L’invenzione di metà secolo che liberò il demone delle risate nelle sit-com statunitensi

Una delle prime opinioni critiche che tendono a formarsi sul tema della televisione, riguarda spesso l’artificio sonoro e procedurale della cosiddetta laugh track ovvero la traccia registrata che accompagna, sottolinea ed enfatizza dozzine di momenti clou all’interno di un diffuso tipo d’intrattenimento basato sull’utilizzo di un copione. Il telefilm della durata di una mezz’ora scarsa, pubblicità incluse, pensato per distrarre gli spettatori il tempo necessario a far rilassare i neuroni, dimenticare momentaneamente l’ansia e le preoccupazioni della vita quotidiana. “È irrispettoso verso il pubblico. Innaturale. Privo di raffinatezza. Superato.” Punti ricorrenti nella percezione di un simile approccio i quali, contrariamente a quanto si potrebbe credere, furono al centro del sentire di una percentuale molto ampia degli spettatori ed i creativi stessi, fin dall’introduzione graduale di un simile approccio all’inizio degli anni ’50. Immaginate a tal proposito le sensazioni che, mentre le onde si popolavano di nuovi generi ed i comici iniziavano a esibirsi a distanza, il pubblico doveva provare nel guardarli da casa: per la prima volta in un totale silenzio, senza la partecipazione auditiva delle moltitudini egualmente intente a vederli. La risata, tra tutte le espressioni umane di un sentimento, figura certamente tra le maggiormente contagiose. Ancor più che uno sbadiglio. Ed è per questo che soprattutto negli Stati Uniti, dove s’iniziarono a introdurre concetti come una “trama” e dei “personaggi” agli spettacoli facenti parte di siffatto genere, diventò normale registrare gli episodi in un teatro di fronte a un pubblico gremito, i cui schiamazzi potessero venire captati dai microfoni di scena. Queste persone, tuttavia, non erano semplici da guidare e tendevano talvolta a surclassare le voci degli attori, piuttosto che ridere troppo a lungo o nei momenti sbagliati. Così che i fonici iniziarono a praticare una tecnica chiamata sweetening: la modulazione o eliminazione in determinati punti, mediante l’uso di artifici di post-produzione, del suono ambientale proveniente dall’altro lato delle telecamere. Ricercando per anni una terza possibilità, paragonabile al Santo Graal di tale ambiente: quella di aggiungere risate a battute che, in particolari contesti, non erano riuscite a suscitarle. Il primo ad individuare un metodo per farlo, dunque, fu l’ex-militare di origini messicane Charles Douglass, nato a Guadalajara nel 1910 e addetto ai radar di marina durante la guerra, il cui padre si era trasferito prima della guerra con l’intera famiglia in Nevada. Dove laureatosi in elettronica, questo fondamentale ed altrettanto sconosciuto personaggio dello spettacolo avrebbe in seguito iniziato ad armeggiare con i nastri magnetici, fino a creare l’invenzione con più tasti di un comune pianoforte, grande come un frigorifero da campeggio che avrebbe battezzato laff box, ovverosia letteralmente, la scatola delle risate. La cui natura sarebbe rimasta top-secret per decenni, ma non così la funzione: aggiungere il suono riconoscibile del buonumore, là dove sembrava essercene il maggior bisogno…

Una delle originali laff box andò all’asta in una storica puntata del programma della PBS, Antiques Roadshow, venendo valutata appena 10.000 dollari. Non poi così tanto, per un oggetto tanto importante nella storia della televisione americana, forse in funzione dei pregiudizi persistenti sulla tecnica che ne vedeva l’impiego.

