indissolubilmente collegato al suo nome. Era il 1991 dunque quando, riallacciandosi al discorso precedente degli astronomi Aparicio, Belmonte ed Esteban affermò che tale complesso di edifici dovesse risalire ad epoche fantasticamente remote, che lo avevano sfruttato al fine di osservare il movimento degli astri e programmare i propri rituali collegati al raccolto. Sei piramidi rettangolari a gradoni costruite a secco sulla piana di Güímar, con pietre naturali incastrate assieme ad altre intagliate dell’altezza massima di 12 metri. Una fedele ricostruzione, in effetti, delle ben più celebri e imponenti strutture della civiltà Maya, sostenendo ulteriormente l’ipotesi già paventata da Heyerdahl, secondo cui gli Egizi avessero colonizzato precedentemente l’America Pre-Colombiana. Lasciando i chiari segni del proprio passaggio in luoghi come questi, e molti altri ancora. Da ciò sarebbe derivata, molto prevedibilmente, una fama senza precedenti per il sito, abbastanza da motivare la costruzione di un museo annesso, sostenuto ed allestito dallo stesso archeologo norvegese, concepito al fine d’illustrare le sue celebri teorie al mondo. In breve tempo, tuttavia, l’improvvisa attenzione accademica suscitata per le misteriose piramidi avrebbe portato a conseguenze inaspettate…
Era il 1998 dunque quando uno studio quasi decennale condotto da rappresentanti dell’Università di La Laguna di Tenerife, avrebbe finalmente dato i suoi frutti permettendo la pubblicazione dei dati raccolti. Consistenti di un’accurata stratigrafia del sostrato in un’area di 25 metri quadri attorno a ciascuna piramide, fino al sottosuolo vulcanico che caratterizza geologicamente l’intero territorio delle Canarie. Il che avrebbe individuato, nell’ordine: un primo livello fino alla profondità di 20 cm, consistente di humus e vecchie radici non più antico del ventesimo secolo; una zona intermedia con materiali simili ma inframezzati da una maggiore quantità di pietre, oltre ad occasionali reperti archeologici non troppo antichi, tra cui un sigillo del 1848; ed infine, sotto il metro e mezzo dalla superficie, per lo più residui lavici, rocce solidificate con l’occasionale presenza di frammenti di ceramica risalenti al massimo al XIX secolo. Una grotta sotterranea, completamente sigillata e risalente alla civiltà Guanche situata attorno all’anno Mille, sarebbe stata inoltre accidentalmente scoperta nei pressi di una piramide, pur senza indizi che potessero efficacemente collegare le due opere di tipo assolutamente non coéve. La conclusione, basata su metodi oggettivi e perciò molto difficili da confutare, sembrava confermare dunque che le strutture in questioni avessero un’origine tutt’altro che remota dal principio dell’Era Moderna. Il che non avrebbe comprensibilmente scoraggiato l’entusiastico Heyerdahl, né ridotto la popolarità internazionale dell’eponimo complesso museale, arricchitosi nel frattempo di un orto botanico e giardino delle piante velenose importate da tutto il mondo. Dopo tutto, nessun abitante dell’isola ricordava la costruzione intercorsa dei ponderosi edifici, e ciò sarebbe dovuto succedere senz’altro se essi avessero vantato una datazione misurabile in decenni, piuttosto che secoli. Giusto? La realtà è che nulla è certo in campo archeologico, persino quando si dispone di multiple fonti scritte che si confermano a vicenda. E non è certamente questo il caso di Güímar.
Ma possiamo sempre usare la strategia dell’inferenza. Trarre conclusioni sulla base di presupposti simili, adattandoli alla situazione di cui siamo testimoni presenti. Navigando infatti attorno all’Africa, come avevano fatto i Fenici ed ancor prima, presumibilmente, i misteriosi Popoli del Mare provenienti da Oriente, ci s’imbatte ad un certo punto in un altro arcipelago, quello dominato dalle terre emerse dell’isola di Mauritius e la vicina Reunion, che prende collettivamente il nome di Mascarene. Qui, presso un appezzamento noto come Plaine Magnien non lontano dal principale aeroporto mauritiano, campeggiano ulteriori sette piramidi in pietra basaltica, la più alta delle quali raggiunge i 20 metri. E la cui fattura, a colpo d’occhio, risulta sostanzialmente indistinguibile da quelle di Tenerife. Senza il passaggio pregresso di un celebre studioso, tuttavia, la situazione appare paradossalmente molto più chiara. E tralasciando i soliti teorici del complotto ed appassionati di alieni, che in queste casistiche non mancano mai di dire la propria, le strutture appaiono direttamente collegate alla memoria orale di diverse famiglie, le quali raccontano di come i contadini ed operai delle coltivazioni di canna di zucchero, che giunsero a dominare il territorio al principio del XIX secolo, si fossero trovati innanzi alla necessità logistica di rimuovere una grande quantità di pietre dalle zone coltivabili adiacenti. Il che avrebbe portato, in base alla narrazione aneddotica di quel periodo, ad una sorta di competizione su quale villaggio fosse in grado d’impiegare quel materiale in modo maggiormente creativo, destinata a sfociare nell’edificazione delle strutture che possiamo vedere ancora oggi campeggiare nella vasta pianura. “Ma se davvero le piramidi di Plaine Magnien sono così recenti” obiettano da tempo i principali sostenitori del turismo locale “Come possiamo spiegare la presenza di cartelli esplicativi risalenti in certi casi ai primi del Novecento, in cui veniva spiegata la loro presunta antichità e collegamento a misteriose civiltà perdute?” Ecco…
Il punto, in ultima analisi, è piuttosto chiaro. Per alcuni la costituzione di un legame speciale col passato è la funzionale equivalenza di uno stato di meditazione spirituale, capace di accrescere le proprie cognizioni ed ampliare gli automatismi di comprensione psichica dell’Universo. Il che risulta utile in molte diverse circostanze, sia pratiche che letterarie, benché l’applicazione di un metodo scientificamente rigoroso possa condurre in molti casi a conclusioni diametralmente opposte.
Che le piramidi di Tenerife o Mauritius siano veramente risalenti all’epoca del nostro Mondo Antico, in ultima analisi, è davvero così importante? Dapprima esse non c’erano. Adesso ci sono. Qualcuno, in qualche momento non meglio definito, POTREBBE aver copiato i Maya e/o gli Egizi. L’eventuale conferma di chi realmente fosse costui dovrà, come spesso capita, venire individuata altrove. Sempre che sia possibile riuscire davvero a compiere in modo soddisfacente una simile, complicata impresa.