Chiedete a chiunque quale sia la caratteristica che rende il piccione meno attraente, ed egli vi risponderà senza particolari esitazioni “il colore”. Sognando e disegnando fin da giovani gli arcobaleni cromatici dei pennuti tropicali, magnifici pappagalli, uccelli del paradiso, anatre mandarine, guardiamo i nostri cieli con l’ardente bramosia, di scorgere coi nostri occhi un giorno gli esseri viventi che più d’ogni altro sanno ricordare i fiori o gli arcobaleni. D’altra parte il grigio, come il nero di sapienti corvi colti e meditativi, è un colore anonimo che può riuscire ad evocare l’eleganza. E c’è ben altro, come la forma e la modalità di porsi, che può determinare l’implicita grazia di un’animale. Quella che in molti sembrerebbero aver individuato, dall’eccezionale quantità di foto, video ed altra documentazione, creata in loco nei paesi sub-sahariani di Kenya, Malawi, Burundi, Tanzania, Uganda, Zambia… Ove l’ombra che si staglia contro il cielo è spesso non soltanto la diretta risultanza di un riverbero creato dalla luce. Bensì la sagoma riconoscibile, di uno dei tre alati Crinifer, il cui nome in lingua afrikaans di kwêvoëls trova la corrispondenza più internazionale e traducibile di “uccello vai-via”. Di suono e di fatto, vista l’assonanza del chiassoso verso grosso modo trascrivibile con l’espressione kei-kei, ewey, ewey (go-away) assieme all’indole territoriale che lo porta a prendere di mira le teste dei passanti accidentali, sfortunatamente avvicinatosi a quello che considera il suo nido segreto. In quanto avendo in comune con i colombi europei l’abitudine a costruire piattaforme a malapena stabili, con rami secchi e semplici sterpaglie, è ben cosciente di quanto sia facile scorgere da terra le sue due o tre uova. Eppur difficile riesce portargli un qualsivoglia tipo di rancore, se si apprezza l’abito che indossa, ovvero quell’aspetto distintivo in grado di distinguerlo con assoluta evidenza da qualsiasi merlo, corvide o passeriforme, l’alta cresta che si agita nel vento, la lunga coda a ventaglio. Ciò in quanto il genere delle tre specie a cui mi riferisco, che incidentalmente include anche gli ulteriori due “mangiatori di platani” C. zonurus e C. piscator, non appartiene a nessuna di queste famiglie bensì quella tipicamente africana dei musofagidi o turaco, uccelli arboricoli che vantano comunemente sfumature verde acceso ed ali rosso splendente, tanto da ricordare vagamente dei pappagalli. Ma anche Il caro Cocorito, si sa, può presentarsi, qualche volta in abito da sera…
Tralasciando a questo punto paragoni concettuali con il pappagallo grigio del Congo, appartenente per diversi aspetti ad una ecologica di tipo differente, i turaco “Vai via” anche identificati in italiano con l’atipica espressione di schizori chiassoso presentano una chiara differenziazione vicendevole per l’aspetto generale e la livrea del piumaggio. A cominciare dal C. personatus o u.v.v. dalla faccia glabra, il cui becco e volto di colore nero sotto l’alta cresta potrebbero iniziare a ricordare il vago aspetto di un avvoltoio, sebbene come tutti i suoi fratelli egli sia vegetariano, nutrendosi primariamente di frutta e semi con l’occasionale cattura di un artropode per l’apporto necessario di proteine. Abbiamo quindi il C. leucogaster o u.v.v. dal petto bianco del Corno d’Africa, con quest’ultima tonalità che crea contrasto rispetto al dorso, il becco giallo e la coda caratterizzata da strisce in alternanza bianco-grige come quella di un insolito procione dei cieli. E per finire il C. concolor o u.v.v. grigio dalla più ampia diffusione, il piumaggio totalmente uniforme che se non fosse per la sagoma riconoscibile lo farebbe assomigliare al più tipico colombo dei contesti cittadini europei. Strettamente legati ai rispettivi territori d’appartenenza, questi uccelli dai pronti riflessi ed il decollo scattante non sembrerebbero d’altronde possedere la capacità del volo sulle lunghe distanze, precludendogli ogni prerogativa o predisposizione alla migrazione. Il che ha probabilmente dato un significativo contributo a tale differenziazione, rendendoli ulteriormente adattabili alle circostanze della convivenza con gli umani, permettendogli di moltiplicarsi senza risentire (fino ad oggi) di una riduzione progressiva degli spazi a disposizione, anche grazie alla prevalenza degli alberi ove preferiscono costruire il nido: alte acace o, come ampiamente discusso in uno studio scientifico del 2016 dell’università di Bulawayo (Ndagurwa, Nyawo, Muvengwi) le loro prevalenti infestazioni di Viscum album, stessa pianta parassita che poeticamente associamo alla stagione natalizia e romantiche effusioni per l’applicazione di non meglio definite tradizioni botaniche ereditate. Come parimenti avviene tra quei rami per gli schizori, il cui accoppiamento sub-equatoriale si posiziona attorno all’inizio della stagione delle piogge, con rituali che prevedono il sobbalzo tra i rami ed il movimento ritmico di coda e cresta da parte del maschio. Prima della creazione di una coppia stabile che durerà per il tutto il tempo necessario all’involo dei nuovi nati, la cui tutela è suddivisa rigorosamente tra i due membri della coppia genitoriale. Che vengono al mondo con gli occhi già aperti ed una certa predisposizione a percepire il pericolo, incrementando la probabilità di raggiungere e superare l’età adulta, per una durata di vita totale particolarmente lunga, che può superare spesso anche i vent’anni in cattività (mancanti, nel frattempo, i dati relativi allo stato brado).
Vivaci, attenti, agili ed interessanti, uccelli come questi fanno molto per riuscire a caratterizzare lo spazio ecologico di un’intera ecozona. Favorendo la percezione collettiva di quanto possa essere importante preservare condizioni stabili, affinché le varietà volatili si possano trovare a imperitura salvaguardia di quella che potrebbe o dovrebbe costituire, idealmente, la parte più preziosa della nostra eredità naturale. Come personaggi di una fiaba in cui corvi o gufi possono guidare il viaggio di un eroe verso la meta, così in Africa, è l’uccello Vai-via. Poiché quale altra locuzione, più di questa, riesce a incorporare il senso di avventura generalizzato che fa muovere le gambe verso l’esplorazione e l’ignoto? Soltanto, state attenti a non invadere il suo spazio personale. Affinché il becco non finisca per dar sèguito, burbero e appuntito, alle minacce niente affatto teoriche che aveva scatenato su di voi.