Le risate registrate, come vengono chiamate in Italia ormai da quasi ottant’anni, diventarono dunque un punto fermo dell’intrattenimento televisivo, assieme all’importazione del tipo di contenuti che più di ogni altro sembravano funzionare in ogni contesto nazionale e culturale del mondo. Sit-com prototipiche e programmi comici di varia natura iniziarono a fare un uso occasionale del dispositivo di Douglass, che tendeva per questo a passare inosservato. Ma con i primi successi internazionali del genere come “Io e i miei tre figli” (1960) “Vita da Strega” (1964) e “I mostri” (1964) la traccia artificiale era ormai una parte attiva del copione, con pause ad effetto inserite dopo ciascuna battuta affinché i tecnici del montaggio potessero fare il loro lavoro. E con ciò intendo, soprattutto l’arcano e misterioso utilizzatore del laff box, un attrezzo il cui funzionamento costituiva un segreto gelosamente costruito dall’inventore, destinato a diventare di dominio pubblico soltanto molti anni dopo. Apparecchiatura contenente 32 nastri magnetici con 10 risate del pubblico ciascuno, essa costituiva dunque ben più che un semplice registratore. Potendo essere manovrata dall’utilizzatore con il pieno controllo di durata, volume e tonalità di ciascuna reazione di un pubblico immaginario, composto da sesso, età e persino etnie differenti. Si narra a tal proposito che Douglass fosse un verso maestro nell’utilizzarla, suonandola come fosse una sorta di magico pianoforte e spesso sghignazzando anche lui durante le sessioni di registrazione, quasi volesse dare ulteriore enfasi ai suoni che gli scaturivano attorno e riuscendo ad evocare situazioni di vario tipo, come quella di un singolo membro del pubblico che capiva la battuta in ritardo. E di come nei rari casi in cui fosse necessario armeggiare con il meccanismo per effettuare regolazioni o alterazioni particolari, facesse prima trasportare la macchina in un luogo appartato come il bagno degli uomini, affinché nessuno potesse carpire il segreto del suo funzionamento. Non è effettivamente noto quante sarebbero perciò state le scatole magiche prodotte nel corso della sua lunga carriera, sebbene sappiamo che in ogni dato momento non ce ne fossero più di una manciata funzionanti, tutte gelosamente custodite e messe all’opera nei frequenti casi in cui veniva richiesto il suo contributo, con frequenza crescente dopo che lo spostamento di molti studios televisivi da New York a Los Angeles avrebbe reso desueto l’uso di un pubblico in presenza, passando esclusivamente all’utilizzo di una traccai di derivazione artificiale. Non è in effetti irrealistico affermare che, se avete visto un qualsiasi telefilm americano tra gli anni ’60 e ’90, abbiate udito la laff box all’opera sotto le mani esperte del suo ingegnoso inventore.
Con l’evoluzione progressiva della comicità, tuttavia, Douglass dové iniziare a competere con dei rivali, ciascuno dotato dei suoi sistemi e metodi, fino all’esperienza trasformativa di sentire accidentalmente un produttore chiedersi se una persona della sua età potesse ancora comprendere le battute pensate per le nuove generazioni. Fu allora che egli decise, comprensibilmente, di prendere sotto la sua ala un assistente.

Il rivoluzionario tecnico ebbe allora vari possibili successori, anche se il più prossimo ad assumere tale ruolo con mansione per così dire ufficiale sarebbe stato senza dubbio il suo diretto dipendente Carroll Pratt. Originario di Santa Rosa, California (nato nel 1921) egli era inizialmente un meccanico incaricato di riparare, mantenere e qualche volta trasportare le macchine costruite dal suo datore di lavoro. Ma iniziò ben presto ad effettuare anche dei miglioramenti e negli anni ’70 propose a Doglass una strada nuova, quella di utilizzare registrazioni digitali per contrastare il continuo degrado degli originali nastri magnetici usati dal suo maestro. Ma i due entrarono in conflitto nel 1977 e Pratt decise, conseguentemente, di fondare una propria compagnia, la Sound One.
La concorrenza nella creazione di risate registrate era ormai dilagante, mentre esse acquisivano un grado superiore di raffinatezza e moderazione. Tutti affermavano di odiarle eppure, in base alle ricerche di mercato, rimuoverle riduceva l’indice di gradimento degli show di maggior successo. In un famoso episodio, la stessa fidanzata di Pratt aveva scritto al network per chiederle di togliere dal telefilm M*A*S*H. In seguito, i due si sarebbero sposati.
Deceduti rispettivamente nel 2003 (93 anni) e 2010 (89 anni) Douglass e Pratt avevano ormai costruito un impero, la cui eredità venne divisa tra i molti imitatori. Con la tv di quegli anni che ancora faceva liberalmente uso delle tracce audio artificiali, sebbene un nuovo tipo di show comici iniziasse a emergere, del tutto privo di quel commento sonoro con l’esempio pioneristico di programmi come “Freaks and Geeks” (1999) e “Malcolm in the Middle” (2000). Non sarebbe d’altra parte errato affermare che i due generi contrapposti avrebbero continuato a coesistere, soprattutto grazie agli show di Chuck Lorre, autore tra gli altri del popolarissimo Big Bang Theory (2007) in cui le risate tipicamente artificiali costituiscono una parte importante di moltissime scene. E rimuovendo le quali, come dimostrato in alcuni popolari quanto surreali video su Internet, si perde molta della comicità mirata a evidenziare determinate caratteristiche della cultura contemporanea. Ammesso e non concesso che, in origine, ci fosse mai stata?

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