L’ultimo castello colonnare che troneggia sotto l’isola scozzese dei giganti

Prima degli articoli sulle riviste, i documentari televisivi, gli influencer di TikTok, le destinazioni turistiche nascevano e guadagnavano la loro fama tramite gli strumenti propriamente interconnessi al mondo della cultura. Così che la citazione da parte dello scrittore James Macpherson di un’isola remota nell’arcipelago delle Ebridi un tempo denominata Staffa (“colonna”) lunga appena 1,2 Km e larga 400 metri, come luogo di nascita di Ossian, il leggendario poeta da lui citato come ispiratore del suo corpus di opere narrative sulla mitologia dei popoli del Nord, avrebbe suscitato a partire dal 1761 l’interesse collettivo dei romantici, incapaci di resistere al sito caratteristico ove sorgeva un antico castello. Personaggi come il compositore Felix Mendelssohn, che ancora nel 1829, durante un’escursione presso l’arcipelago d’isole scozzesi noto come le Ebridi, fu famosamente sorpreso di non trovare sopra le alte coste nessun tipo di rovina, ma al di sotto di queste, lo spazio vuoto di una grande sala simile alla volta di una cattedrale, la cui altezza dalle acque lambenti dell’Atlantico sembrava superare i 22 metri d’altitudine dallo scafo della sua minuta imbarcazione. Dovete considerare a tal proposito come a quell’epoca, persino dopo l’introduzione del metodo scientifico e la nascita dell’archeologia, l’origine naturale di una simile struttura non sarebbe stata particolarmente evidente, questione già all’origine di una disputa mezzo secolo prima tra il geografo del regno Joseph Banks ed F. Cope Whitehouse, egittologo, nonché studioso delle cosiddette civiltà perdute. Ciò detto il musicista Mendelssohn, che aveva differenti sensibilità, senza soffermarsi troppo sulla questione si lasciò trasportare da un diverso scorcio sensoriale, quello garantito dal particolare suono che le onde producevano all’interno di una simile struttura basaltica, costituito da un’innumerevole susseguirsi di formazioni di basalto verticale geometricamente ripetute, simili a quelle dell’ancor più famoso Selciato del Gigante (“Clochán an Aifir“) situato all’altro lato del braccio di mare che separa Scozia ed Irlanda. Un rimbalzare riecheggiante di tonalità melodiose, che egli avrebbe trasformato e riproposto l’anno successivo come tema principale di quello che potrebbe essere chiamato il suo capolavoro, l’ouverture privo di un’opera Die Hebriden, dedicato al sublime senso di solitudine e la natura selvaggia dell’eponimo gruppo d’isole inglesi. Entro cui lo spazio cavo sotto Staffa era stato detto in lingua gaelica, prima del passaggio e della trattazione ad opera di J. Banks, Uamh Bhin ovvero Grotta Melodiosa, finché le associazioni letterarie di cui sopra non l’avrebbero vista ribattezzare con l’attuale qualifica di Fingal’s Cave, dal nome del personaggio ossianico, più o meno basato sulla figura mitologica di Finn/Fionn mac Cumhaill, il condottiero dell’eroica banda di avventurieri noti come Fianna, possibilmente collegato alla creazione stessa di questo luogo senza pari nel mondo…

Dal punto di vista scientifico, le pareti della grotta in questione sono dunque il prodotto paesaggistico di una colata lavica risalente al Paleocene (56 milioni di anni fa) il cui raffreddamento nelle parti superiore ed inferiore avrebbe portato a spaccature verticali equidistanti, con la caratteristica creazione di blocchi dal profilo inizialmente tetragonale, quindi esagonale sino al punto centrale del flusso. Evento successivamente al quale, l’erosione degli elementi e l’impatto ricorrente delle onde avrebbero fatto il resto. La prospettiva tradizionale in materia, d’altra parte, non avrebbe potuto essere più diversa. Giacché in base alla mitologia scozzese, sulle coste dell’antistante Irlanda viveva Fingal, il forte e coraggioso gigante cui Ossian (ammesso che sia mai realmente esistito) si era ispirato per la creazione del suo omonimo personaggio. Figura la quale, come tutti i guerrieri, cercava i propri simili da sfidare in battaglia per decidere chi avesse diritto ad una posizione di preminenza, ricerca che lo avrebbe portato, nell’epoca del Mito, alla costruzione con le proprie nude mani di un lungo passaggio pietroso, capace di estendersi fino alla svettante isola di Staffa. Se non che a ridosso di quest’ultima, così narra la leggenda, avrebbe incontrato la riconoscibile forma di una costruzione simile, in corso d’opera per mano di Benandonner, l’ancor più imponente gigante che da tempo immemore proteggeva queste isole di Scozia. Rendendosi immediatamente conto di non poterlo sconfiggere, l’Irlandese percorse dunque a ritroso il suo ponte di pietra, rifugiandosi presso la propria dimora e chiedendo aiuto alla moglie. La quale, comprendendo subito il pericolo, pensò bene di vestirlo come un neonato, affinché il nemico non potesse riuscire a trovarlo. Nella scena successiva dunque Benandonner, avendo percorso la lunga struttura di basalto, giunge per cercare lo sfidante ma incontra soltanto quella che ritiene essere la sua famiglia. “Aspetta pure, se lo desideri, mio marito tornerà presto”, afferma lei. Offrendo all’ospite degli immangiabili “biscotti” di ferro, che di suo conto il cosiddetto figlioletto sembra trangugiare senza nessun tipo di problema (peccato fossero stati estratti, con abile gioco di mano, da un diverso sportello della dispensa). Finché al trascorrere di un tempo relativamente breve, il furioso gigante non si rende conto che 1 – Quel neonato è grande quasi quanto lui; e 2 – Suo padre doveva essere ancor più immenso e terrificante. Così che l’avversario di Fingal, ritirandosi all’altro capo del braccio di mare, avrebbe poi distrutto il ponte che univa la Scozia all’Irlanda. Che nessuno avrebbe avuto un’interesse a costruire nuovamente, dopo quell’imbarazzante episodio.

Fattori mitologici a parte, la fama dell’isola di Staffa e della sua grotta non sarebbe certo calata col trascorrere dei decenni. Allorché dopo la pubblicazione della sinfonia di Mendelssohn, altri giganti appartenenti al mondo della cultura ne fecero una meta privilegiata, incluso lo scrittore Jules Verne, Alfred, Lord Tennyson ed il pittore romantico M. W. Turner, che ne dipinse immagini vividi ed appassionanti. Finché verso la metà del secolo, giunse a visitarle persino la regina Vittoria assieme a suo marito, il principe Alberto.
Di luoghi simili d’altronde, con un bagaglio storico importante pur essendo il mero e incomparabile prodotto di processi naturali, non ce ne sono molti altri al mondo. Rimasti incontaminati dalla mano umana grazie alla loro sostanziale inaccessibilità, fatta eccezione nel caso specifico dal breve e coraggioso tentativo fatto nel 1772 da una famiglia di coltivatori di lino ed allevatori di pecore, i cui animali crearono una discendenza che, possibilmente in mezzo all’erba, sopravvive tutt’ora. Scrutando con sguardo indifferente la pletora di turisti e visitatori iper-entusiastici, che ogni anno al sopraggiungere della stagione calda salgono quegli stessi leggendari scalini. Armati di telefoni, telecamere e macchine fotografiche, ansiosi di condividere col mondo la loro piccola narrazione epica. Giganti per un giorno, eroi della propria personale conquista di momenti che altrimenti il tempo stesso, così credono, avrebbe rischiato di dimenticare.

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