Dalle vette della nostra rastrelliera, un grido collettivo fu il nostro silenzioso contributo alla fine del mondo. Senza labbra, senza occhi, senza lingua e neanche l’ombra di un cervello, il destino ci aveva riservato un posto in prima fila nel momento in cui una situazione in bilico raggiunse il punto critico d’ebollizione. Per volere ed ordine di Pedro de Alvarado, il vice del “civilizzato” conquistador Hernán Cortés, partito per la costa al fine di trovare un accordo con gli spagnoli giunti al fine di arrestarlo, ponendo fine alle sue operazioni di agente della corona. “Per difenderci dal palesarsi di un complotto, finalizzato alla nostra sistematica e rituale eliminazione.” Avrebbero affermato loro; “Per cupidigia e l’avidità indotta dal desiderio di sottrarci i nostri tesori.” Giureranno successivamente i pochissimi sopravvissuti del clero Azteco, imprimendo le proprie testimonianze in lingua Nahuatl, su pelli di animali, stoffa, corteccia di fico. Ma se qualcuno ci avesse chiesto di riferire la nostra impressione, non ci fu un singolo motivo scatenante. Bensì la temperatura gradualmente più elevata, di un luogo letteralmente intriso di sangue che altro ne bramava così come fatto in precedenza lungo il ciclo ininterrotto delle stagioni. Chi, meglio di noi, poteva dire di averne una chiara consapevolezza?
Era, dunque, il 22 maggio del 1520, quando nel corso della festa di Toxacl indetta dall’imperatore Montezuma, per celebrare ogni anno il dio Tezcatlipoca, un gruppo di stranieri nelle loro impenetrabili armature, con fucili, spade e lance, alla testa di una folla di mexica inferociti, bloccarono ogni uscita del Templo Mayor, principale luogo di culto della capitale. Per poi dare inizio, cupamente, al massacro. Centinaia, migliaia di membri della casta nobile e sacerdotale… Nel giro di poche ore, trasformati in stolidi cadaveri, avvicinando l’ora in cui l’eterno impero avrebbe visto la sua stessa struttura rovesciata, smembrata e fatta a pezzi così come in anni precedenti, era toccato a noi ed alle nostre famiglie oggetto dell’onore più terribile tra tutti quanti: nutrire gli spiriti divini del cielo e della terra. Questa, la nostra testimonianza di esseri immortali, le nude teste in alto sulle torri circolari dello Huey tzompantli, svettante collezione dei crani. Tale il nostro senso d’esultanza, per la catarsi distruttiva di coloro che, attraverso le generazioni, era stato fatto ai danni di noialtri, colpevoli soltanto di essere venuti al mondo in un paese dominato da una religione assetata di violenza ed uccisioni. Cessate le grida, disperso il fumo, gli spagnoli presero quindi lo stesso Montezuma in ostaggio, prima di ritirarsi nella foresta in attesa del ritorno del loro condottiero. Una decina dei loro, rimasti tra i morti della frenetica battaglia, vennero decapitati, le loro teste scarnificate ed essiccate. Prima di venire aggiunte, con tanto di barba, alla “gloriosa” rastrelliera dei testimoni…
Fu nell’anno 2015 che le squadre d’archeologi coinvolte, ormai da decenni, nei rilevamenti e ricerche attorno alla storica cattedrale di Città del Messico, fatta costruire dai coloni cristiani successivamente alla demolizione del Tempio e l’antistante Huey tzompantli, vennero chiamati per una nuova clamorosa scoperta sotto il viale di República de Guatemala. Ove gremiti agglomerati di teschi, coperti dalla terra e custoditi nel sottosuolo, continuarono ad emergere ad ondate nei due anni successivi, denunciando finalmente la già sospettata collocazione effettiva del più terribile, mostruoso edificio di quello che un tempo era stato il centro cittadino della grande città di Tenochtitlan. Il concetto di tzompantli, come venivano chiamate in lingua Nahuatl questa tipologia di strutture, non è d’altra parte esclusivo dell’impero degli Aztechi, che oggi riteniamo essere stato costituito in corrispondenza dell’odierno Messico da genti provenienti dall’America Meridionale. Essendo stato verificato, dagli archeologi, un antico fascino per l’esposizione delle ossa dei morti già a partire dall’epoca degli antichi Toltechi, grossomodo corrispondente al nostro basso Medioevo. Mentre apparati del tutto simili, nonostante il possesso di credenze e sistemi clericali distinti, sono attestati anche tra i Maya ed altri popoli del vasto contesto mesoamericano. Sebbene resti quasi certo che tra gli edifici