Catarsi nel Caucaso: la tragedia del maestro che precipitò dal tetto del monastero

La conoscenza approfondita della storia di un luogo nel corso del Medioevo è frequentemente la diretta risultanza del lavoro di un cronista, personalità istruita che a vantaggio dei contemporanei e la posterità ulteriore, fece impiego delle proprie conoscenze per tradurre in una cronaca la dettagliata memoria dei trascorsi di un popolo, un paese, una famiglia. Lavoro che fu compiuto, per quanto riguarda l’Armenia dall’XI al XIII secolo d.C, dal vescovo metropolitano ortodosso Stepanos Orbelian, discendente dell’omonima e prestigiosa famiglia di feudatari della provincia di caucasica di Syunik. Che si misero al servizio, nel 1177, del nipote del re della Georgia, il principe Denma, durante la ribellione contro il sovrano usurpatore Giorgio III Bagration. Destinata a naufragare nel sangue e la severa punizione di quest’ultimo, nonché l’esilio dei suoi più fedeli sostenitori. Ma i signori di Syunik sarebbero tornati in patria la generazione successiva, per assistere la figlia del re Tamar e il suo successore nonché nipote, Giorgio IV Lasha contro l’invasione del Turchi Selgiuchidi, il che valse a Liparit III Orbelian la qualifica di viceré di Georgia e tutti i suoi domini. Seguì un’epoca di ricchezza e prosperità nella provincia, capace di riflettersi in quell’epoca dal forte sentimento religioso nella costruzione di splendidi edifici ecclesiastici, svettanti chiese e notevoli monasteri. Il più celebre dei quali, senza ombra di dubbio, sarebbe rimasto nel millennio successivo quello di Noravank, situato a 122 Km dalla città di Yerevan dentro un angusto canyon scavato nell’arenaria dal fiume Amaghu, vicino al villaggio di Yeghegnadzor. Un complesso architettonico indicativo delle tecniche costruttive dell’epoca, usato anche come residenza e mausoleo della famiglia a partire dal completamento della chiesa cruciforme di Surb Karapet, dedicata alla figura di Giovanni Battista.  Ma le cui vette più elevate, in più di un senso, sarebbero state raggiunte nel 1339 con l’adiacente santuario dedicato ad Astvatsatsin (la “Santa Madre di Dio”) struttura alta 26 metri costituita da due piani, dalla forma di un rettangolo sormontato da una croce greca. Dietro le cui svettanti mura, aguzzando la vista, un osservatore ideale di quel panorama potrà scorgere una piccola khachkar, la tipica croce decorata con bassorilievi dei luoghi sacri e cimiteri Armeni, così istantaneamente diversa dalle altre contenute entro il perimetro del monastero, proprio perché umile nell’aspetto e semplice nel progetto artistico di colui che dovette crearla. Si tratta, molto chiaramente di una tomba, dedicata a niente meno che Momik, il leggendario scultore, architetto e illustratore di manoscritti del XIII secolo, la cui ultima creazione fu proprio la chiesa di Astvatsatsin. Ed il cui completamento, secondo una leggenda collegata all’ultimo periodo della sua vita, non avrebbe mai avuto l’occasione di vedere. Causa il tradimento supremo, subìto proprio per il tramite di colui che gli doveva maggiore riconoscenza…

