Scintille oscillano tra l’erba ed i cespugli radi del veld, seguite e sottolineate da una folta coda con la punta nera, come quella che molti ricordano, erroneamente, nel Pikachu della fantasia ludica digitalizzata. Se nessun occhio umano ne ha osservato il transito, splendono lo stesso le scattanti lepri del genere Pedetes? La cui caratteristica più distintiva è la capacità di muoversi tra le ore della notte, rapide, silenziose, per poi fare ritorno ai propri vasti reticoli di gallerie sotterranee. Portatrici del nome dei roditori dalle lunghe orecchie, per comodità piuttosto che una chiara affinità genetica, essendo state in precedenza categorizzate nella sfera tassonomica del Jerboa o Dipotidae, minuto topolino saltatore, prima che osservazioni ed approfondimenti portassero a creare, nel 1811, una sua categoria con concentrazione prevalentemente sudafricana. Ed una seconda specie, distribuita tra Kenya e Tanzania, il cui nome scientifico è P. surdaster. Non propriamente diffuso, né altrettanto studiato, quanto la varietà di riferimento del P. capensis, una creatura così frequentemente facente parte del sostrato ecologico locale, da aver costituito per secoli un fondamento nella dieta delle tribù native. Mentre studi contemporanei, in via preliminare, iniziano a teorizzarne l’allevamento. La springhaas, come viene definita in lingua afrikaans/olandese, rappresenta d’altra parte un chiaro esempio di animale perfettamente adattato al proprio ambiente di appartenenza, tanto agile ed attento da riuscire a eludere regolarmente la predazione di carnivori tra cui persino il velocissimo ghepardo. In relazione al quale rappresenta, statisticamente, la creatura con maggiore probabilità di sopravvivere potendo raccontare un eventuale incontro. Ciò anche grazie alla capacità notevole di percepire il pericolo, usando gli occhi e orecchie particolarmente ben sviluppati, e nonostante la poca priorità oggettivamente concessa dal loro iter evolutivo alla capacità di mimetizzarsi, soprattutto nelle ore notturne in cui svolgono principalmente la propria quotidiana ricerca di cibo. Strano a dirsi, in effetti, che proprio una delle prede ideali dei grandi felini africani, con ottime capacità di percezione dell’infrarosso, debba rientrare tra i rarissimi esempio di mammifero bioluminescente, una prerogativa normalmente posseduta da pesci, rettili, anfibi ed uccelli. Questione la cui scoperta dovuta a lunghe osservazioni, risale al recente 2021 come da studio scientifico di Erik R. Olson e (numerosi) colleghi, pubblicato sulla rivista Nature come molti altri di argomento adiacente. Pur facendo notare la distribuzione a macchie di suddetta caratteristica, forse proprio al fine di far passare relativamente inosservato l’animale, ed omettendo di trarre una conclusione facilmente confutabile sul perché le lepri saltatrici brillano, proprio perché ammettere l’ignoranza, talvolta, è tutto quello che può fare un coscienzioso scienziato. Creare sfavillanti aloni di mistero, ove le certezze appaiono nemiche acerrime della saltellante verità dei fatti…
Al di là della fluorescenza di questo accumulo di molecole di porfirina, composti chimici capaci di accumulare ed emettere nel tempo la luce solare, altra caratteristica notevolmente rappresentativa della springhaas è il suo balzo in grado di raggiungere il doppio della lunghezza del corpo, ma soprattutto farlo con un ritmo di moltissime volte al minuto mentre si bilanciano con la lunga e forte coda che rappresenta la metà del loro peso complessivo, così riuscendo a superare la velocità di 8,5 Km all’ora. La quale adattata in proporzione, risulta ancor più notevole di quella del canguro australiano, essere comunemente giudicato come il praticante prototipico di tale tipologia di movimento. Così che, dallo studio anatomico, è stata individuata l’origine di questa dote inerente nella presenza di tendini per le zampe posteriori assai elastici e resistenti, in grado di recuperare buona parte dell’energia per ciascun balzo effettuato. Anche a rischio di aumentare la probabilità d’infortuni, il che risulta chiaramente secondario per una potenziale preda come questa, rispetto alla missione principale di evitare le fauci dell’eterno carnivoro in agguato. E raggiungere, idealmente, l’età riproduttiva entro il terzo anno d’età, momento a partire dal quale maschi e femmine continueranno a metter su famiglia pressoché ininterrottamente, sia nei mesi estivi che quelli invernali. Una prerogativa, quest’ultima, dettata almeno in parte dal clima relativamente temperato del paese africano meridionale, ma anche l’impostazione ecologica, che vede le lepri nutrirsi di vegetazione ed insetti appartenenti sia alla superficie che il sottosuolo, potendo contare su reticoli di gallerie capaci di superare anche i 140 metri quadrati. Uno stile abitativo che non dimentica la rispettiva autorità territoriale, visto come pur collaborando e collegando spesso le loro tane, i nostri scattanti amici tendano a preferire le zone disabitate della loro città segreta, talvolta arrivando a trasferirsi anche due volte la settimana finché non diventano stanziali successivamente alla nascita del singolo figlio (la coppia di gemelli è un’eventualità rara) del tutto dipendente dalla madre fino alla settima settimana d’età. Quando raggiunge il peso di 1,5 Kg, corrispondente grosso modo alla metà di quello degli esemplari adulti. Notevole anche il fatto di come, pur non cessando mai di riprodursi e potendo addirittura dare inizio ad una gravidanza quando ancora sta allattando l’ultimo figlio, la springhaas abbia un periodo di gestazione tra i più lunghi nell’ordine dei roditori, con ben 80 giorni dal concepimento al momento in cui la prole può finalmente conoscere ed ascoltare direttamente il mondo. Il che la rende, almeno in linea di principio, meno resistente a pressioni di tipo ambientale ed ecologico rispetto ai suoi distanti cugini del contesto europeo. In un mondo in cui sottili cambiamenti si verificano in maniera pressoché continua, e quasi mai in meglio.
Ciò detto, nessuna delle due specie di Pedetes viene oggi considerata a rischio da organizzazioni internazionali e non ci sono leggi specifiche per la loro protezione, permettendone piuttosto la caccia sistematica anche per la propensione occasionale al danneggiamento delle coltivazioni umane. Molto importante, dal punto di vista tradizionale, risultava anche essere la loro cattura ad opera delle genti Botswana e San, come fonte di carne ma anche il fondamento della creazione di specifici oggetti artigianali con la loro pelle, tra cui borse, coperte e cappelli. Nonché una speciale cintura sonora costruita con le ossa, da impiegare durante le danze celebrative degli spiriti della natura e degli antenati. Mere superstizioni con l’occhio razionale del pensiero scientifico moderno, forse, ma cionondimeno rappresentative del sofisticato rapporto che ha legato l’uomo agli animali in queste zone tanto a lungo reputate selvagge, prima dello “sforzo” coloniale degli europei. Null’altro che l’ennesima scintilla trasformativa, di un ammasso di sterpaglie sempre pronte ad ardere con l’appropriata fonte di calore. Arrecando distruzione e progresso in modo inestricabile, nel grande vortice della trasformazione dei continenti.