pubblici dedicati alla specifica esposizione dei teschi, nessun altro abbia mai raggiunto le impressionanti proporzioni di quello costruito in abbinamento al Templo Mayor, per specifico volere e la maggiore gloria dell’imperatore azteco. Ne parlarono estensivamente gli uomini al seguito di Cortés, con descrizioni particolarmente vivide presenti nelle cronache del soldato colto Andrés de Tapia. Il quale, avendo ricevuto ufficialmente il compito di contare le teste contenute in esso, avrebbe prodotto il numero spropositato di 135.000, assai probabilmente da rivedere verso il basso grazie al contributo coévo del frate Diego Durán, che scrisse di averne visti “appena” 60.000. Benché certamente non meno di così, vista l’enorme ed acclarata importanza che il sacrificio umano aveva nella cultura azteca, con la duplice finalità di garantirsi il favore degli Dei e mantenere stabile il regime del terrore psicologico, che garantiva il potere inattaccabile della dinastia dei Montezuma. Moltissime, d’altronde, erano le ragioni per cui si poteva essere condannati gloriosamente a morte, dall’appartenenza a una fazione di sobillatori all’infrazione di un decreto reale, all’offesa vera o fittizia riportata da un membro delle caste privilegiate, alla sconfitta in una partita del gioco rituale della palla, soltanto superficialmente simile al concetto di uno sport contemporaneo. Mentre altre volte, semplicemente, si finiva per essere tanto sfortunati da venire scelti come offerta per gli spiriti superni durante una delle molte festività connesse al Tempio, un imponente complesso dedicato a Huitzilopochtli, nume del sole e della guerra; e Tlaloc, il suo fratello con il compito di tutelare la pioggia e l’agricoltura. Un destino che poteva toccare letteralmente a chiunque, così come oggi determinato dagli archeologi, che nel sito a República hanno ritrovato anche una percentuale minore, ma comunque rilevante, di teschi appartenenti a donne e bambini. In un complesso creato assai probabilmente al fine di riprendere il dualismo del tempio stesso, con la rastrelliera centrale fiancheggiata da due torri cilindriche, che i sacerdoti aztechi mantenevano sempre ben fornite, mentre i singoli teschi andavano incontro al deperimento per l’effetto degli eventi atmosferici e l’usura determinata dai rituali. Un frequente rifornimento, inoltre, veniva dalle vittime della ricorrente guerra dei fiori, il conflitto ritualizzato tra la casta dei guerrieri imperiali ed i loro popoli sottomessi, combattuto al fine di ricordare a ognuno l’impareggiabile perizia di un impero in grado di schierare fino a 200.000 uomini in due distinte armate nei periodi di crisi.
Il potere psicologico di quelle torri o muraglie, chiaramente, non poteva essere sopravvalutato così come quello dei temuti portatori del macuahuitl, la poderosa spada in legno ed ossidiana che divenne il simbolo del potere militare azteco. Caratterizzando l’egemonia di questo impero come connotata da un potente fattore psicologico, che conteneva al tempo stesso il seme della sua finale condanna. Ciò che fece seguito al grande massacro del 1520, infatti, fu la letterale presa di coscienza che gli invincibili sacerdoti protetti dagli Dei potevano effettivamente essere uccisi. Dando inizio alla gigantesca ribellione dei popoli sottomessi, meramente guidata e sobillata dai conquistadores spagnoli. Una circostanza in cui il ruolo della polvere da sparo viene spesso sopravvalutata: Cortés, nella sua sanguinaria spedizione, poteva infatti disporre di appena una manciata di cannoni e poche dozzine di fucili. Mentre ciò che fu ancor maggiormente determinante, fu quello di cui mancava: un sacro terrore reverenziale, assieme ai suoi soldati, che lo portasse a ritirarsi subito di fronte alle grida ossessionanti dei guerrieri dell’Aquila e del Giaguaro.
Ed armature d’acciaio, chiaramente. Avete mai provato a far cozzare una lama d’ossidiana sul metallo temprato? L’effetto non risulterà gradevole per nessuna delle due persone coinvolte. Ma di sicuro, quell’arma celebre per la sua capacità di decapitare persino un cavallo andrà in pezzi, con le conseguenze nei pochi secondi successivi per l’utilizzatore che potrete facilmente giungere ad immaginare. E nessun sopravvissuto azteco al termine dell’ultima battaglia, addetto a trasportare il coraggioso cranio sull’ormai defunta torre dei Cieli.