Per chi è cresciuto valutando quotidianamente il punto d’interconnessione tra il mondo analogico e quello informatizzato, sperimentando sulla propria stessa pelle la trasformazione di un’epoca situata in bilico tra due diversi modi di vivere la tecnologia nell’era post-moderna, il mondo dei graffiti ha per lo più rappresentato uno specifico retaggio, utile ai nostalgici di un modus operandi ancora collegato alla necessità di fare, per esserci; visitare, prima di poter lasciare il segno. E al di là di considerazioni sulle connotazioni abusive o anti-sociali di chi appone tags o altre figure sulle pareti di edifici disinteressati alla questione, non sarebbe irragionevole all’inizio del secondo quarto di secolo, se abbiamo visto già da tempo nascere l’ultima generazione di quest’arte che ha radici nelle strade dell’Antica Roma, avendo rispecchiato spesso i sentimenti e la visione di un significativa parte delle civiltà intercorse da quei giorni distanti. Ma voglio dire, impugnare (oggi) la bomboletta con le proprie stesse mani? Sporcarsi nel tentativo di raggiungere qualche migliaio di persone, quando il supporto comunicativo di cui tutti disponiamo può raggiungere rapidamente il mondo intero, trasformando l’idea in ispirazione, la personalità in rappresentanza delle moltitudini aggregate dalle circostanze latenti? Non che i contrapposti approcci siano mutualmente esclusivi, s’intende. Ma tendono a richiedere modalità ed approcci radicalmente contrapposti. Ed è nell’intercapedine tra questi estremi, in fin dei conti, che trova il proprio spazio creativo Bond Truluv, al secolo Jonas Ihlenfeldt, artista poco più che quarantenne di Lipsia, Germania. La cui modalità espressiva, dopo oltre 20 mostre tenute in giro per il mondo, può essere formalizzata nell’inflazionata connessione tra l’Antico e il Moderno. Così come gloriosamente espressa, attraverso i molteplici canali paralleli dei social media: Facebook, Instagram, YouTube, TikTok… Altrettante candide pareti, ove la semplice pittura di un muro può diventare un qualche tipo di arte performativa. Non soltanto tramite la ripresa lineare dell’opera in corso di realizzazione, ma tramite una scenografica fruizione che prevede lo strumento digitale e tende addirittura a incoraggiarne l’impiego. Come nel caso del pesce d’oro dalle proporzioni monumentali dipinto nel 2019 sulla parete di un asilo ad Hagen. Che una volta inquadrato con il cellulare, gira su stesso, si anima, nuota tra le lettere e saluta gli spettatori…
Come un vero artista dell’epoca contemporanea dovrebbe fare, Truluv non s’interessa direttamente alla parte del marketing, ma in un certo senso la respira e comunica quasi istintivamente in qualità di componente del suo modus operandi creativo. Connotato dalle buzzwords, da un certo punto di vista, che connotano e caratterizzano l’epoca trasformativa che stiamo vivendo: realtà aumentata, mista, virtuale. Persino l’intelligenza artificiale generativa, che pur appartenendo ad un ambito informatico radicalmente diverso, viene costantemente inserita, a torto a ragione, nello stesso ambito largamente speculativo del progresso umano. Allorché lungo la strada ideale del suo plurimo indirizzo internettiano, compaiono graffiti che si animano, grazie all’impiego di un’applicazione di riconoscimento e sovrapposizione delle immagini che lui stesso ha realizzato, in qualità di sviluppatore autodidatta, senza passare per gli store di Google o Apple ma impiegando per il cellulare un firmware “speciale” (o come si dice in gergo, jailbroken). Fino all’evoluzione logica delle ultime proposte presenti su Instagram, in cui il comune dispositivo portatile presente in tutte le nostre tasche è stato rimpiazzato da un visore virtuale con telecamere per la cattura e modifica d’immagini in tempo reale, il Meta Quest, da lui impiegato assieme al software acquistabile Painting VR al fine d’impostare una figura tridimensionale, successivamente trasferita su parete grazie all’uso delle fidate bombolette per uso su strada reale. In un altro sviluppo, pubblicato nel frattempo su YouTube, inserisce la sua firma tante volte riproposta nel grande calderone dell’AI generativa, traferendo tale risultanza e usandola come punto di partenza per un lavoro che connota la visione limitata della macchina: “Non mi piace, ma l’ho dipinto lo stesso” annuncia la didascalia al video. Difficile commentare nella stessa maniera il risultato finale.
Ma il graffitaro veterano B.T, esperto creatore di figure geometriche a mano libera, è molto più che un semplice fantasma su Internet, con significative capacità anche nella trasformazione e l’ammodernamento degli strumenti alla base della sua arte. Come reso esplicito dalla nutrita serie di pseudo-bombolette mostrate nel corso degli ultimi mesi, in una serie di video in cui bottiglie vengono adattate, ugelli moltiplicati grazie all’uso di snodi tubolari, guanti attrezzati con spruzzatori polidattili e persino il corno rosa della miniatura di un lezioso unicorno, trasformato in un pennello utile a dar forma allo stesso leggendario animale. Una decostruzione del sistema leggendario della cultura Pop, se mai ce n’è stato uno degno di venire menzionato online…
Qual è, dunque, la vicenda di un così eclettico ed innovativo artista? Pur non trovandoci di fronte alla segretezza di un altro Banksy dei nostri giorni, le fonti in materia sono limitate. Resta però possibile fare riferimento a un’intervista rilasciata ad Upmag durante l’epoca del Covid, in cui egli racconta brevemente una vicenda molto interessante della sua formazione personale. Relativa al periodo trascorso in Asia meridionale passando per l’India e successivamente in Indonesia, presso il sultanato giavanese di Yogyakarta, le cui leggi prevedono un’impostazione assai particolare nella relazione tra gli ambienti urbani e la pittura. Permettendo a quanto ci racconta, almeno in linea di principio, agli artisti di dipingere sopra qualsiasi muro cittadino, esclusi per ovvie ragioni gli edifici religiosi ed il palazzo del sultano. Un letterale paradiso dei graffitari dunque, letteralmente irrealizzabile altrove, che in un certo senso gode di quello stesso respiro anarchico ed incontrollato che fu lungamente all’origine del mondo di Internet, prima che il paravento delle piattaforme correnti imponesse delle insuperabili linee di confine a un’intera generazione di sfrenati creativi. Troppo lentamente perché le generazioni nate successivamente agli anni 2000 potessero sperimentarne la percezione. Ma di gran lunga troppo velocemente, per sfuggire all’attenzione di quel mondo l’aveva visto nascere, ed in molti modi continuato ad alimentare. Ci saranno sempre molti muri da dipingere, d’altronde. Ed i vecchi metodi ci “sembrano” soltanto superati. Pur essendo degni di costituire, in molti modi presenti e futuri, il nostro lascito contemplativo alla posterità.