Ne andava molto fiero il vescovo Stepanos, che era stato mecenate di Momik in gioventù, ma passò a miglior vita nel 1304, prima che quest’ultimo potesse raggiungere l’apice della propria carriera. Scrivendo durante una competizione di abilità tra i quaranta architetti convocati dagli Orbelian per l’incarico di costruire il Nuovo Monastero (Noravank, per l’appunto) “La pietra gli ubbidisce come una candela. Sia dunque scelto come vincitore tra tutti i suoi colleghi, Momik”. A cavallo tra il XIII e XIV secolo dunque, mentre costui produceva alcuni dei khachkar, vestiboli ecclesiastici e vangeli illustrati più importanti nella storia medievale armena, dedicò la maggior parte della sua esperienza alla difficile impresa di rendere magnifico il complesso lungo il corso del fiume Amaghu. Il cui aspetto all’epoca era molto diverso, con alte mura perimetrali e, a quanto si narra, un sofisticato tetto per la chiesa di Karapet, costruito al fine di ricordare una tenda tradizionale dei nomadi della regione del Caucaso, da cui i signori di Syunik vantavano una remota discendenza. Affinché la sua Surb Astvatsatsin non sfigurasse, dunque, il grande artista aveva progettato una facciata singolare, dotata di una doppia scalinata verso il piano rialzato entro cui potevano accedere i fedeli, sopra l’area destinata a servire come sepolcro per il principale finanziatore, Burtel Orbelian. Tale elemento architettonico, con gradini sporgenti e geometricamente regolari, fu però lasciata priva di corrimano rendendone l’ascesa particolarmente difficoltosa, affinché potesse simboleggiare la via d’accesso al Paradiso. Al di sopra della porta, l’immagine della Madonna con gli Arcangeli Michele e Gabrieli, circondati da colombe e complesse decorazioni geometriche che proseguono attorno alle mura. All’interno, bassorilievi raffiguranti Cristo e gli apostoli Pietro e Paolo, realizzati con perizia ed ottimamente conservati fino all’epoca attuale. Il che non può dirsi d’altra parte, a causa dei frequenti terremoti della regione, del tetto conico ricostruito per l’ultima volta nel 1997 a partire dai presunti frammenti, tra le critiche di alcuni storici che lo ritengono un’invenzione completamente scollegata dalla realtà. Luogo presso cui, incidentalmente, si sarebbe compiuto il fatto di sangue, ritenuto una mera leggenda, collegato indissolubilmente alla storia di questo luogo sacro. Si narra infatti in epoca successiva alle cronache di Stepanos che al grande Momik, come ulteriore incentivo per la realizzazione della chiesa in tempi eccezionalmente brevi, era stato promesso dal capofamiglia degli Orbelian, presumibilmente Elikum II, la mano di sua figlia. Ma che quando egli si rese conto che, grazie alla sua eccezionale perizia, il maestro avrebbe portato a termine l’impossibile missione, egli avesse ordinato ad un suo servo di seguirlo all’interno del cantiere usando “qualsiasi mezzo” affinché i lavori subissero un ritardo. Allorché costui, interpretando in modo forse troppo letterale il suo padrone, spinse di sotto Momik dalla sommità di S. Astvatsatsin, uccidendolo. La chiesa sarebbe stata in seguito completata dai suoi studenti. Una storia poco lusinghiera, possibilmente motivata dall’antipatia guadagnata dal popolo nel confronto dei loro ancestrali dominatori, che nel frattempo avevano voltato le spalle al regno georgiano per allinearsi al Gran Khan dei Mongoli, con cui avevano stretto un’alleanza entro i distanti confini di Karakorum. Lontani sembravano ormai i tempi dei prìncipi illuminati e timorati di Dio, Liparit III e Burtel Orbelian…

Durante le travagliate vicende successive della nazione armena, il monastero di Noravank sarebbe riuscito a rimanere integro, in parte anche per la sua posizione isolata e difficilmente raggiungibile almeno di avere la specifica intenzione di visitarlo. Almeno fino alla costruzione della moderna strada entro la gola del fiume, motivata dall’aspirazione moderna a renderlo un polo d’attrazione turistica. Responsabile, almeno in parte, delle significative modifiche apportate al sito, inclusive dell’improbabile quanto inappropriata demolizione di parte delle mura medievali, la già citata ricostruzione del tetto e l’aggiunta di un piccolo albergo dotato di ristorante. Ciò mentre i monaci, ancora presenti e più ricchi dei loro antichi predecessori, si sarebbero trasferiti entro residenze di costruzione moderna a monte degli antichi edifici, con l’intento nominale di preservarli. Eventi a seguito dei quali, nonostante la proposta nazionale d’inserimento tra i patrimoni dell’UNESCO risalga ormai al remoto 1995, Noravank attende ancora di ottenere tale prestigiosa qualifica, causa un’apprezzabile assenza d’integrità rispetto al sito d’origine, comunque in buona parte mantenuto in uno stato ragionevolmente fedele.
Nella silenziosa e paziente attesa di colui che eternamente giace, all’ombra delle mura che crebbero esponenzialmente assieme alla sua già notevole reputazione. E potrebbero aver condotto, per l’invidia dei potenti, all’improvvida quanto imprevista fine del suo contributo alla gloria del Divino tra le anguste regioni della materia.

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