Datemi neutrini: lamine di luce per l’enorme calice nel sottosuolo della montagna

Scrutare l’invisibile tende a richiedere l’impiego di uno sfondo adeguato. Il che significa, un mezzo entro il quale lo status quo possa essere influenzato dal passaggio di un’entità che sfugge normalmente alla percezione e la coscienza dell’uomo. Questo è il principio dell’utile strumento del contatore Geiger, sostanzialmente un piccolo tubo pieno di gas, elio, neon o argon, all’interno del quale particelle di radiazioni ionizzanti producono una leggera carica elettrica, tradotta dal sistema in numeri del display situato all’esterno. Perciò ingrandisci quello stesso approccio funzionale mille, duemila volte, ed ogni cosa diventerà possibile; persino scrutare fino al nocciolo dell’annosa questione, sulla natura stessa ed il funzionamento dell’Universo. Leptoni: particelle facenti parte della materia la cui infinitesimale piccolezza permette di accertare l’esistenza soltanto indirettamente, in funzione degli effetti che producono nei rispettivi contesti d’appartenenza. Eppure persino tra queste, esistono classi diverse d’impercettibilità inerente. Laddove fondamentale per la produzione degli stessi legami chimici in quanto tali, risulta essere il microscopico elettrone, portatore di una carica negativa che si riflette nella costruzione di qualsiasi molecola a noi nota. Mentre meramente teorico sarebbe rimasto, fino al 1930 grazie al lavoro di Wolfgang Pauli, l’esistenza del suo cugino neutrino, privo d’interazione elettromagnetica di qualsivoglia tipo. Tanto che, inerti all’interazione forte, sarebbero stati considerati per quasi un secolo del tutto privi di una massa funzionale apparente.
E probabilmente lo sarebbero ancora oggi, se non fosse per l’intercorsa efficacia dimostrata a più riprese dall’osservatorio del monte Ikeno nella prefettura giapponese di Gifu, costruito a una profondità di 1.000 metri nell’ex-miniera di Mozumi con l’originale scopo di rilevare il decadimento protonico (missione destinata a rimanere ancora oggi incompleta) sotto la supervisione dell’Istituto della Ricerca sui Raggi Cosmici dell’Università di Tokyo. Ferma restando la stretta associazione del neutrino con tali fenomeni spaziali, per la cognizione acclarata che il passaggio di questi ultimi attraverso l’atmosfera terrestre tendesse ad indurre un decadimento delle particelle, tale da generarne una certa quantità inerente. Ragion per cui la prima iterazione del progetto, operativa per due anni a partire dal 1983, fu da subito associata all’osservazione cronologica delle ondate d’energia capaci d’investire la Terra, successivamente all’esplosione di una supernova distante, all’origine di diffusione di radiazioni oltre il grande vuoto del medium galattico interstellare. Già, ma come, esattamente? Grazie all’impiego apparente di una quantità spropositata di “lampadine”…

