L’annichilente, deflagrante ma non troppo pratico cannone al plasma del Dr. Leyh

Il fulmine, l’esplosione, le fiamme. Uno scatto rapido in avanti, delle 30 canne in configurazione circolare. Temetemi, sfuggitemi, tremate innanzi a questa splendida maestà. “Poiché [invero] sono diventato Morte, il distruttore dei mondi.” Verso religioso, massima induista, reazione del famoso fisico della seconda guerra mondiale. Slogan cinematografico di altissimo profilo. Mai parole furono percepite come più versatili, nel vocabolario citazionistico statunitense, né altrettanto ripetute, come fossero napoleonica celebrazione del proprio regale copricapo ricevuto dal Divino tra le vaste navate del duomo di Milano. Ma pinnacoli di un altro tipo, non meno lucenti, campeggiano nella visione ultra-napoleonica e i traguardi di Greg Leyh alias Lighting on Demand (“Fulmine a comando! Ultima ratio regum!“) il tipo di creativo che possiede poco più di ventimila follower su YouTube, per cui posta in modo ricorrente contenuti che potremmo definire, senza offrire il fianco alla confutazione, come unici su Internet e nel mondo. Ciò a causa e nella nella misura in cui questo moderno ingegnere elettrico nonché inventore, le cui qualifiche accademiche persistono avvolte da un soffuso alone di mistero, mantiene la sua pluri-decennale relazione con le idee, la vita e le opere del semi-mitico scienziato croato-statunitense Nikola Tesla (1856-1943) da lui imitate e analizzate in modo approfondito più volte, senza disdegnare in più occasioni la realizzazione di un qualcosa di profondamente Suo, proprio perché privo d’ispirazioni latenti. Vedi ò’ultimo esempio in ordine di pubblicazione sul canale, pur avendo una storia pregressa risalente ad oltre un ventennio a questa parte, quando un prototipo era stato costruito per il roadshow itinerante del Survival Research Laboratory: un’arma. Ma funzionante nello specifico grazie all’applicazione di un principio ancor più terribile ed impressionante delle tecnologie da campo schierate dagli eserciti di ogni parte del mondo, tramite l’impiego lungamente atteso di materiali e componenti all’epoca non ancora sul mercato, ma oggi facilmente (?) acquistabili online. Allorché alla pressione del tasto di fuoco il cosiddetto cannone di Lorentz, senza suoni particolarmente significativi funzionando grazie all’energia pneumatica, scaglia innanzi un sabot di alluminio, che fa da guida per l’estendersi di un lungo filo. Che persiste nelle proprie vibrazioni una frazione di secondo ancora, finché all’impatto col bersaglio, esso diverrà il binario momentaneo di un flusso di corrente superiore agli 800.000 volts, sufficiente a garantirne l’istantanea vaporizzazione. Assieme, s’intende, a (quasi) qualsiasi cosa dovesse trovarsi nelle immediate vicinanze di quel punto d’interesse finale…

A questo punto, sembrerebbe ragionevole pensare di trovarci innanzi ad uno strumento bellico dai molti impieghi significativi. Finché non si nota l’alta torre di condensatori ad alto potenziale, che fungono da base alla pseudo-minigun in questione, la cui carica elettrica deve aver richiesto molte ore ed un assorbimento di corrente pari a quello di una buona metà di un quartiere cittadino. Tanto che l’uso sul campo di un simile approccio alla devastazione, persino a bordo di un vascello da guerra, richiederebbe spazio per le batterie ed un modo per ricaricarle totalmente fuori dalle funzionalità logistiche del mondo militare, ancora suo malgrado condizionato da cause ed effetti strettamente interconnessi tra loro. Non che d’altra parte ciò rientrasse nell’idea e lo scopo originario del suo creatore, in questo e molti altri casi interessato soprattutto ad imbrigliare il fulmine, qui grazie a quello stesso flusso di gas ionizzato teorizzato dall’eponimo fisico olandese Hendrik Lorentz (1853-1928) ricreato tramite la vaporizzazione sufficientemente rapida di quel cavo, tanto aggressivamente condotto ad impattare il centro esatto di un vulnerabile punto d’arrivo. Benché con efficienza commisurata, s’intende, a quello che potremmo essenzialmente definire come un taser sovradimensionato, dotato dei limiti inerenti di tale approccio, utile più che altro alla difesa a corto raggio. Inutile a devastare più di tanto, contrariamente a quanto avrebbe potuto farci credere l’istinto, il cartello di cartone usato inizialmente come bersaglio dal suo inventore. Non che l’efficacia nel test finale, condotto all’indirizzo di un vecchio televisore a LED, manchi di offrire un’efficace prospettiva sull’effetto che armi simili potrebbero avere, in un futuro ipotetico, come sistemi utili a disturbare o compromettere l’elettronica impiegata dalle forze nemiche.
Il che figurava d’altro campo sempre ai margini, ma mai troppo lontano, dalle opere pregresse dello stesso Tesla, così frequentemente venerato e forse non altrettanto compreso dai seguaci della vigente contro-cultura tecnologica. Creazioni come la sua famosa bobina dalle proporzioni architettoniche e un’altezza di 57 metri, costruita a Long Island sul terreno dell’avvocato James S. Warden, che lo stesso Greg Leyh ha cercato cerca di ricostruire da tempo in configurazione accoppiata in grado di raggiungerne 36, di nuovo allo scopo di creare un arco elettrico paragonabile all’energia esplosiva del più terrificante, nonché impressionante dei fenomeni atmosferici. Fulmine di cui è riuscito nonostante tutto a fare, attraverso innumerevoli opere pregresse, il punto cardine della questione: “È assurdo pensare quanto poco sappiamo, persino adesso, sulla maniera in cui si forma e scarica l’immenso potenziale elettrico del cielo terrestre.” Dichiarava in un’intervista per la Maker Fair del 2017. Un altro evento affine alle dimostrazioni scientifiche di un tempo, presso cui l’esperto ingegnere ha messo in mostra alcune delle sue creazioni maggiormente interessanti, successivamente allo “sfratto” subìto anni fa dal suo laboratorio sulla East Bay losangelina entro l’area della dismessa acciaieria American Steel. Soluzioni alternative come la bobina/torre Tesla semovente, modello in scala ridotta di quell’accoppiamento full-size che sogna un giorno di poter mettere a frutto, in grado di saturare l’aria circostante di energia elettrica, al punto da poter far muovere un piccolo triciclo personale del tipo originariamente prospettato, eppur mai costruito dal grande scienziato del secolo scorso. O ancora l’impressionante scultura in Nuova Zelanda dello scultore Eric Orr, Electrum capace di rappresentare con i suoi 11,5 metri la più grande bobina al mondo.

Per la maggiore gloria e comprensione di quel fulmine che rappresenta, in ogni condizione possibile a noi nota, l’espressione di un sopito potenziale la cui espressione pratica devasta, ma al tempo stesso riesce ad energizzare ogni creazione semovente della consapevolezza sul funzionamento dell’Universo assieme a tutto ciò che esso continua, ostinatamente, a contenere.
E se annientamento deve essere, prima che un qualcosa di utile possa sorgere di nuovo dalle ceneri dell’epoca, sia pure questo ben documentato a beneficio delle generazioni future. Finché l’ultimo impulso elettromagnetico, proveniente da esplosioni di astri lontani, non spenga definitivamente le sapienti macchine, diventate nel frattempo l’imprescindibile sinonimo della moderna civilizzazione.

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