L’utilizzo tattico delle strettoie può servire come linea divisoria tra l’opzione di condanna e un’opportunità di sopravvivere, unite e forti più che mai, all’assalto dell’ennesimo nemico della società Interna. Questo il credo reale e tale il compito affidato ripetutamente da colei che regna presso il centro della collettività indivisa, creando uova a profusione e grazie ad esse, un valido futuro per le suddite create con la sacrosanta programmazione di proteggere lei stessa e il mondo. Ma ci sono molti modi per servire l’idolo vivente: chi raccoglie, chi accudisce, chi cataloga risorse nei serbati luoghi occulti tra la grana più profonda dell’arbusto residenziale. E chi ne chiude, con la propria stessa testa, le rotonde vie d’accesso che non sono certo dei portoni. Bensì piccole botole con porte trappola, dove la trappola in questione, a ben guardare, è il cranio discoidale di una singola, zampettante creatura. Naturalmente non saresti incline a giudicare un pesce dalla sua capacità di correre. O una testuggine di terra per quanto riesce a volare. Laddove nel caso della formica-tartaruga, è del tutto ragionevole associarla al quadro architettonico che include cardini e maniglie, ovvero la varcata soglia che ogni giorno sorpassiamo molte volte, per entrare nelle abitazioni o stanze in cui portiamo a compimento i gesti dell’umana consuetudine civilizzata. Una porta può essere del resto molte cose. Proprio perché al tempo stesso, molte cose possono essere una porta, in una dimostrazione da manuale del metodo difensivo del nido, gergalmente noto nello studio degli artropodi come fragmosi.
Questa è la vicenda, già più volte ripetuta per il fascino che sembra caratterizzarla online, degli imenotteri arboricoli dell’area sub-tropicale del Nuovo Mondo, scientificamente appartenenti al genere Cephalotes. Già da lungo tempo noti per l’imponente dimensione e forma suggestiva dell’esoscheletro corrispondente alla parte frontale, destinato soltanto nel 2016 ad essere effettivamente sottoposto ad uno sguardo più approfondito. Da parte di Scott Powell del Dipartimento di Biologia della GW University di Washington D.C, il primo a notare formalmente il modo in cui le abitazioni comunemente occupate da imenotteri di tale classificazione, ricavate da perforazioni precedentemente opera di scarabei sotto lo scudo vegetale della corteccia, avessero varchi d’ingresso con la dimensione e forma esatta della testa di coloro che avevano il compito di sorvegliarle.
O forse sarebbe più corretto affermare… Il contrario? Grazie a incalcolabili millenni d’evoluzione, realizzando quella prassi che prevede la conservazione delle specie tramite fenotipi ben calibrati sul bisogno di far passare un blocco tondo, in un buco quadrato. O piuttosto come nel caso specifico, impedire al becco di un uccello di riuscire a fare lo stesso…
Le oltre 130 specie di formiche Cephalotes dunque, diffuse in Sudamerica, America Centrale, Messico e la parte meridionale degli Stati Uniti incluso il Texas e la florida, rappresentano un esempio di creature ragionevolmente diversificate ma istantaneamente riconoscibili da talune caratteristiche comuni. Con una dimensione media di ciascuna colonia attestata attorno ai 10.000 esemplari, ben divisi nelle tipiche caste degli insetti eusociali, esse vivono sugli alberi, nutrendosi primariamente di fonti di cibo vegetariane. Gli studi dello stesso Powell e colleghi, a tal proposito, hanno più volte dimostrato in laboratorio come pur potendo uccidere e consumare prede vive, tra cui afidi, mosche o falene, le loro piccole mandibole non siano propriamente modellate al fine di poterne catturare un esemplare in situazioni tipiche del mondo reale. Prerogativa interessante, posseduta dall’intero genere di queste creature e non solo, è l’appartenenza alla categoria delle formiche volanti, un gruppo che ha acquisito con la pratica pregressa la capacità di lanciarsi a corpo libero dai rami delle proprie residenze arboree, discendendo verso terra con il pieno controllo aerodinamico della traiettoria, che formando la figura di una lettera “J” le porta nuovamente a prendere contatto con il tronco, a una distanza media di 3-4 metri. Manovra utile, nello specifico, per muoversi rapidamente verso il basso, raggiungere le proprie colleghe o seminare lo sguardo temibile di un predatore della canopia.
Per tornare quindi al loro aspetto maggiormente caratterizzante, la testa sovradimensionata utile a colmare i celati punti d’ingresso, le nostre formiche-tartaruga, indipendentemente dalla specie, tendono a concentrare tale tratto in tre principali gruppi della discendenza genetica della loro sovrana: le guerriere/soldato (chiaramente), le lavoratrici “maggiori” e in taluni casi le gynes, una casta temporanea presente alla creazione di un nuovo formicaio, di formiche fertili che aiutano a moltiplicarsi la regina, facendo al tempo stesso da supreme ancelle con il sacro compito di mantenere sorvegliate le vie d’accesso. Facendo uso, nello specifico, non soltanto della testa di cui sono dotate ma anche il cervello al suo interno, come fatto notare nello studio scientifico del 2019 di D.G. Gordon e colleghi, relativo all’individuazione di particolari pattern neurologici all’interno dei portieri appartenenti al genere Cephalotes. Poiché a ben poco può effettivamente servire il possesso di uno strumento ereditario, senza l’opportuna capacità di farne l’utilizzo per cui siamo, effettivamente, venuti al mondo.
Con l’esempio maggiormente celebre e più frequentemente mostrato della specie Cephalotes varians, per il possesso della testa perfettamente circolare dall’aspetto scenografico particolarmente evidente, le sue simili possiedono una larga varietà di forme in merito a tale funzione, con forme di cerchi incompleti, rombi, ellissi e molte altre possibilità adiacenti. Egualmente finalizzate alla copertura di spazi chiaramente definiti, che del resto possono essere l’effetto del passaggio di diversi scarabei, con preferenze ben distinte in merito alla creazione di una soglia d’ingresso. Poiché nulla rappresenta il mondo “parallelo” delle formiche (a noi pari, è giusto sottolinearlo, per il peso collettivo della sua biomassa) che l’estrema specializzazione di forme ed intenti. Quasi come se ogni individuo intento a muoversi in maniera erratica costituisse l’arto, l’organo o elemento di una collettiva creatura dormiente. Pronta a ritornare indissolubile, nel momento stesso in cui la situazione sembra incline a degenerare. Allorché tutte le porte tornino alle postazioni di battaglia. Confidando, per quanto possibile, di poter contribuire a prevenire lo stesso conflitto sul nascere. Per la maggior gloria della propria indiscussa sovrana.