Dal punto di vista pratico, il primo Kamiokande (dal nome della vicina città di Kamioka + l’acronimo di Nucleon Decay Experiment) ed il suo successore molto più potente denominato per l’appunto Super-Kamiokande (1985) rappresentano dunque il traguardo ingegneristico di un vasto serbatoio d’acqua con le pareti, il soffitto ed il pavimento letteralmente ricoperti dei complessi dispositivi di rilevamento detti fotomoltiplicatori. Costituti nel presente caso da bulbi di vetro, del diametro di 50 cm, con all’interno un anodo sospeso nel vuoto, circondato da diversi elettrodi capaci di reagire alla luce. Non importa quanto tenue, come nel caso della cosiddetta radiazione Cherenkov, ovvero il lampo momentaneo generato in un liquido dal contatto di una particella che supera la velocità della luce al suo interno. Che per inciso, risulta essere sensibilmente minore della velocità della luce sulla pista comica del vuoto assoluto. Idea proiettata, nel caso del secondo dispositivo, fino alle dimensioni di 41 metri d’altezza per 39,3 di diametro ed 11.146 fotomoltiplicatori sulle sue pareti, del costo unitario di 3.000 dollari ciascuno. Un’investimento dunque notevole, destinato tuttavia ben presto a dare i suoi frutti. Con il rilevamento già nel 1987 di ben 11 neutrini derivanti, in base alla direzione, dall’evento di esplosione della supernova 1987A situata a 160.000 anni luce di distanza nella Nube di Magellano. Impresa senza precedenti e proprio per questo capace di valere al suo coordinatore, l’astrofisico Masatoshi Koshiba, l’attribuzione del premio Nobel nel 2002. Il che avrebbe rappresentato soltanto il primo dei due casi collegati a tale prestigioso riconoscimento, nel corso della storia del sofisticato osservatorio giapponese. Allorché s’iniziarono a sfruttare, come originariamente prospettato, le capacità della struttura di rilevare ed osservare altre due concentrazioni della particella in questione, quelle derivanti in modo continuo dalla reazione atomica all’interno della nostra stella in contrapposizione all’imprescindibile, benché tutt’ora non spiegata, presenza di neutrini all’interno dell’atmosfera terrestre. E fu proprio questa seconda casistica, sottoposta a studi statistici approfonditi da parte del fisico Takaaki Kajita, a condurre ad un ulteriore cambio di paradigma nel campo in divenire della fisica particellare. Giacché egli poté notare la maniera in cui i neutrini che attraversavano l’atmosfera, a seconda della direzione di provenienza, presentassero un numero leptonico differente. La prima, e tutt’ora unica dimostrazione pratica della capacità teorizzata originariamente da Bruno Pontecorvo nel 1957, che tali particelle pur essendo prive di carica potessero possedere un cosiddetto “sapore” ovvero la capacità di reagire debolmente a sollecitazioni elettroniche, muoniche o tauoniche. Con l’implicazione immediata, lungamente posta in secondo piano, che i neutrini possedessero una massa inerente e non dovessero perciò necessariamente muoversi alla velocità della luce. Le ramificazioni furono stratificate, mentre Kajita vinceva prevedibilmente nel 2015 assieme al collega Arthur McDonald e significative alterazioni vennero apportate alle limitate cognizioni di cui disponiamo nel mondo largamente oscuro della fisica quantistica. Un traguardo notevole da raggiungere, soprattutto dopo il passaggio di quella che può essere senz’altro definita come l’ora più tragica nella storia del super-osservatorio di Kamioka.

La data è il 12 novembre del 2001 ed il racconto uno dei più vividi ed impressionanti nella storia di un rilevatore di particelle. Con l’episodio di una fragorosa esplosione, seguìta da una reazione a catena, che avrebbe coinvolto svariate migliaia di tubi fotomoltiplicatori all’interno del serbatoio sottoposto a stress eccessivo nel corso delle operazioni di manutenzione ricorrenti. Ciò a causa di un piano di fattibilità basato su presupposti errati, e l’eccessivo stress concentrato sul primo dei dispositivi coinvolti, con conseguenze destinate a costare una quantità spropositata di risorse affinché l’osservatorio potesse ritornare a funzionare a regime. Dapprima con un comparto limitato di rilevatori (Super K. II) ricoperti per sicurezza con uno strato di acrilico protettivo, quindi a partire dal luglio del 2006 nell’iterazione pienamente ripristinata (Super K. III) che in buona parte costituisce ancora oggi il nucleo pulsante dell’installazione giapponese. Ma l’evoluzione, in seguito, non si sarebbe fermata soltanto a questo, con l’aggiunta nel 2008 di un apparato di rilevazione elettronica più avanzato (Super K. IV). Ed il futuro visti i plurimi traguardi fin qui raggiunti, continua ad apparire più che mai appassionante. Vista l’esistenza di un progetto, ormai alle prime battute d’implementazione, per la costruzione del cosiddetto Hyper-Kamiokande, un osservatorio 20 volte più grande destinato a coinvolgere le istituzioni scientifiche di 20 paesi inclusa l’Italia, con le prospettive realizzabili di far finalmente luce sull’imperscrutabile, andando dietro ed oltre l’attuale percezione della particella di Dio. Strade ulteriori utili a comprendere la nostra posizione filosofica e pratica all’interno del grande schema dell’esistenza.
Ma anche scorgere opportunità, potenzialmente rivoluzionarie, di generare e gestire l’energia di cui abbiamo urgentemente bisogno. Mentre i materiali inerti da bruciare nelle vaste fornaci, residui dei nostri predecessori estinti, iniziano ormai da tempo a scarseggiare. E l’opportunità di elevarci dallo stato di una mera civiltà planetaria sfumano assieme ad essi, condannandoci all’inesorabile negazione della trascendenza.

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